Secondo Goffredo Bettini, che ha inviato a Linkiesta un importante articolo per interloquire con analisi qui pubblicate, «la questione più urgente che si pone è dare una rappresentanza all’elettorato riformista e moderato, oggi disperso e senza guida e che vale unito più del 10 per cento».
Si tratta di un’affermazione forse mai posta con tanta chiarezza e che, letta in un certo modo, sembra relativizzare la questione dell’alleanza con i Cinque Stelle che da «strategica» e persino «moralmente» da perseguire viene derubricata dall’autorevole esponente dem a formula giustificata da «uno stato di necessità» (il Pd non ha numeri forti) e motivata dall’intenzione di dividere un «populismo sociale» (M5s) da un «populismo di destra» (Lega).
Bettini insiste sul problema di «come una grande area di elettorato liberale, moderato, ma chiaramente antisovranista e antiautoritario, non abbia ancora trovato una rappresentanza politica che lo faccia contare». E critica: «Questo campo è diviso, attraversato persino da odi personali, del tutto incapaci di trovare una unitaria proposta per il Paese».
Nel merito, «Italia viva è rimasta bloccata a un dato elettorale assai modesto. Nel governo al quale partecipa sarebbe servito come il pane un partito più grande, unitario e per questo più efficace e costruttivo. In grado di dare una maggiore ariosità al semplice duetto, talvolta asfittico, tra la sinistra e i Cinquestelle».
E poi, «un’altra parte, con Calenda, colpisce ogni giorno a palle incatenate. Privo di qualsiasi bussola declama ricette tanto belle sul piano teorico quanto inconcludenti sul piano pratico. Emma Bonino preferisce coltivare il suo orticello storico piuttosto che contribuire a formare una grande forza riformista e liberale».
E allora abbiamo chiesto a Ivan Scalfarotto (Italia viva), Carlo Calenda (Azione) e Benedetto Della Vedova (Più Europa) cosa pensano di queste riflessioni di Bettini.
Scalfarotto torna al punto dolente dell’alleanza con i 5s («voluta da Renzi») con queste parole: «La differenza radicale tra la visione di Bettini e la mia è se l’alleanza con i grillini abbia un carattere esclusivamente contingente e transitorio o se costituisca invece un approdo strategico per la sinistra. Se per salvaguardare questa alleanza si debba per esempio sacrificare la prescrizione, votare contro l’accesso ai fondi del Mes e candidare in Liguria un giornalista del Fatto Quotidiano. Se insomma esista un populismo cattivo (quello della Lega) e uno buono (quello a 5Stelle)».
È una distinzione che non convince affatto l’esponente di Italia Viva: «Io credo che si tratti comunque di populismo e di essere dunque, in condizioni normali, alternativo a entrambi. La prospettiva strategica è di fare senza i populismi e costruire l’area europeista e riformista di cui parla Bettini. Che è poi la precisa ragione per cui – sostenuto da Azione, Italia Viva e PiùEuropa – corro in Puglia non solo contro le destre e M5S, ma anche contro il Pd, che del populismo declina, attraverso le politiche di Michele Emiliano, una forma diversa ma assolutamente complementare».
Per Calenda, poi, la lettura del pezzo di Bettini è risultata «sconcertante»: «Incredibile che Bettini ammetta così candidamente la rinuncia del Pd a rappresentare gli elettori riformisti. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i riformisti che pure nel Pd continuano a militare. In generale trovo il suo intervento un debole tentativo di difesa dell’indifendibile».
La critica di Calenda è di fondo: «La costruzione di un centro riformista capace di strappare socialdemocratici e popolari dalla sottomissione ai populisti e ai sovranisti è da sempre l’obiettivo di Azione. E io credo che questa necessità si paleserà presto. Il Pd è oggettivamente succube di un Movimento Cinque stelle che ha letteralmente resuscitato, mentre la destra ha esattamente le stesse percentuali di voto di un anno fa. Insomma la “mossa del cavallo” di Renzi e Bettini non mi sembra aver funzionato un granché».
Infine, la critica di Della Vedova è quella di un’analisi statica perché «Bettini difende il governo Conte bis a prescindere, quasi che la realtà politica della attuale maggioranza giallorossa fosse necessaria e immodificabile. Noi un anno fa chiedemmo un nuovo governo che tenesse fuori Salvini e marcasse una discontinuità nelle persone e nelle politiche». E invece «il Pd non ha chiesto nulla e concesso tutto al M5s: Salvini è fuori, evviva!, ma sul piano politico? Brutale taglio dei parlamentari antipolitico, nulla sui decreti sicurezza, abolizione prescrizione avanti tutta, Alitalia nazionalizzata, quota cento confermata e reddito di cittadinanza intonso, pantomima grottesca sul Mes…».
Quanto ai duri richiami dell’eminenza grigia dei dem ai centristi, Della Vedova esclama: «Touché! Su questo gli do ragione oggi e spero gli si possa dare una delusione domani. Il Pd ha operato in modo energico per fare terra bruciata, dal voto utile alle europee alle firme per le elezioni regionali ha sempre cercato di ostacolare piuttosto che incoraggiare qualsiasi proposta indiscutibilmente antisovranista ma tutt’altro che prona alla ineluttabilità di uno scontro tra populismi».
Sì, ma la proposta? «Confido che si possa dare una delusione a Bettini, realizzando da qui al voto un progetto politico elettorale federativo tra liberal-democratici, riformisti ed ecologisti, nel nome dell’europeismo riformatore e della riconversione digitale ed ecologica di economia e società. Un progetto autonomo e competitivo con il Pd e avversario del M5s. Un’alleanza progressista che vada dai socialisti ai liberali è alternativa e incompatibile con una alleanza populista arricchita da personalità indipendenti, più o meno moderate, liberali e centriste di complemento. Lo dimostra proprio l’agenda giallorossa. O si fa una cosa, o si fa l’altra. Anche il Pd deve scegliere».