Ieri la Commissione europea ha previsto che nel 2020 il prodotto interno lordo italiano avrà una contrazione dell’11,2% e che nel 2021 recupererà soltanto metà di quanto ha perduto; l’Istat, invece, ci ha fatto sapere che un terzo delle imprese italiane è a rischio fallimento; Bankitalia, sempre ieri, ha valutato che oltre la metà delle famiglie italiane ha subito una contrazione del reddito; e, infine, l’Ocse ha immaginato che quest’anno, nello scenario migliore, ci sarà oltre un milione di disoccupati in più.
Nelle stesse ore, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha trovato il tempo di incontrare il proprietario di una srl milanese, Davide Casaleggio, che controlla il partito di maggioranza e di riferimento del premier.
Incontrare il figlio-padrone del primo partito in Parlamento è una cosa normale per un presidente del Consiglio, mentre ovviamente è più problematico che un soggetto privato gestisca un partito politico attraverso la sua piattaforma proprietaria, anche se secondo la narrazione surreale e truffaldina dei Cinquestelle non ci sarebbe nessun legame tra la Casaleggio Associati, l’associazione Casaleggio, la Fondazione Casaleggio e il partito fondato da Casaleggio perché Davide Casaleggio sarebbe soltanto un tecnico dei computer che dà una mano al movimento.
Fosse vera la versione grillina, non si capirebbe per quale motivo il premier e l’imprenditore si sono incontrati a Palazzo Chigi: un mistero che potrebbe essere spiegato soltanto da una frase alla Woody Allen: «Provateci voi a trovare un tecnico dei computer in un pomeriggio di luglio a Roma».
Non sappiamo che cosa si siano detti Conte e Casaleggio, forse hanno parlato delle Regionali e delle alleanze o forse no. Non risulta che Rocco Casalino abbia mandato vocali ai giornalisti per spiegare che problemi avessero i pc di Chigi, ma ancora una volta stupisce che questa pagliacciata non smuova alcun interesse dentro il Partito democratico, ormai assuefatto all’idea dell’alleanza strategica con la srl milanese che dà una mano.
I democratici non hanno reagito nemmeno all’ultima pecionata di Conte contro l’Italia compiuta per soddisfare le richieste dei tirapiedi del tecnico dei computer: no, non solo l’insensato rifiuto di accedere al prestito miliardario del Mes per ricostruire il nostro sistema sanitario, ma la decisione di mantenere la più scema delle norme contenute nel decreto dignità del governo Conte, Salvini e Di Maio, ovvero il divieto di prorogare i contratti a termine oltre un certo periodo che secondo Luigi Di Maio della scuola giuslavorista di Pomigliano d’Arco sarebbero miracolosamente diventati tutti a tempo indeterminato in nome della fine della povertà.
Ovviamente si sono trasformati in disoccupazione, così nei mesi della pandemia chiunque avesse una qualche dimestichezza col mondo del lavoro o semplicemente fosse dotato di buon senso, disturbo cui i Cinquestelle risultano immuni secondo tutti i test seriologici, ha proposto di prorogare i contratti a termine almeno fino alla fine dell’anno. In questa direzione era andato il decreto rilancio, oltre che le richieste del ministro Roberto Gualtieri, i suggerimenti della task force di Vittorio Colao, le suppliche degli imprenditori e la conoscenza del mercato del lavoro da parte delle agenzie interinali, ma nella conversione del testo la proroga è scomparsa per iniziativa della ministra Catalfo che si è impegnata a non dare dispiaceri a Di Maio e a Vito Crimi, l’uomo scelto da Casaleggio per reggere i Cinquestelle. Conte si è adeguato, il Pd al momento fa finta di niente e ora rileggete i dati economici di ieri riportati all’inizio di questo articolo.