Erroneamente si pensa che l’esposizione della bandiera gialla su una nave sia segno di una infezione a bordo. In realtà, secondo il Codice Internazionale Nautico, il segnale giallo (Q-Quebec) da solo, indica una situazione sotto controllo. Viceversa, una bandiera che alterna due riquadri gialli e due neri (L – Lima) indica che la nave è in quarantena.
Tale triste vessillo sembra oggi svettare sul Parlamento in carica, in cui sulla vicenda del Meccanismo Europeo di Stabilità si profila una maggioranza tra Movimento Cinque Stelle, Lega e Fratelli d’Italia, all’insegna della sfiducia verso l’Unione Europea, tratto che, a corrente alternata, li ha trovato sovente affiancati.
E non potrebbe essere diversamente, tenuto conto che il cuore di tenebra del Movimento Cinque Stelle batte a destra, nonostante le illusioni di chi con l’ingenuità degli sprovveduti vuole favorirne la fusione con il Partito Democratico.
Populismo, disprezzo della democrazia rappresentativa, occhieggiamenti più che evidenti verso la Cina di XI Jinping, silenzio sul machismo del presidente venezuelano Nicolas Maduro, per tacere delle rivelazioni circa presunti finanziamenti occulti nel 2015 mai smentiti dal giornale spagnolo ABC che ne diede notizia, antiche e recenti simpatie per Putin ereditate dal visionario Fondatore, sono rivelatrici di un’inclinazione evidente verso una visione politica decisamente antiprogressista che, infatti, non ha impedito al Movimento di governare con Matteo Salvini, salvo restare con il classico cerino in mano sulla spiaggia del Papeete.
Le storie giovanili di Luigi Di Maio e di Alessandro Di Battista, prima dell’incontro sulla via di Damasco con Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, si sono sviluppate in ambienti che con la sinistra non avevano proprio nulla a che vedere.
In un articolo de La Repubblica del 23 giugno 2017, a firma di Conchita Sannino e Concetto Vecchio, si legge: «I rispettivi padri sono stati ferventi missini; Antonio Di Maio, imprenditore edile a Pomigliano d’Arco, con solide amicizie nel centrodestra napoletano, tentò tre volte di entrare in consiglio comunale negli anni Ottanta e Novanta: senza successo; Di Battista senior, commerciante di prodotti idraulici a Fabrica di Roma, vi riuscì, nel consesso di Civita Castellana.
«Mio padre mi ha insegnato l’irriverenza», racconta nella sua biografia A testa in su Di Battista. «Sono da sempre molto amico di Vittorio», dice Adriano Tilgher, ex Avanguardia nazionale, una vita spesa nell’estrema destra. «Ci conosciamo dai tempi dell’Università, militavamo nel Fuan Caravella, lui faceva legge, io fisica, un grande goliardo, ma anche un uomo serio».
Nelle file del Fronte nazionale di Tilgher Vittorio Di Battista si candidò nel 2000 alle provinciali di Viterbo, prese lo 0,9 per cento. Prima ancora era transitato brevemente per Alleanza nazionale, quindi migrò in Fiamma tricolore e in Azione sociale, piccole sigle della destra sociale; nell’estate del 2010 lo videro a Mirabello, alla convention dei finiani, che si erano appena separati da Berlusconi.
Lo ricordano per via del fascio littorio sul distintivo. Era lì in odio al Cavaliere, sentimento che distillava nel blog “Il Paese delle balle”, su cui campeggia la copertina del libro di Dibba. «Non ricordo più perché scelse altre strade. È sempre stato un uomo inquieto, desideroso di cose nuove», ne traccia il profilo psicologico Tilgher.
Nel 2001 si candidò alla Camera per l’Italia dei Valori, ottenne il 2 per cento nel collegio Lazio 2. Lo ricorda, Antonio Di Pietro? «Veramente, no», dice l’ex pm. «Però l’altro giorno alla Camera mi sono intrattenuto con il figlio».
Quando Di Maio si presentò al consiglio comunale nel 2010, prese 54 voti. Tre anni dopo era vicepresidente della Camera. Il padre inizialmente non apprezzava le scelte del figlio. «La sua visione della politica era legata ai vecchi partiti e questo creava conflitto» ha raccontato Di Maio junior all’Espresso. «Il Di Maio padre è sempre stato con i fascisti, anche se si batteva per gli operai dell’Alfa Sud», raccontano a Pomigliano, dove nessuno è stupito di vedere Giorgio Almirante collocato nel museo dei padri nobili grillini.
«Era nostalgico di Almirante, io di Berlinguer», ha raccontato a Panorama Raffaele Lello Di Pasquale, insegnante di educazione fisica all’Imbriani, il liceo dove Luigi presentò una lista di alternativa a quella della sinistra, la chiamò Mas, acronimo di Memento audere semper, “ricorda di osare sempre”, e nome della squadriglia di incursori della Marina – la X Mas di Junio Valerio Borghese, appunto – vero e proprio mito dei militanti di estrema destra negli anni Settanta. «Quando i fascisti hanno visto dissolversi il loro mondo anche Antonio ha finito per dare ragione al figlio, archiviando le divisioni tra loro», racconta un amico di famiglia a Repubblica.
I Di Maio hanno una società di costruzioni, l’Ardima srl (A come Antonio, R per Rosalba, la sorella architetto di Luigi, Dima è il timbro del cognome), di cui è amministratore il fratello 23enne Giuseppe, videomaker. Luigi Di Maio vi detiene il 50 per cento, ma senza ruoli di funzione. Se ne occupa essenzialmente il padre. «Va molto bene, soprattutto con i privati», dicono in città.
Di Maio senior è un uomo riservato, Vittorio Di Battista, negli anni, ha rilasciato invece molte interviste video. «Le scelte di mio padre sono di mio padre, io in passato ho sempre votato a sinistra pur poi pentendomene», premette Di Battista nella sua autobiografia. Ma di recente ha precisato meglio il suo pensiero: «È più importante essere onesto che antifascista».
A Gianni Minoli, che lo incalzava dopo la vittoria del 4 dicembre – dopo una strenua campagna spesa da Dibba in difesa della Costituzione, che dalla Resistenza trae la sua origine – il deputato si è rivelato terzista: «Parlare di fascismo e antifascismo oggi è come parlare di guelfi e ghibellini».
Raramente il frutto cade lontano dall’albero. Sull’Europa, poi, come dimenticare gli assalti dei due dioscuri alla Bastiglia Europea e le banalità circa le sedi di Bruxelles e di Strasburgo, che rivelarono la totale ignoranza circa il funzionamento dell’Unione, la promessa farlocca di referendum in stile Brexit, le fantasie deliranti su vaccini, le cripto valute e la blockchain in funzione anti bancaria, il vagabondaggio presso le famiglie più destrorse del Parlamento europeo ?
Si potrebbe continuare a lungo a descrivere ciò che Dario Franceschini sembra costringersi a non vedere. Apparentemente sdoganato grazie all’appoggio dato all’elezione di Ursula von der Leyen, il Movimento si è sempre posto in alternativa all’europeismo sia ideale che operativo, ha schernito Emmanuel Macron, dileggiato Angela Merkel e appoggiato la rivolta violenta del Movimento Des gilets jaunes che periodicamente ha vandalizzato Parigi ferro ignique.
E già, quel mood giallo acido con cui gli adoratori di Grillo, che oggi si defila, hanno colorato larga parte della carta geografica dell’Italia nel 2018.
Alcune sfumature di giallo danno nausea e sono proibite sugli aerei. Nell’antica Grecia il giallo era il colore dei pazzi che, per essere riconosciuti, erano obbligati a vestire di questo colore; molte tribù degli indiani d’America si cerchiavano gli occhi di giallo intenso, pensando in tal modo di ipnotizzare il nemico, e indossavano casacche gialle e nere perché tale abbinamento di colori, secondo la simbologia del mondo animale (vedi le vespe) serve da avvertimento: chi sfoggia tali tonalità nasconde un pericoloso veleno.
L’innaturale alleanza del governo Conte bis, nato con la pretesa di allontanare per sempre Matteo Salvini da Palazzo Chigi, rivela oggi tutti i propri limiti e iscrive consistenti ipoteche sul futuro di cui il Partito Democratico potrebbe un giorno trovarsi a rispondere.
Il partito guidato oggi da Zingaretti, avrebbe invece una storia da difendere, un’identità da rafforzare, un livello medio di quadri e di rappresentanti istituzionali da proporre al Paese, a patto di affrontare con coraggio i prossimi mesi, esorcizzando il timore di sostenere elezioni che potrebbero essere inevitabili dopo il voto amministrativo di settembre, assumendo anche il rischio di una sconfitta vera, da preferirsi comunque alla consunzione in cui si sta logorando, nella speranza di convertire e rieducare i pentastellati, anche a costo di assomigliarvi sempre di più.
La saldatura parlamentare contro il MES dei gialli e dei neri, le deludenti performance dei ministri grillini, la fine della povertà celebrata su scenografici balconi da cui ammiccare ad una folla oceanica e plaudente quanto multi ideologica suo malgrado, dovrebbe far comprendere che gli epigoni di Di Maio e di Conte non avrebbero difficoltà anche in futuro a governare nuovamente con la Lega, verso cui non a caso stanno migrando alcuni senatori, decisivi per il governo. Certo, ne sarebbero solo una costola, visti i sondaggi che predicono la destra, senza Forza Italia, come in grado di raggiungere e superare quel 40% che dà diritto al premio di maggioranza.
Ma, per un soggetto politico che non ha alcuna spina dorsale storica che lo sostenga ed in vista del naufragio legato al forte ridimensionamento del reddito di cittadinanza il cui impatto zero è ormai certificato, sarebbe pur sempre un modo per sopravvivere, non solo nello scenario politico ma, per molti esponenti di esso, anche nella vita.
Occhio dunque alla bandiera gialla e nera, infausto avviso per i naviganti ancora illusi di evitare che la nave possa salvarsi, con il suo carico insostenibile di equivoci, di ambiguità e di pervasivo contagio di ciò che ancora può essere salvato nella politica italiana.