L’Italia dunque si è accorta ieri della Grande Illusione di aver chiuso la partita dell’emergenza covid grazie al presidente del Consiglio che ha imitato, in sedicesimo, il Pietro Badoglio dell’8 settembre ‘43 – “La guerra continua” – annunciando il prolungamento dello stato d’emergenza fino al 31 dicembre.
Già, è stata quindi una grande illusione quella di poterla fare finita con i famigerati Dpcm e i pieni poteri in capo a Giuseppe Conte, una grande illusione quella di pensare a un sistema di regole che seppur gradualmente rientrasse nell’alveo della normalità costituzionale: e infatti già si levano voci preoccupate, di giuristi soprattutto, ma a mezza bocca anche di quei partiti, come il Partito democratico, che reclamano che la decisione di Conte venga discussa in Parlamento (più scontata la protesta della destra).
Spiega il costituzionalista Francesco Clementi: «Se il Governo ritiene fondata la necessità di una proroga di 6 mesi deve venire in Parlamento – cioè di fronte al Paese – a spiegare le ragioni di questa richiesta. Il parlamentarismo non prevede deleghe in bianco».
Non è chiaro se l’avvocato del popolo avesse avvertito i partiti della maggioranza. A giudicare dalla reazione critica di Italia viva e dalle perplessità dei dem parrebbe di no. Intendiamoci, il prolungamento dello stato d’emergenza ha dalla sua buone ragioni ed era anche stata prevista da molti già nei mesi scorsi. Ma di qui ad annunciare una cosa del genere urbi et orbi in perfetta solitudine, questo sì, è un po’ strano.
L’avvocato se n’è reso conto, o forse è il Partito democratico che lo richiamato, fatto sta che in serata ecco la nota riparatrice: «Lo stesso Presidente Conte ha affermato che si tratta di una decisione che non è ancora stata presa. Se si procedesse in questa direzione, l’intenzione del Presidente Conte sarebbe comunque quella di passare per il Parlamento».
È la metafora di una collegialità che sta andando rapidamente a farsi benedire. È un’altra grande illusione che il quadripartito Conte marciasse compatto grazie all’alleanza strategica tra il Partito democratico e il Movimento cinque stelle. Ma ora c’è una novità: che più o meno tutti ce l’hanno con l’avvocato foggiano.
Il balletto di queste ore, con i dem che mettono fretta a Conte e Conte che accusa i dem di rallentare tutto, sembra il copione dei vecchi governi della Prima Repubblica, quando ognuno andava per conto suo, come accade ai personaggi nel primo atto del “Giardino dei ciliegi”. È un clima che alimenta sospetti, che genera incomprensioni e rivalità, che non facilita le decisioni da prendere.
Prima fra tutte quelle sul garbuglio della concessione ad Autostrade innescato dal “giallo” della lettera della ministra dei Trasporti Paola De Micheli, ora messa sul banco degli imputati dai grillini (ma anche nel Partito democratico c’è chi storce la bocca per la gestione della vicenda) per non aver comunicato ai colleghi di governo che “pro tempore” la concessione del Ponte di Genova sarebbe tornata in capo ai Benetton.
Si innervosisce parecchio il Movimento cinque stelle che reclama la revoca subito ma che su questo deve prendere nota di un premier molto timoroso e che, pur facendo la faccia feroce, pare molto molto restio ad andare a una soluzione diversa da quella di un compromesso: niente revoca ma modifica degli assetti azionari con netta riduzione del peso dei Benetton. Lasciando irrisolto il vero nodo della questione, quello dei controlli dello Stato sull’opera dei concessionari.
I grillini, che già hanno ingoiato Alta velocità ovunque, Gronda, Mose e quant’altro, si berranno pure questa per amore non tanto della stabilità quanto del proprio scranno parlamentare.
E tuttavia la tensione sale. Basta guardare Di Maio che fa sapere al mondo di aver incontrato Mario Draghi, non esattamente musica per le orecchie di Conte.
Il clima di tutti contro tutti ovviamente avvelena anche singole partite di minore portata ma comunque importanti come quella delle alleanze per le regionali. La grande illusione di intese locali sul modello nazionale alimentata da Conte sta evaporando.
Sale il nervosismo, guarda caso, proprio in Liguria, dove invece pareva che l’intesa giallorosa fosse realizzabile. Andrea Orlando nega che l’accordo sia saltato ma pare che Davide Casaleggio si sia messo pesantemente di traverso, anche utilizzando la polemica su Autostrade. E la candidata grillina in Puglia Antonella Laricchia dice che «Emiliiano e Fitto sono espressione dello stesso modo di fare politica». Così evapora una Grande Illusione.