La costola della sinistraSalvini trolla dicendo che è l’erede di Berlinguer, ma la colpa è di D’Alema

Il leader leghista si prende gioco della tradizione Pci affittando una sede in via delle Botteghe oscure e spiegando di essere il difensore della comunità operaia che un tempo votava i massimalisti. Cioè ripetendo la famosa e infelice frase del primo presidente del Consiglio ex comunista

Afp

Tutta colpa di Massimo D’Alema. Se egli non avesse pronunciato la celebre frase sulla Lega come «costola del movimento operaio» forse oggi Matteo Salvini, che ha trovato casa alla sua Lega nel palazzo di fronte a dove si affacciava Palmiro Togliatti, non si sarebbe pavoneggiato a erede di certi “valori” di Enrico Berlinguer, nientemeno.

La rilasciò nel 1994 proprio al Manifesto, il quotidiano comunista, la frase sul partito di Umberto Bossi, sostenendo che non fosse «una bestemmia» dire che «c’entra moltissimo con la sinistra». Era un’operazione politica. Il tentativo di dare una giustificazione “teorica” all’accordo che avrebbe portato alla caduta del primo governo Berlusconi e alla nascita del governo Dini.

Tra il capo del Pds e quello del Carroccio in quel periodo ci fu un gran feeling. Ha raccontato Paolo Franchi (“Il tramonto dell’avvenire”, Marsilio) di un suo colloquio con D’Alema alla vigilia della caduta di Berlusconi (fine 1994) nel quale gli disse che il Senatùr era «un interlocutore imprescindibile non solo nel presente ma forse anche nel futuro». E qualche mese dopo al congresso leghista di Bologna, il segretario del Pds venne accolto come una star, con Bossi che gli teneva il braccio alzato.

Va ricordato che lo stesso ex segretario del Pds poi ha puntualizzato tante volte («è una scemenza») che la frase corretta è quella sopra riportata e non quella attribuitagli dai più («La Lega è una costola della sinistra»). D’Alema insomma spiegò che non voleva dire che l’allora partito di Bossi fosse in qualche modo riconducibile alla famiglia della sinistra italiana ma fare una considerazione oggettiva, sociologica: «La maggioranza degli operai vota Lega».

L’errore di fondo (che suona senz’altro meglio di “scemenza”) tuttavia sta nel fatto che è storicamente sbagliato dire che la Lega sia qualche modo incastonata nel «movimento operaio», dato che con questa locuzione si intende qualcosa di politicamente o sindacalmente organizzato, cioè un soggetto storico definito e autonomo: e dire che la Lega Nord di quel tempo c’entrasse qualcosa non con “gli operai” ma con il “movimento operaio” è fuorviante.

E infatti la frase del leader del Pds fuorviò molto l’analisi della sinistra sulla natura di questo partito nuovo radicato nel popolo del Nord e insieme venato da evidenti striature di destra, quelle che negli anni post-Bossi hanno preso il sopravvento e dato nuova linfa al partito reazionario di massa guidato da Matteo Salvini.

Oggi che il caporione della Lega ha preso casa davanti al mitico Bottegone – la storica sede del Partito comunista, quando “Botteghe Oscure” e “Pci” erano sinonimi, come scrisse Miriam Mafai – cronisti e osservatori sono riandati con la memoria a quella vecchia frase dalemiana, riletta come una premonizione, un’apertura di quel cerchio che oggi si chiude non esattamente con la caduta del “palazzo rosso” nelle mani di “barbari” ma con un’innegabile sentore di nemesi storica.

Che poi Salvini, che ha evidentemente introiettato la vulgata della Lega-costola-della-sinistra, si sia “allargato”, come si dice a Roma, fino a dire che «i valori di una certa sinistra che fu, quella di Berlinguer, del lavoro, degli artigiani, sono stati raccolti dalla Lega», fa parte del teatro dell’Assurdo che nemmeno Samuel Beckett avrebbe immaginato. E che però fa notizia, di questi tempi.

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