Tutti i decreti del presidenteIl governo dovrebbe fare meno annunci e più provvedimenti attuativi, di cui non c’è l’ombra

Cura Italia, Liquidità, Rilancio, anche #Iorestoacasa: Palazzo Chigi accumula un deficit di 358 atti mancanti, che si sommano ai 186 dell’esecutivo gialloverde, ai 211 risalenti a Gentiloni, ai 119 di epoca renziana e agli 11 che ancora avanzano dall’era Letta. Probabilmente nessuno di questi verrà mai approvato

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Dal decreto-hashtag #Iorestoacasa al Cura Italia fino al decreto Rilancio, non si contano più i provvedimenti approvati da Palazzo Chigi prima per contenere l’emergenza sanitaria covid-19 e poi per rilanciare l’economia del Paese. E a ogni conferenza in cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava questo o quel decreto, i toni ovviamente diventavano altisonanti.

«Nessuno deve sentirsi abbandonato. È stato questo il nostro obiettivo fin dall’inizio e oggi questa approvazione del dl lo dimostra», diceva il 16 marzo presentando il cura Italia. «Vi posso assicurare che ogni ora di lavoro pesava perché sapevamo di dover intervenire quanto prima», spiegava invece esattamente due mesi dopo (il 16 maggio) annunciando il decreto Rilancio. Eppure quell’impegno ad «intervenire quanto prima» è sfumato.

Non sono poche le norme contenute nei vari decreti legge rimaste lettera morta perché mancano i provvedimenti attuativi. Gran parte delle misure partorite dal governo, infatti, per entrare effettivamente in azione, ha bisogno di tali provvedimenti che rappresentano una sorta di “secondo tempo delle leggi”: quel momento dell’iter legislativo, cioè, in cui dal Parlamento l’attenzione si sposta ai ministeri che hanno l’onere di rendere esecutive le norme che, altrimenti, resterebbero valide solo su carta.

Esattamente come accaduto per le norme “anti-covid”: secondo quanto emerge dalla banca dati dell’Ufficio per il programma di governo (che, tra le altre cose, fa capo proprio a Palazzo Chigi), se si tiene conto dei vari dl emanati per il coronavirus negli ultimi mesi, erano previsti un totale di 143 provvedimenti attuativi, ma ne mancano all’appello ancora 105.

Partiamo proprio dal Cura Italia: su 34 totali, risultano ancora da adottare 17 provvedimenti. C’è da capire, ad esempio, come verranno utilizzati i 50 milioni previsti per il «Fondo per le esigenze emergenziali del sistema dell’Università, delle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e degli enti di ricerca»: mai adottati i criteri di riparto.

Esattamente come non risultano adottati i criteri – di cui deve occuparsi il ministero dell’Economia – per la concessione di garanzie di prima perdita ai portafogli delle banche che offrono finanziamenti alle imprese colpite dall’emergenza sanitaria. Forse, chissà, anche per la mancanza di questo provvedimento (che darebbe maggiori tutele agli istituti finanziari) le stesse imprese «sempre nei pensieri di questo governo» oggi soffrono.

In capo al Mef, però, c’è anche un altro provvedimento, quello che dovrebbe stabilire la forma della tanto blasonata “menzione” per i contribuenti che non si avvalgono della sospensione di tasse e tributi: nonostante se ne sia parlato a lungo nei mesi scorsi, anche qui è tutto fermo. E ferme risultano anche le modalità per assegnare fondi e agevolazioni speciali (come i mutui a tasso zero) al settore ittico, agrario o ancora a quello dell’aviazione.

E se il Cura Italia pare curare molto poco, non va meglio spostandoci sugli altri decreti. A cominciare dal dl Liquidità, pensato proprio per dare credito alle imprese in un momento di profonda difficoltà. Uno degli aiuti più poderosi a riguardo è la garanzia di Sace (la partecipata di Cassa Depositi e Prestiti che si occupa dell’ambito assicurativo) alle banche fino a 200 miliardi per «finanziamenti sotto qualsiasi forma concessi alle imprese con sede in Italia».

Dopo oltre un mese le «modalità per il rilascio» di tali garanzie ancora non risultano stabilite. C’è da sorprendersi? Probabilmente no: su 8 provvedimenti attuativi complessivi previsti, neanche uno risulta adottato. Stesso discorso anche sul fronte istruzione: il decreto annunciato in pompa magna da Conte insieme al ministro Lucia Azzolina il 6 giugno scorso «sulla regolare conclusione e ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento dell’esame di Stato» manca di 7 provvedimenti su 11 complessivi.

E così, per dire, anche questioni che sembrerebbero piuttosto banali restano per ora sospese, come ad esempio la «definizione delle modalità con cui la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria viene espressa attraverso un giudizio descrittivo». Vedremo cosa si inventeranno le docenti.

Il non plus ultra, però, arriva col decreto Rilancio. Le tabelle di Palazzo Chigi a riguardo sono chiare: su 87 provvedimenti previsti, 73 sono da adottare ma nel frattempo per 20 di questi i termini sono già scaduti. E così, ad esempio, sembrerebbe sfumata la ripartizione del fondo per il ristoro parziale dei comuni, «a fronte delle minori entrate derivanti dalla mancata riscossione dell’imposta di soggiorno o del contributo di sbarco»: la norma doveva essere adottata entro il 18 giugno.

Ergo: il fondo resterà fermo finché non interverrà un nuovo decreto per decidere come assegnare tali risorse. Con ulteriori perdite di tempo. Anche qui, però, non c’è da sorprendersi: lo stesso giorno è scaduto tra gli altri anche il termine per provvedere alle modalità di assegnazione di un altro fondo non secondario, quello per «la promozione del turismo».

Siccome poi non c’è fine al peggio, la iper-produzione di decreti dell’ultimo periodo ha fatto sì che la macchina amministrativa si sia ingolfata. E così, al fianco di quelli covid, resta la mole di tutti gli altri provvedimenti previsti dalle leggi approvate nei mesi scorsi: solo il Conte II ha un deficit di ben 358 atti mancanti, che si sommano ai 186 del Conte I, ai 211 risalenti al governo Gentiloni, ai 119 di epoca renziana e agli 11 che ancora avanzano dall’era Letta. Totale: un fardello di 885 provvedimenti da adottare e che, verosimilmente, tutti non verranno mai approvati.

Quel che sembra, dunque, è che al di là degli annunci, più di qualcosa si sia perso per strada. E i fondi promossi e promessi, sono rimasti nel cassetto. Anche a Palazzo Chigi. Per quanto previsto dal decreto Cura Italia, proprio la presidenza del Consiglio avrebbe dovuto occuparsi dell’istituzione di un Fondo per il 2020 «per l’adozione di misure di solidarietà per i familiari del personale medico, infermieristico e socio-sanitario, che abbiano contratto, in conseguenza dell’attività di servizio prestata, una patologia alla quale sia conseguita la morte per covid-19».

Un impegno nobile. Il cui provvedimento non è mai stato adottato. Gli “eroi” possono aspettare.