Giustizia giustaAddio Mauro Mellini, il padre intransigente, laico e radicale del garantismo italiano

Attivista, avvocato e politico, è stato in Parlamento dal 1976 al 1992 per poi continuare le sue battaglie, attraversando il quarto di secolo post-Tangentopoli con una critica sempre più documentata dell’eversione democratica rappresentata dalla tutela giudiziaria della Repubblica

Screenshot Radio Radicale

Dei molti dirigenti che fecero del Partito Radicale una nave corsara dell’eresia politica progressista, nell’Italia bloccata dal monopolio democristiano del governo e comunista dell’opposizione, Mauro Mellini non è stato il solo a rompere con Marco Pannella, ma fu quello a farlo nel modo più definitivo. 

Dopo la svolta cosiddetta “transnazionale” della fine degli anni Ottanta, da lui considerata una forma di diserzione o un mero divertissement ideologico, Mellini, terminato il mandato al CSM, in cui malgrado i dissidi l’aveva voluto proprio Pannella, continuò per così dire “in solitaria” la propria militanza sui temi della giustizia e del potere giudiziario. 

Dal 1994 a oggi, lasciando gli incarichi istituzionali, ha continuato a fare il laico e il garantista intransigente, attraversando il quarto di secolo post-Tangentopoli con una critica sempre più documentata e radicale dell’eversione democratica rappresentata dalla tutela giudiziaria della Repubblica. Nella stagione berlusconiana, ha difeso il Cavaliere «fatto oggetto di una vergognosa persecuzione», palesando però un dichiarato scetticismo sulla sua caratura ideale e sulla sua capacità di rinnovare o reinventare un pensiero e un partito liberale.

Mellini debutta da dirigente politico nel Partito radicale dopo la sua “rifondazione” da parte del gruppo della sinistra radicale nel 1963. È fin dall’inizio una figura politicamente ibrida: giurista e intellettuale sofisticato, come molti degli esponenti radicali che accompagnarono Pannella, ma anche inventore e organizzatore di campagne di successo, la principale delle quali fu certamente quella del divorzio, che diede un oggetto e un obiettivo preciso all’anticlericalismo profetico di Pannella, fino ad allora incentrato sulla battaglia anticoncordataria. 

Mellini aveva un senso pratico della politica e un particolare gusto per la vita e per la buona tavola. Era scrupoloso e sarcastico, affidabile e irascibile. Dava, molto più di altri radicali, l’impressione di intendere gli ideali politici nel senso di una particolare concretezza.

Dopo il trionfo del No al referendum del 1974, Mellini lavorò alla battaglia sull’aborto, che inflisse una seconda sconfitta storica al temporalismo politico democristiano. Emma Bonino, che fu introdotta da Adele Faccio nel mondo radicale attraverso l’esperienza del Cisa – Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto – ricorda spesso che il suo primo incontro con Pannella fu preceduto da un lungo viaggio in auto da Milano a Roma, con una tappa a Firenze per caricare proprio Mellini, che stava arringando paonazzo, con le carotidi che sembravano esplodere, una folla di femministe coi gonnelloni a proposito delle disobbedienze civili sull’aborto. E nel viaggio verso Roma Mellini pretese di fermarsi a pranzare, facendo aspettare Pannella.

Non fu per caso dunque che questo avvocato, che aveva svelato gli scandali delle cause di annullamento della Sacra Rota e l’ipocrisia della giustizia canonica, diventò nel 1976 uno dei quattro primi deputati radicali (con Adele Faccio, Emma Bonino e Marco Pannella), rimanendo alla Camera fino al 1992, regista imprescindibile delle strategie istituzionali del PR. Molti anni dopo, nel 2018, raccoglierà questa esperienza in un libro, “C’era una volta Montecitorio”.

Come ricorda una memoria storica radicale, Lorenzo Strik Lievers, anche nella strategia referendaria di Pannella – cioè nell’uso di uno strumento di democrazia diretta come forma di contropotere alla stagnazione partitocratica – c’è molta farina del sacco di Mellini. «La Democrazia cristiana ha voluto la legge di attuazione dell’istituto referendario per battere il divorzio? E noi, allora, faremo i referendum laici!». 

All’insegna della laicità e della battaglia anticlericale va in fondo intesa anche la sua lotta per la giustizia, come difesa della democrazia dal condizionamento ideologico di un potere, che non veste più gli abiti talari dei preti dell’Italia democristiana, ma le toghe dei magistrati autoproclamatisi salvatori della Patria e guardiani della probità della Repubblica.