Pochi, maledetti e subito. Ma anche meno, basta che sia subito. La crisi economica generata dal Covid e i timori per la propria salute potrebbero spingere più persone del previsto ad andare in pensione anticipatamente. Nonostante una penalizzazione che, per chi sceglie quota 100 ad esempio, si aggira intorno al 10-11% dell’assegno pensionistico.
Almeno questo è ciò che rileva uno studio pubblicato da “Itinerari Previdenziali”, secondo cui la spesa pensionistica potrebbe salire addirittura fino a 240 miliardi.
Tra quota 100, opzione donna, anticipo pensionistico (ape) sociale e chi più ne ha più ne metta, già si teme un assalto agli strumenti della flessibilità in uscita. Ma non è detto.
Almeno secondo Elsa Fornero, economista ed ex ministra del Lavoro: «L’incertezza su tutto il sistema economico, e sui redditi in particolare, in realtà potrebbe portare chi ha un lavoro relativamente solido a fare la scelta di restare, per aumentare la propria pensione. Diverso è il discorso per chi invece il lavoro non ce l’ha, per chi è in cassa integrazione. Coloro che sono vicini all’età pensionabile subiranno probabilmente molte pressioni da parte delle imprese affinché vadano in pensione».
Nel 2019 le domande per la sola Quota 100 sono state circa 150mila, ben al di sotto delle aspettative. Il contesto ora, però, è diverso: chi fino all’anno scorso aveva deciso di non accedere a questo strumento, per non vedere ridotto il proprio assegno, oggi potrebbe cambiare idea.
«Se l’alternativa è non prendere niente, finire gli ammortizzatori sociali, o avere zero introiti, meglio optare per una pensione un po’ più bassa ma almeno avere un’entrata certa», almeno secondo l’analisi del professor Alberto Brambilla, Presidente di “Itinerari Previdenziali”. Anche in vista di una possibile seconda ondata, di un secondo lockdown (magari in versione più soft).
E ora che il governo ha annunciato, con largo anticipo, che non rinnoverà Quota 100 (il periodo di sperimentazione di questa misura termina nel 2021) il rischio di un fuggi fuggi generale esiste.
Ecco perché le stime iniziali, basate su quanto accaduto nel 2019, rischiano di non valere più: «Quota 100 doveva riguardare circa 50mila persone all’anno secondo le previsioni di inizio 2020. Ma con l’arrivo del Covid e l’alta disoccupazione le domande potrebbero arrivare a 150mila all’anno», secondo Brambilla.
E se non ce la potevamo permettere prima figuriamoci con questi numeri. «Nessuno toglierà quota 100 in questa situazione» conclude Brambilla.
La professoressa Fornero ci spiega uno dei concetti che andrebbe ripensato: la curva retributiva.
«Abbiamo ancora delle retribuzioni che progrediscono semplicemente con l’aumentare dell’età. Mentre sappiamo anche che normalmente la produttività, cioè il valore aggiunto per addetto per ora, ha una curva che possiamo definire un po’ “a gobba”: sale fino ad un’età intermedia, 50-55 anni, e poi comincia a scendere. Se teniamo la retribuzione alta perché la parametriamo all’età è chiaro che le imprese vorranno mandare via i lavoratori più avanti negli anni. Se il lavoro non c’è, ricorrere al pensionamento anticipato diventa una forma di ammortizzatore sociale».
La scelta politica è in un certo senso generazionale, spiega Elsa Fornero: «Da un punto di vista economico-finanziario il nostro stato sociale ha preservato le generazioni anziane. E quell’idea di anticipare la pensione di coloro che non si possono dire giovani, ma non sono neanche anziani, non ha favorito proprio per niente quella sostituzione che era stata tanto decantata dal governo precedente».
L’anno scorso abbiamo avuto un ricambio di 1 a 3: solo che non era il rapporto sperato, perché a fronte di 3 nuovi pensionati è entrato nel mondo del lavoro solo un giovane.
Diciamo che se la staffetta generazionale non è mai stata il nostro forte in passato, non si capisce come potrebbe funzionare proprio ora che le condizioni economiche sono quelle che sono.
I contributi che un giovane lavoratore versa oggi sono tendenzialmente inferiori rispetto a quelli che versava il suo collega senior andato in pensione anticipatamente. Stipendio più basso, quota di contributi versata più bassa.
Un’operazione in perdita complessiva per il sistema, salvo per le persone che sono riuscite ad andare in pensione.
La preoccupazione di Elsa Fornero è che «se una parte di persone andrà in pensione prima, ci sarà un aumento della spesa pensionistica. Sembra che abbiamo scoperto un tesoretto, ma uno che va in banca per indebitarsi non dice di aver trovato un tesoro, ma di avere un debito. E sa di dover essere più responsabile nelle sue decisioni di spesa. Non mi pare che la classe politica abbia compreso questo punto».
Il soldi del Mes, ove mai ci decidessimo a prenderli, e considerando il vincolo di destinazione, potrebbero iniziare a mettere in moto, in piccolo, un meccanismo positivo per la nostra economia.
Nuove assunzioni nella sanità, più persone che pagano contributi. E poi una maggiore spesa in macchinari, formazione, strutture.
La proposta dell’ex ministra del Lavoro è la seguente: «Potremmo avviare delle sperimentazioni previdenziali nelle strutture sanitarie, perché l’esperienza in sanità conta. Tant’è vero che durante l’emergenza sono stati richiamati i medici in pensione. Si potrebbe far entrare un giovane e far lavorare magari part-time un medico, mandandolo in pensione parzialmente. In modo che tra la retribuzione e la pensione non ci perda. Queste sono sperimentazioni che l’Europa potrebbe inserire all’interno del Mes. Ma la discussione sul Mes, come sappiamo, non è nel merito».
Certo, parliamo del settore pubblico. Però ci saranno delle persone con un lavoro più stabile, che versano contributi, che magari possono fare un mutuo, che tornano a spendere. Un punto di partenza, poi però occorrerà trovare un equilibrio tra pubblico e privato.
Intanto le casse dei nostri istituti e delle casse previdenziali piangono, ma, rassicura la Fornero «dobbiamo tranquillizzare le persone: è vero che in questo momento i contributi non entrano, o entrano in maniera inferiore perché le persone non lavorano. Però le pensioni verranno comunque pagate. Non è che l’Inps fallisce. L’istituto vive dei trasferimenti pubblici oltre che dei contributi. Se in un momento difficile i contributi non entrano perché le persone non lavorano, è chiaro che lo Stato, o prendendo i soldi in prestito o tassando, pagherà le pensioni necessarie».
Parliamo però di un disavanzo di 26 miliardi per il 2019, e di circa 45 nel 2020. Mica poco.
La strada da percorrere per la Fornero è solo una: «Tutte le persone che stanno bene di salute devono tornare a lavorare. Le imprese devono poter produrre, esportare, i consumi devono ripartire. Vorrei evitare che facessimo sempre un quadro troppo negativo della situazione, ma allo stesso tempo dicendo “guarda però che tanto c’è lo Stato che pensa ad ogni cosa per te”. Perché purtroppo non è possibile. Lo Stato siamo noi».