L’Italia si trova di fronte a cambiamento epocale. Il Covid ha reso brutale la necessità di affrontare scelte che erano già evidenti, ma che adesso diventano non più rimandabili. Il governo attuale è la cultura che rappresenta non sembra rendersene minimamente conto è stiamo marciando (non allegramente per fortuna…, ma velocemente si) verso il burrone a cui ci hanno portato 40 anni di promesse non realistiche.
La realtà brutale, molto diversa da quello che sentiamo ogni giorno, è che i cittadini italiani nel loro complesso dovranno inevitabilmente ridurre il loro tenore di vita nei prossimi 20 anni dopo avere vissuto negli ultimi 40 anni in un terribile inganno da debito.
Bisognerà decidere e anche alla svelta chi e come ridurrà il tenore di vita. La scelta sarà dolorosissima e socialmente deflagrante perché nessun partito o leader politico ne ha mai parlato. Ma saremo costretti a fare queste scelte e anche presto.
Sarebbe bene iniziare a parlarne invece di fare chiacchiere inutili (dannose?) e spendere denaro pubblico come se non ci fosse un limite al debito. Questo governo non ha né la capacità né la cultura per affrontare queste scelte dolorose e ci sta conducendo sull’orlo del burrone nascondendo la dura realtà che come comunità saremo tenuti a conoscere ed affrontare.
1. I dati
Nel 1980 il Prodotto interno lordo italiano era equivalente a 1100 miliardi di euro del 2020. Il debito pubblico, 700 miliardi, era pari a poco più del 60%, quasi entro i limiti previsti dal trattato di Maastricht. La popolazione italiani era di 56 milioni di persone. C’erano circa 18 milioni di ragazzi tra 0 e 20 anni che sarebbero poi entrati nel mondo del lavoro, mentre gli italiani tra 45 e 65 che nei successivi 20 anni sarebbero usciti dal mondo del lavoro, erano circa 13 milioni. Un saldo netto di 7 milioni di nuovi italiani potenzialmente al lavoro pari ad una crescita del bacino di lavoro del 25%: da 27 a 34 milioni.
All’epoca se avessimo diviso il debito pubblico per la popolazione tra 0 e 45 anni cioè quella al lavoro nei successivi 20 anni, avremmo avuto circa 20mila euro a testa di debito da restituire. Una cifra più che sopportabile e soprattutto con una crescita NATURALE della forza lavoro dell’1,2% annuo molto più gestibile in prospettiva.
Invece alla fine del 2021 il debito pubblico italiano sarà di circa 2800 miliardi di euro. I giovani da 0 a 20 anni non sono più 18 milioni ma 11 milioni circa e le persone tra 45 e 65 che usciranno dal mondo del lavoro sono gli stessi 18 milioni che nel 1980 stavano per entrare. Il saldo netto è negativo: -7 milioni cioè meno 1% annuo.
Il debito di 2800 miliardi diviso per il numero di cittadini tra 0 e 45 anni di età che dovrà sostenerlo è pari a 100.000 euro a testa. 5 volte di più rispetto al 1980. con una partecipazione al lavoro del 60% il debito a carico,di,ogni lavoratore sarà vicino a 200.000 euro a testa. Un numero fantasmagorico.
Cosa è successo in questi anni? Non una guerra, ne un disastro particolare a parte il Covid (su cui si discuterà poi tra 3 o 5 anni moltissimo in termini di scelte e relativi costi), ma semplicemente il fatto che nei 40 anni tra il 1980 e il 2020 ci siamo indebitati al ritmo di circa 50 miliardi l’anno, cioè banalmente abbiamo speso 50 miliardi all’anno (circa il 3% del pil ogni anno) in più rispetto alle risorse generate. Quindi abbiamo vissuto sopra i nostri mezzi al ritmo di 50 miliardi l’anno… per 40 anni.
E abbiamo accumulato debiti per oltre 2000 miliardi nel periodo, debiti che solo in in minima parte sono stati come dati dalla crescita del pil che è stata nei 40 anni passati (prendo il pil 21 prospettico, per non infierire…) in termini reali pari a un modestissimo 15% in gran parte dovuto all’incremento demografico e in minima parte dovuto all’incremento di produttività.
Adesso a fine 2021 il debito/pil sarà pari al 170% e ci sarà impedito di fare altro debito. Non è infatti economicamente sostenibile, salvo ipotizzare un default molto prossimo salire in termini di indebitamento/pil da questi livelli elevatissimi.
Quindi l’incremento di debito che potremo permetterci sarà zero in termini reali e forse, ma con molti dubbi, pari all’1% in termini nominali ipotizzando che ci sia un po’ di inflazione è un po’ di crescita.
Uscire dall’euro è una follia pura accarezzata da populisti incompetenti e quindi… inevitabilmente dovremo ridurre il tenore di vita e cioè ridurre le spese dello stato a un importo molto simile alle entrate dello stato stesso, o solo marginalmente superiore diciamo 10-15 miliardi l’anno.
Questo è quello che ci aspetta dal 2022 in poi. Senza appello. Senza nessuna possibilità che non sia così. Senza se e senza ma. Quindi poiché è presumibile pensare che le entrate dello stato nel 2022 non siano nemmeno paragonabili a quelle del 2019 vista la crisi Covid, si dovranno ridurre le spese dello stato di almeno 30-40 miliardi l’anno.
Pensare di incrementare le entrate presuppone ipotesi non sostenibili e cioè un significativo aumento delle aliquote che sono già elevatissime, o una crescita economica del 3-4 % all’anno che appare ugualmente infattibile.
Si noti che solo l’impatto della riduzione della forza lavoro comporta una decrescita media del pil pari a meno 1% all’anno. Quindi la produttività italiana deve crescere per mantenere lo status quo delle entrate fiscali almeno dell’1% all’anno. Per riferimento nelgli ultimi 20 anni è cresciuta mediamente dello 0,1% all’anno. Una montagna da scalare.
Questi sono i numeri e in sintesi ci dicono che non potremo più indebitarci come se non ci fosse un domani. Adesso il domani è qui con noi. La festa delle promesse elettorali pagate dai figli è completamente e definitivamente finita. I partiti non sanno o non vogliono sapere che è così, ma chiunque faccia 2 calcoli elementari lo puo’ dimostrare. Per alcuni partiti la filosofia del “tassa e spendi” è endemica. Questa malattia sarà spazzata via dalla dura realtà. Non si può più. E se la malattia persiste saranno spazzati via i partiti che ne sono affetti.
Abbiamo non più una forte spinta demografica come nel 1980, ma un fortissimo freno demografico. Da +1% prima di cominciare a decidere cosa fare a -1%. Drammatico. Abbiamo sprecato negli anni buoni. Non ci siamo preparati all’inverno. E adesso l’inverno demografico è qui con noi.
La demografia è un problema durissimo da affrontare perché le scelte di oggi daranno frutti nel 2040… nei prossimi 20 anni la demografia è già scritta. La nostra è drammatica e nessun partito ha mai capito nei passati 20 anni quanto drammatica fosse. Una responsabilità storica enorme. Ma adesso dobbiamo gestire il problema. Non possiamo fare nulla anche perché l’aspettativa di vita a 65 anni nel 1980 era di 15 anni… e adesso è di 20 (19,95 dopo il covid, ma risale a 20 tra 6 mesi…).
Quindi oltre ad avere non più 11 milioni di italiani oltre 65 anni ma 17 milioni, gli anni in totale in cui devono essere supportati da chi lavora passano da 165 milioni a 340 milioni… quindi l’onore è doppio e grava su un numero di lavoratori inferiore del 20% rispetto al 1980. Questo prima ancora di affrontare il tema del costo sanitario che è esplosivo rispetto al 1980. Il costo del welfare con questa demografia è esplosivo.
– non abbiamo mai affrontato né culturalmente né politicamente il tema della produttività che è centrale ed è l’unica soluzione alternativa alla drastica riduzione del tenore di vita collettivo. Per aumentare la produttività bisogna investire pesantemente e soprattutto agire sulla produttività del settore pubblico e delle rendite di posizione “protette” in modo drastico.
Le aziende che esportano per sopravvivere hanno dovuto e saputo migliorare la produttività pena la sparizione. Non c’è nulla che aguzzi l’ingegno più che lo spirito di sopravvivenza come noto. Le aziende protette sul mercato interno e soprattutto la pubblica amministrazione sono state invece un freno potentissimo proprio perché… non esistevano incentivi di nessun tipo a migliorare. Non possiamo più permettercelo. Aumentare la produttività per capirci significa o produrre di più con le stesse persone o ridurre le persone a parità di output.
Questo è quello che lo Stato dovrà sapere fare nei prossimi 20 anni. Non ne vedo la consapevolezza, la cultura, il senso di urgenza. Ma dovrà arrivare perché siamo costretti. Per fortuna il calo di occupazione non rende drammatico sotto il profilo del tasso di disoccupazione questa transizione.
Però in Italia si dovranno necessariamente trasferire lavoro da settori pesantemente improduttivi nel confronto internazionale (pubblica amministrazione e settori protetti) a settori esportatori e necessariamente produttivi.
Questa necessità categorica è lontanissima dalla cultura dominante. Non c’è consapevolezza ne volontà di affrontare il problema. Se fossimo in azienda privata si dovrebbe pesantemente ristrutturare (= tagli e investimenti fortissimi di miglioramento processo) la pubblica amministrazione e dedicare le risorse ai settori ad alta produttività.
L’enorme spesa pubblica da Covid va esattamente nella direzione opposta e onestamente la cultura dominante e le dichiarazioni pubbliche del 90% dei parlamentari sono assolutamente inconsapevoli, per non dire strenuamente opposte a questa necessità.
Mancano competenza, realismo e leadership. Per 40 anni hanno vinto le elezioni politici che promettevano cose ridicolmente infattibili e costose. Impossibile pensare che il consenso politico venga attribuito a chi dice che dobbiamo ridurre il tenore di vita, e quindi i politici in larghissima parte interessati solo ai sondaggi e al mantenimento della loro poltrona pubblica… ci portano al burrone come i lemmings.
La nostra stratificazione sociale è drammaticamente spostata sugli anziani, sugli assistiti, sui garantiti, mentre i “produttivi non garantiti” (cioè quelli che sostengono tutto lo Stato con le tasse) sono minoranza sia elettorale che culturale.
A parte 11 milioni di giovani tra 0-20 anni (non votanti…) ci sono 18 milioni di pensionati assistiti, circa 8 milioni di persone che non lavorano (essenzialmente donne in forti percentuali al sud), circa 10 milioni di “garantiti” (pubblica amministrazione e altri settori protetti e senza concorrenza internazionale) e 13 milioni di produttivi non garantiti. Questi ultimi rappresentano quindi circa il 25% dei voti. Impensabile che la politica privilegi questi ultimi.
Esiste poi un tema territoriale, visto che assistiti e garantiti sono largamente più numerosi al sud, è inversamente i produttivi non garantiti sono concentrati al nord. Per complicare ulteriormente il quadro l’impatto Covid che è stato nullo per assistiti e garantiti ed enorme per produttivi non garantiti e ha generato una asimmetria fortissima nel tessuto sociale visto che l’onore di aggiustamento per ora è caduto interamente sei produttivi garantiti mentre assistiti e garantiti non hanno subito alcun danno né sopportato oneri di aggiustamento di alcun tipo.
Non può essere lontano il giorno in cui chi ha dovuto sopportare pressoché interamente l’onore di aggiustamento e in aggiunta dovrà sopportare anche il carico fiscale per i prossimi 20 anni chiederà, correttamente, ma speriamo senza scendere in piazza in modo non civile, che l’onore sia condiviso tra tutta la popolazione a differenza di quanto è stato fino a oggi.
Di certo il rischio che la protesta sociale esploda è tanto più alto quanto queste dinamiche non sono capite e anche in qualche modo gestite. Nella storia quando ci sono stati oneri di aggiustamento non ben ripartiti purtroppo quasi mai “è andato tutto bene”, anzi se la storia insegna qualcosa possiamo dire che andrà tutto male. Queste asimmetrie sono destinate a generare fortissime spinte di disgregazione del tessuto sociale , di cui pare solo l’ottimo ministro Lamorgese sembra preoccuparsi.
Il consenso elettorale e sociale va verso le categorie assistite e garantite, nella illusione ottica che nulla possa mai scalfire assistenza e garanzie. Non è così, ma quando succedesse è troppo tardi per tornare indietro. Quindi nessuno dice ad assistiti e garantiti che se i produttivi non garantiti vanno in crisi prima o poi la mannaia cadrà pesantissima su prestazioni sociali e garanzie è come dire al condannato che la pena si avvicina. Meglio rimandare. Specie se il condannato vota per chi sta la potere. C’è sempre l’illusione che alla fine si risolva il problema è quindi si rimanda si rimanda fino a quando non sarà proprio più possibile rimandare.
Il governo Conte è la massima espressione storica del rimando. Una vera e propria eccellenza storica assoluta, nel momento in cui sarebbe assolutamente necessario l’opposto. Infatti è molto popolare. Nessuna sorpresa.
Infine la categorizzazione sociale italiana e l’immigrazione degli ultimi 10 anni ha trasformato le classi economicamente più deboli (il proletariato degli anni 70-80) in una classe ferocemente difensiva nei confronti degli immigrati che vengono dipinti come coloro che intaccano privilegi e diritti acquisiti (pesantemente a debito come si è visto ma questo non viene mai detto).
Quindi il populismo anti-immigrati è fortissimo proprio perché la percezione degli strati più deboli e anche ultimamente del ceto medio è che siano gli immigrati (oltre il 10% della popolazione) ad avere messo a rischio la prosperità acquisita.
Non è chiaramente così, la prosperità acquisita è finta e deriva solo a dal debito, ma i cittadini hanno chiaramente la percezione che stia per finire e cercano il “colpevole”. I populisti sono stati abili ad offrire due menzogne e cioè che “abbiamo sconfitto la povertà” (Movimento 5 stelle) oppure che “è tutta colpa degli immigrati e dell’Europa” (Lega).
È sempre più difficile ammettere che invece è colpa di chi ci ha amministrato in modo totalmente miope negli ultimi 40 anni identificando sempre i “nemici” e non i problemi da risolvere, anche perché alla fine li abbiamo votati noi e perché l’antipolitica offre facile sponda dialettica in questo senso.
Anche questa malattia non è facilmente curabile perché le ricette semplici, le promesse elettorali, il “noi siamo nuovi e diversi” hanno facile presa, anche se il ciclo della promessa-delusione-accantonamento brutale è rapidissimo.
I 5 Stelle sono a fine ciclo e il loro dissolvimento è palese. Credo stia iniziando il dissolvimento anche della Lega, ma iniziamo nuovi cicli (Fratelli d’Italia) e altri ancora seguiranno. Manca del tutto e bisogna ammettere per validi motivi, (mancanza di offerta…) la fiducia in una politica che affronti i problemi della collettività, anche perché come visto il medico non potrà essere pietoso e bisognerà prendere medicine molto amare.
2. Cosa fare.
Non abbiamo alternative. Dobbiamo cercare di mantenere unita la nostra comunità aumentando la produttività e aumentando la partecipazione al lavoro. Bisogna che lavorino molte più donne, molte più persone al sud e che la produttività del lavoro salga moltissimo. Non esiste altra soluzione economica sostenibile o logica.
Chi parla di patrimoniale dimentica che su 2800 miliardi di debito una patrimoniale anche brutale per 200 miliardi di euro ridurrebbe in modo pressoché irrilevante il debito (da 2800 a 2600) è molto probabilmente ridurrebbe investimenti, consumi e base imponibile per ammontare molto simile nei successivi 5 anni.
Oltre a generare una crollo dei consumi piuttosto duraturo, è come vendere le canne da pesca per comprare i pesci. Per pochi giorni o mesi puo’ anche funzionare. Poi quando i pesci sono esauriti la fame diventa ancora peggiore e canne da pesca e pescatori sono nel frattempo tutti scappati.
La nostra comunità deve generare lavoro, produttività, base imponibile e tasse. Tutto ciò è inesorabilmente attività delle imprese private che assumono e pagano tasse e contributi. Le imprese private per fare ciò assumono rischi, che vanno remunerati e incentivati. lo stato non può e non deve sostituirsi. Deve piuttosto arretrare e incentivare. Anche qui non c’è alternativa possibile.
L’imperativo del lavoro, della capacità di assumere rischi e della generazione di base imponibile e tasse, così come l’imperativo del lavoro femminile e del sud sono priorità assolute per la nostra comunità.
Bisogna superare la vecchia e antistorica divisione tra lavoro e capitale. Vanno creati meccanismi di compartecipazione della forza lavoro al plusvalore generato con produttività. Il nuovo sindacato è quello che aiuta il lavoro a scegliere gli imprenditori migliori, e i nuovi imprenditori sono quelli che coinvolgono anche da un punto di vista economico i lavoratori nella generazione di valore.
Bisogna capire che il sud è un immenso valore nel turismo e nell’esportazione di bellezza, cultura, cucina,clima e benessere. Il turismo al sud è una assoluta priorità nazionale
Bisogna capire che la formazione dei giovani deve essere selettiva. Il titolo di studio è un’opportunità, non un diritto. La riqualificazione della scuola, i test invalsi, il premio alla produttività anche nell’istruzione è il nostro migliore investimento. I nostri pochi, anzi pochissimi giovani devono essere formati e avere produttività altissima.
Non devono andare all’estero attirati da salari più alti e dobbiamo premiare sia economicamente che socialmente chi è più bravo ad educarli, abilità facilmente misurabile e incentivabile… se si vuole davvero farlo.
Bisogna risolvere definitivamente la piaga dell’evasione fiscale attraverso strumenti di verifica moderni o anche solo con la chiara dichiarazione che controlli a campione saranno possibili e reali avendo percezione di dove si annidano le maggiori sacche di evasione.
Bisogna capire che i salari sono intrinsecamente legati alla produttività. Pretendere di slegare le due variabili è condannarsi alla disoccupazione e al default. Non c’è scampo e va detto chiaramente. Tutti devono potere lavorare e il salario dipende dalla produttività.
Infine bisogna capire che il tenore di vita di tutti o quasi tutti sarà minore. Se non troviamo la spinta ideale come collettività a creare opportunità di permanenza in Italia dei nostri giovani anche con molti sacrifici siamo condannati al futuro potenzialmente drammatico del default. Se non troviamo una spinta ideale come italiani, come cittadini, come elettori a questo programma ventennale di rinascita ci condanniamo a un futuro terzomondista in cui saremo solo marginali in Europa e nel mondo.
Io sono bergamasco. Ho visto le bare in luoghi che per me hanno significato. Ma da bergamasco la canzone “rinascerò rinascerai“ ha valore, mi commuovo nel sentirla come mi sono commosso nel vedere il video con sui abbiamo promosso l’Italia per le Olimpiadi Invernali del 2026. Siamo un paese unico e noi “facciamo accadere l’impossibile”.
La dignità del lavoro, lo spirito di sacrificio che ha costruito l’ospedale degli alpini in 15 giorni, la composta dignità nel lutto, la volontà di ripartire a testa bassa e ricostruire tutto da capo se necessario, l’assenza di polemiche tra noi bergamaschi anche dopo 6000 morti in provincia, il guardarsi tutti in faccia e capire che si può e si deve rinascere in silenzio con il lavoro di ogni giorno come hanno fatto tanti anni fa i nostri padri e i nostri nonni sono parte di me.
Questi valori di attaccamento e dignità del lavoro, collaborazione tra tutte le classi sociali, semplicità e volontà di migliorarsi devono secondo me essere alla base della rinascita di un paese che si è cullato in pericolose illusioni, offerte e promesse da molti che non hanno mai davvero lavorato e costruito qualcosa di concreto.
Affrontiamo la realtà per quanto sgradevole. Possiamo farcela se lavoriamo e smettiamo di promettere la luna facendo solo debiti per i nostri figli. «Rinascerò, rinascerai. Siamo nati per combattere la sorte, ma ogni volta abbiamo sempre vinto noi». Dimostriamo al mondo cosa sanno fare gli italiani. Con i fatti concreti, nello stile dei bergamaschi con poche parole e nessuna promessa, solo lavorando tutti i giorni, un mattone alla volta.