Happy DaysBiden, il candidato perbene alleato della luce e avversario delle tenebre

Si è conclusa la convention democratica via Zoom, l’obiettivo di raccontare “zio Joe” come una brava persona è riuscito. Ma ora tocca a Trump

Afp

Prima del discorso cui cui è resuscitato Joe Biden, la serata finale della convention digitale pareva un dubbio tentativo di piano B. Messo su dai registi dell’evento, per salvarlo in caso di discorso disastroso del candidato; facendolo diventare un classico della commedia. Con collegamenti coi rivali delle primarie così briosi da finire a cercare, nei riquadrini tipo Zoom, Rock Hudson e Doris Day. Col distacco ironico carpiato nel far presentare la serata del vicepresidente di Obama a Julia Louis-Dreyfus, la protagonista della serie Veep. La vicepresidente cialtronissima che diventa presidente, a un certo punto, anche se.

Con Michael Bloomberg in modalità cattivo da Una poltrona per due, ha avuto un suo spazio lontano dagli altri ex candidati perché è finanziatore miliardario. Con l’innesto giovanilista di Sarah Cooper, che su Tiktok si fa doppiare da Trump (chiunque l’abbia vista associa per sempre la voce di Trump alle sue smorfie di ragazza giamaicana; le hanno dato molto più tempo di Alexandria Ocasio-Cortez, e si è notato).

E, per dare un tocco alla Frank Capra, con un bimbo commovente. Lo è stato davvero, il tredicenne Brayden Harrington, balbuziente come Biden. Biden, ha raccontato Brayden, «mi parlato delle poesie di Yeats che legge ad alta voce per esercitarsi. Mi ha fatto vedere come mette segni sui suoi discorsi per poterli leggere più facilmente. Così l’ho fatto anch’io. E ora sono qui a parlarvi del futuro, del nostro futuro». Seguiva sincera commozione su tutte le piattaforme digitali. Poi planetaria considerazione «ma che brav’uomo». E Brayden ha aperto per il candidato con più efficacia di chiunque.

Su Biden, anziano consapevole che da mesi parlava dal suo scantinato in Delaware, le aspettative erano ormai bassissime. Si sperava leggesse senza intoppi ed evitasse gaffes a braccio, insomma bastava la sufficienza. L’ex vicepresidente ha preso otto, qualcosa più, qualcosa meno, dipende da chi analizza.

Ha esordito promettendo di essere 1un alleato della luce, non delle tenebre», tenebre di rabbia e divisione; ed è un modo abbastanza chiaro di inquadrare lo scontro elettorale. E d’ora in poi luce contro tenebre sarà, probabilmente, lo slogan-guida della campagna elettorale. Si è poi lanciato in un discorso «da Uncle Joe al suo meglio», si twittava da più parti. Dopo aver annunciato la fine della stagione di tenebre, Biden ha parlato di New Deal e di Franklin Delano Roosevelt; forse era il passaggio di sinistra del discorso, non ha troppo convinto. Ha continuato a funzionare la contrapposizione buio-luce, la prospettiva di tempi nuovi di «luce e amore». E di decency.

È la parola chiave decisa dalla sua campagna per definire Joe Biden. È un decent man. La sua qualità, che lo contrappone a Donald Trump, è la decency, la decenza-decoro nell’etica, nei costumi, nei rapporti col prossimo. L’essere perbene con più cuore, in qualche modo. Un altro suo slogan lanciato nel discorso di ieri è «decenza, scienza e democrazia nella scheda elettorale». L’aneddoto-tormentone che Biden continuerà a raccontare per convincere qualche bianco vecchio del Midwest è quello su suo padre, anche lui un decent man, che perde il lavoro e che gli spiega «il lavoro non è solo stipendio, il lavoro è dignità».

Biden ha obbligatoriamente parlato male di Trump, che «ha fallito nei suoi doveri più elementari verso la nazione». Ha rassicurato subliminalmente gli elettori repubblicani commentando «è andata proprio malissimo», con quattro crisi epocali, il Covid, l’economia, il razzismo, il clima. «Capisco quanto sia difficile oggi sperare», ha detto, poi ha concluso più ottimista. Soprattutto, finito il discorso, Biden, Kamala Harris e coniugi sono usciti nel parcheggio del centro congressi sistemato come un drive-in. Stemperando nell’atmosfera American Graffiti – anzi, Happy Days – la cupezza della fase storica e della convention senza pubblico.

Dopo di che, le convention non spostano più di tanto il consenso. Fanno danni quando si sbagliano. Come nel 2016 con Hillary Clinton a Philadelphia, dove si fecero molte feste private, si parlò tanto di Trump, e poco altro. E Bernie Sanders non era stato trattato bene, allora (stavolta era sorridente, in streaming con faccia da membro del Comitato di liberazione nazionale acquartierato nei prati del Vermont).

Magari, quest’anno, qualcosa sposterà. Di certo è stata una convention con due momenti storici: gli appelli alla salvezza dell’America e della democrazia fatti da un ex presidente e un’ex first lady, e non era mai successo. E con una sorpresa la serata-Cocoon di Joe Biden. Che concludendo ha citato un verso di Seamus Heaney, «è il nostro momento di far rimare storia con speranza».

E ora, il  suo messaggio elettorale è tagliato anche per chi guarda solo film di supereroi. E il proporsi costantemente come un decent man rende meno digeribili i comportamenti trumpiani. E l’essere apparso articolato, e in grado di dibattere Trump, ha rasserenato, per il momento, molti elettori. E, poi, ha detto ieri sera Julia Louis-Dreyfus, «Joe Biden va in chiesa così spesso da non aver bisogno dell’esercito e dei lacrimogeni per arrivarci».

Alludeva a Trump, che fece sgombrare la strada dai dimostranti per arrivare alla chiesa di fronte alla Casa Bianca e agitare una Bibbia, a rovescio (la convention repubblicana ci sarà la settimana prossima; si cerca uno speaker che rimpiazzi Steve Bannon; la coppia del Missouri che uscì armata dal villone a minacciare i manifestanti di Black Lives Matter sembra confermata; e altro).

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