Al Carmelo della Santa Cruz y San José la conoscono come madre María Mónica del Niño Jesús. Ma in Argentina è nota come suor Mónica Astorga Cremona e, soprattutto, come la suora o la madre delle trans. Da anni la carmelitana scalza, che è priora dell’unico monastero di clausura nella diocesi di Neuquén (Patagonia argentina), è infatti impegnata ad aiutare le donne trans che a lei si rivolgono per uscire da condizioni di disagio o dalla prostituzione, trovare un’occupazione o imparare un mestiere.
In tale attività ha incontrato opposizioni da larghi settori della Chiesa ma ha potuto sempre contare sul sostegno di Jorge Mario Bergoglio, prima come arcivescovo di Buenos Aires (dove hermana Moníca è nata nel 1967), poi come papa. In varie lettere Francesco ha espresso il suo incoraggiamento per un progetto che, avviato tre anni fa dalla claustrale, ha visto la sua completa realizzazione il 10 agosto scorso a beneficio di coloro che sono marginalizzate dalla società. «All’epoca di Gesù – così il papa in una missiva di qualche anno fa – i lebbrosi erano scacciati allo stesso modo».
Si tratta del “Condominio sociale protetto per donne trans” chiamato La costa del Limay, che, ubicato nel quartiere Confluencia di Neuquén e composto di 12 miniappartamenti, rappresenta il primo complesso abitativo permanente al mondo per persone trans in stato di vulnerabilità. Si tratta di un edificio di due piani con sei appartamenti di 40 mq per ogni livello, un ampio salone a uso comune e un parco di 120 mq.
A beneficiarne in forma di comodato 12 donne trans tra i 40 e i 70 anni, che hanno partecipato al colmo della gioia, dieci giorni fa, all’inaugurazione salutata con gioia anche da Francesco. Nell’ultima lettera inviata alla religiosa ha infatti scritto: «Cara Mónica, Dio che non è andato al seminario né ha studiato teologia, ti ripagherà abbondantemente. Prego per te e per le tue ragazze. Non dimenticare di pregare per me. Gesù ti benedica e la Santa Vergine ti assista. Fraternamente, Francesco».
Nonostante sia ligia ai ritmi della vita claustrale e non conceda facilmente interviste (in un suo post su Facebook ha chiesto ieri di non essere chiamata non avendo «nulla da dire»), hermana Mónica ha deciso di parlare del suo progetto con Linkiesta.
Che cosa l’ha spinta a impegnarsi con tanto entusiasmo per le donne trans?
Tutto è iniziato 14 anni fa. Alcune donne trans mi domandarono aiuto per smettere di prostituirsi. Io chiesi allora che sogni avessero e una di loro, Katiana, mi disse: «Avere un letto pulito per morire». 11 anni fa la diocesi ha prestato una casa e delle stanze per lo svolgimento di diverse attività. Nel 2017 ho chiesto al Comune un terreno edificabile: hanno concesso il terreno e dall’Ufficio del Governatore è arrivato l’invito di preparare un progetto di edilizia abitativa. Dopo tre anni il progetto è una realtà concreta.
Francesco le ha scritto una lettera in risposta alla sua in cui raccontava come si era svolta l’inaugurazione del Condominio. Ma l’ha fatto anche in prossimità della cerimonia?
Il Papa conosceva la nostra comunità ancor prima che diventasse vescovo e nel 2009 è venuto a trovarci. In quell’occasione l’ho informato che seguivo le donne trans e lui mi ha detto: «Non abbandonare il lavoro di frontiera che il Signore ti ha dato». Gli scrivo quando voglio condividere qualcosa con lui. Qualche giorno prima dell’inaugurazione mi ha scritto: «Condivido la tua gioia per gli appartamenti. Auguri e benedizioni. Ti sono vicino. Va’ avanti e non abbandonare mai l’orazione. Un saluto affettuoso alla comunità. Per favore continua a pregare per me. Gesù ti benedica e la Santa Vergine ti assista. Fraternamente, Francesco».
Lei è superiora di un monastero di clausura. Quando entrò al Carmelo, immaginava che sarebbe stata vicina alle donne trans? Come riesce a coniugare la vita di contemplazione con una tale attività?
Sono entrato al Carmelo 35 anni fa. Ho sempre pensato che la mia preghiera e la mia vita dovessero essere finalizzate alla presa in cura di chi è scartato dalla società. Fin dal primo giorno ho chiesto a Gesù di mostrarmi i volti e i nomi delle persone. Per il resto, io sono un semplice mediatore. Conduco la mia vita in monastero. Le donne transgender vengono qui per pregare e parlare: si mette su qualche progetto e io comunico per e-mail o telefono con le persone da aiutare.
Santa Teresa d’Avila fu a volte incompresa dalle autorità ecclesiastiche del tempo. Nel 1578 il nunzio apostolico in Spagna, Filippo Sega, arrivò a definirla «femmina inquieta e vagabonda». Secondo lei, se la fondatrice del Carmelo fosse vissuta oggi, avrebbe fatto e approvato il suo impegno per le donne trans?
Non ho dubbi che oggi santa Teresa farebbe lo stesso e molto di più.
Lei ha parlato del sostegno di Bergoglio sin da quando era arcivescovo di Buenos Aires. Hai mai incontrato ostilità da parte del clero di Neuquén?
Nella Chiesa locale sono pochissimi coloro che approvano una tale attività.
Violenza, discriminazione e omicidi di donne trans non si fermano in Argentina e nel mondo. Cosa pensa che dovrebbero fare le autorità civili per fermare tutto ciò?
Credo che nessuno sia veramente interessato alle persone trans ed è per questo che non faranno nulla.
Il 19 agosto lei ha pubblicato su Facebook una foto della bandiera transgender in occasione del 21° anniversario della sua ideazione da parte di Monica Helms. Non ha paura di essere accusata di ideologia anche dai cattolici come spesso accade molto con chi si spende per i diritti delle persone Lgbti?
Mi hanno già accusato di tutto, non credo abbiano più niente da dirmi.
Nonostante i diversi toni pastorali di Papa Francesco, nella Chiesa cattolica c’è ancora molta indifferenza e spesso ostilità nei confronti delle persone Lgbti. Che cosa ne pensa?
C’è ancora molta strada da fare nella nostra amata Chiesa. C’è bisogno di interpretare il Vangelo. C’è bisogno di informazione e formazione. Però credo che si stia avanzando a poco a poco.