Più che un memoir, somiglia alla sceneggiatura di un film (forse lo sarà?): i dialoghi sono azzeccati (forse troppo?), le scene si susseguono con fluidità, i personaggi emergono nel corso della storia, crescono, cambiano, imparano e insegnano. Eppure “Borges and Me. An Encouter”, dello scrittore e poeta americano Jay Parini, è opera di non-fiction.
Anzi, è un memoir, il resoconto della settimana che l’autore passò, da giovane e sperduto dottorando in Scozia nel 1970, a scarrozzare nientemeno che il celebre scrittore argentino Jorge Luis Borges sulla sua macchina.
Una storia vera, insomma, che parla di scrittori e, come si vedrà, di scrittura. Da un lato c’è lui, studente wannabe poeta (lo diventerà eccome) fuggito a Saint Andrews dall’atmosfera soffocante della famiglia in Pennsylvania e, soprattutto, dalla paura di finire arruolato in Vietnam. Dall’altro c’è il mentore, anche lui poeta, Alastair Reid. In mezzo, il gigante argentino: solenne, già cieco ma brillantissimo. Cioè Borges, di cui Parini non aveva mai sentito nemmeno il nome fino alla settimana prima dell’incontro.
Come in un romanzo (o in un film), a causa di un contrattempo toccherà proprio al giovane aspirante scrittore occuparsi di lui, visto che Reid si trova costretto ad assentarsi per un problema familiare.
Non ne è onorato, e neppure contento. Anzi, è infastidito perché l’impegno lo obbliga ad allontanarsi, anche se per poco, dalla ragazza su cui aveva delle mire e, soprattutto, dal lavoro sulla tesi di ricerca. Come in ogni film, l’esperienza passata con il grande vecchio si rivelerà ben più formativa.
Insieme i due gireranno per le Highland scozzesi: uno a guidare e ascoltare, l’altro a ricordare, declamare, ripercorrere le proprie conoscenze e intuizioni in dialoghi a volte troppo belli per essere creduti (ma l’autore garantisce che fin dai tempi delle scuole superiori avesse preso l’abitudine di segnarsi tutto: eventi, storie, frasi, espressioni su diari e quaderni).
Alla diffidenza iniziale seguirà lo stupore, la comprensione, anche un soccorso inaspettato (Borges scivola da una collina e si ferisce, con tanto di notte in pronto soccorso) e infine l’ammirazione.
Ci sono anche figuracce: Borges è affascinato dall’omonimia tra il suo nuovo autista e il celebre autore del “Giorno”, che però il nostro non aveva mai letto («Avrebbe mai scoperto la mia bugia?»), o semplici incomprensioni tra Palermo (città) e Palermo (quartiere di Buenos Aires), che conducono a simpatici siparietti.
Tutto il libro, del resto, è costruito per divertire: anche il tono oracolare dello scrittore argentino, i suoi voli pindarici (chi lo ha conosciuto assicura che è una descrizione efficace), i salti di palo in frasca, le continue citazioni, le asserzioni definitive – contrapposte alle rudezze di Parini – funzionano. «Andiamo, voglio vedere le Highland!». «Ma lei è cieco».
Ogni passaggio è cadenzato da idee, professioni letterarie, piccole lezioni concentrate in aforismi. «Tutto ciò che passa per la memoria diventa finzione», dice a un certo punto Borges (e sembra essere la poetica alla base di questo libro).
E ancora, alla domanda se credesse nell’esistenza degli angeli, l’argentino risponde: «Ma io credo a tutto, mio caro ragazzo. È il segreto della vita. Del resto “Bileven”, in Middle English, vuol dire “tenere ben stretto”. È lo stesso di “gelefen”, che è diventato il tedesco “Glauben”». Di fronte a questi excursus etimologici Parini si rassegna: «Avevo capito che sarebbe stata una settimana molto lunga».
Di giorno in giorno, di conversazione in conversazione, il giudizio cambia. Jay Parini si scopre autocritico sulla propria istruzione («È una farsa») e Borges lo soccorre: «Allora devi metterti, con determinazione, nella biblioteca di tua preferenza. Ma vedi, esiste solo una biblioteca in realtà: quella universale».
È l’inizio di una amicizia, che si snoderà tra letteratura e confidenze, fatterelli quotidiani e grandi riflessioni. La concezione borgesiana del mondo, che si stende lungo i dialoghi, è ben raccolta: tutti scrivono la stessa storia, gli autori non esistono davvero e il concetto di originalità (di origine romantica) è una mezza truffa. La poesia è circolare e davvero «il destino del poeta è quello di scomparire».
Su tutto questo, Jay Parini puntella la sua versione letteraria di “Scent of a Woman”, il suo “Attimo fuggente”, un tour letterario vero e falso al tempo stesso, in cui si intrecciano il ricordo e la ricostruzione, per dare un risultato che è del tutto «autentico. Proprio perché è inventato».