Le ultime partite di una stagione calcistica sono spesso un’anteprima della stagione successiva. Soprattutto per le nuove maglie, che vengono indossate negli ultimi 90 o 180 minuti, come per metterle in vetrina. O come spoiler.
Abbiamo già visto il nuovo kit da trasferta dell’Inter con il template reticolato nerazzurro su sfondo bianco, indossato nell’ultima gara di campionato contro l’Atalanta. O la maglia della Roma che strizza l’occhio al passato – richiama la “maglia ghiacciolo” disegnata da Piero Gratton e usata nel biennio 1978-1980 – portata in campo da Dzeko e compagni anche in Europa League. O il rossonero del Milan che celebra la Galleria Vittorio Emanuele II e le “pennellate” nere sulla maglia a sfondo bianco della Juventus.
Negli ultimi anni il mondo del calcio è stato influenzato dalla moda e da diversi segmenti della cultura pop, creando nuovi modelli di maglie: distanti dall’idea di divisa da gioco usata solo per rappresentare i colori sociali di un club, o per distinguersi dall’avversario.
La maglia di una squadra, così come felpe, giubbotti e tutto il resto, stanno esplorando forme di espressione artistica impensabili solo fino a qualche anno fa.
«Sono cambiate le priorità dei tifosi, che non vogliono solo un kit da gara, ma un vero e proprio capo d’abbigliamento spendibile ovuqnue», dice a Linkiesta Torsten Hochstetter, ex Global creative director di Puma e, prima ancora, al servizio di adidas tra Stati Uniti, Giappone e Germania. «Questo comporta, per noi stilisti, un lavoro diverso dal passato, che oggi si mescola con il fashion e non rimane solo nel calcio», prosegue.
Il mercato delle maglie deve seguire le nuove tendenze. «In Italia solo di recente ha iniziato a diffondersi l’abitudine di uscire, magari per andare a casa di amici o al bar, con la maglia della propria squadra del cuore come se fosse un qualsiasi capo di abbigliamento. E allora bisogna fare in modo che possa essere indossato con i jeans, o con gli shorts, o le scarpe più in voga. Per questo si adottano anche colori che non sono necessariamente in linea con la storia del club: bisogna offrire la possibilità di avere un guardaroba variopinto», dice Hochstetter.
Un paio d’anni fa, in occasione dei Mondiali di Russia 2018, Nike presentò la maglia della Nigeria, stupendo molti appassionati: un concept quasi rivoluzionario che rendeva ancor più sfumata la linea di separazione tra divisa e streetwear.
In Italia la Juventus si sta imponendo come avanguardia nel settore: la maglia portata in campo lo scorso ottobre, nella partita contro il Genoa, segnava l’inizio della collaborazione con il brand londinese Palace.
Le iniziative della Juventus non sono legate solo al prodotto (la maglia, in quel caso) in quanto tale, ma fanno parte di un più ampio progetto di ridefinizione del brand – in cui il marchio del club deve saper “uscire” dal campo – nell’ottica di un rinnovamento di tutto il marketing.
Non a caso il club bianconero, dalla stagione 2015/16, ha iniziato a gestire in proprio le attività di merchandising, senza demandare i processi decisionali allo sponsor di turno. Una strategia di lungo periodo che ha permesso di investire, monitorare e gestire a piacimento le collaborazioni con diversi brand, per far crescere una delle voci più importanti all’interno del bilancio di una società di calcio: i ricavi commerciali.
«La nuova attenzione alla moda nel calcio è legata anche all’interesse dei club, che ogni anno vogliono una maglia innovativa, vendibile al bacino di persone più ampio possibile», dice Hochstetter.
Il report di Deloitte Football League Money 2020 ha mostrato come per i grandi club la voce solitamente più imponente del bilancio è proprio quella commerciale. Nel caso del Barcellona, che vanta un fatturato record di oltre 840 milioni di euro per la stagione 2018/19, i ricavi commerciali sono 353,5 milioni, il 46 per cento del totale. E lo stesso vale per il Real Madrid (47 per cento del fatturato) o per il Manchester United (45 per cento).
Nei ricavi commerciali – che mediamente valgono il 40 per cento del fatturato di un grande club europeo – il segmento più corposo di solito è quello degli sponsor, seguito proprio dal merchandising, sempre più in crescita.
Nel caso della Juventus – decima nella Deloitte Football Money League 2020 – l’acquisto di Cristiano Ronaldo ha dato una grande spinta alle operazioni commerciali: il fatturato è cresciuto da 395,4 a 459,7 milioni di euro, di cui il 41 per cento è rappresentato dai ricavi commerciali.
E per la società di consulenza Euromericas Sport Marketing la Juventus avrebbe venduto – proprio grazie a CR7 – circa 1,3 milioni di maglie bianconere nell’esercizio 2018-2019, portando i ricavi da vendite di prodotti e licenze del club da 27,79 milioni (2018) a 44,02 milioni (2019).
Per l’Inter, che negli ultimi anni è stata la squadra italiana con la crescita migliore in termini di ricavi commerciali, questi valgono 154,5 milioni su un fatturato di 364,6, il 42 per cento. Margini di crescita ancora tutti da esplorare invece per altri due club italiani che sono state spesso in zone alte di classifica come Roma (24 per cento) e Napoli (20 per cento), a dimostrazione anche della differenza nelle politiche societarie di Inter e Juventus rispetto al resto d’Italia.
Diversificare il bilancio, per un club è fondamentale, una vera crescita organica non è possibile solo con gli incassi dai diritti tv. I club più grandi e più ricchi sono avvantaggiati: questi possono ambire a collaborazioni con altri brand di spessore internazionale, possono investire grosse somme e crescere ancora.
Anche le società più piccole, però, hanno il loro margine di manovra. Anzi, non avendo la massima attenzione da parte degli sponsor tecnici – che preferiscono puntare sulle partnership più onerose – avrebbero bisogno ampliare i loro investimenti e costruirsi una credibilità anche “off the pitch”, facendo crescere il loro brand e allineandosi alla tendenza globale e ormai radicata di un prodotto calcistico con un certo gusto per l’estetica.