È stato decisivo il Golfgate. «Era chiaro che il mio recente controverso viaggio in Irlanda stava diventando una distrazione per il mio lavoro e avrebbe minato i prossimi decisivi mesi. Sono orgoglioso dei miei risultati come commissario europeo e spero che la storia li giudicherà favorevolmente, quando sarà fatta la valutazione finale».
La carriera politica europea del commissario al Commercio Phil Hogan si interrompe bruscamente con le dimissioni dopo il caso scoppiato nella sua Irlanda. Secondo quanto raccontato dall’Irish Examiner, Hogan ha prima violato la quarantena di 14 giorni, prevista dalle autorità locali per chiunque arrivasse nell’isola a prescindere dal risultato del tampone, partecipando poi a una cena per festeggiare i 50 anni dell’Oireachtas Golf Society, il golf club del Parlamento irlandese.
Un evento a cui erano presenti più di 80 persone, in aperta violazione delle regole irlandesi anti-Covid che prevedono riunioni di massimo sei persone a eccezione di matrimoni e feste religiose. «Ha partecipato in buona fede: se avesse saputo che non venivano rispettate le regole non sarebbe andato», ha dichiarato la portavoce della Commissione Europea.
Un caso che offusca così uno degli astri nascenti della politica continentale: fino a poche settimane fa Hogan sembrava il profilo giusto per succedere al brasiliano Roberto Azevedo alla guida dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Un upgrade a cui lui stesso aveva rivolto più di un pensiero, prima di essere convinto dalla presidente Von der Leyen a rinunciare per non avere un Commissario al Commercio a mezzo servizio per mesi.
«Mi scuso pienamente e senza riserve per aver partecipato alla cena dell’Oirechtas Golf Society». Sin da subito il tweet di scuse di Hogan non sembrava essere sufficiente per il governo di coalizione irlandese. «Apprezziamo le scuse di Hogan ma rimane la preoccupazione: Hogan ha violato le regole di salute pubblica da quando ha iniziato a muoversi nel Paese» hanno dichiarato in una nota congiunta il primo ministro (Taoiseach) Michael Martin, il vice Leo Varadkar e il ministro dell’Ambiente e leader dei Verdi Eamon Ryan.
Parole che hanno segnato il venir meno della fiducia dell’esecutivo, raccontato anche dalla dura intervista al programma “Morning Ireland” di Radio RTE del ministro della Salute Stephen Donnelly che ha definito «l’evento al golf club una vergogna assoluta e uno schiaffo in faccia alle tante famiglie che hanno fatto sacrifici durante l’epidemia di Covid-19». Un caso che non ha colpito solo Hogan: alla festa c’erano anche il ministro dell’Agricoltura Dara Calleary, il vicepresidente della Camera alta Jerry Buttimer e il giudice della Corte suprema Séamus Woulfe, tutti costretti alle dimissioni o alle pubbliche scuse.
In merito all’evento ha chiesto spiegazioni sull’accaduto anche la presidente della Commissione von der Leyen che in cambio aveva ricevuto un memorandum a firma dello stesso Hogan con tutti i suoi spostamenti in Irlanda dal 31 luglio al 22 agosto.
Un atto dovuto, visto che il portafoglio del Commercio rendeva Hogan un commissario molto importante negli equilibri di Bruxelles. Giunto al suo secondo incarico europeo, dopo essersi occupato di agricoltura nella commissione Juncker, Hogan aveva sulla sua scrivania dossier molto importanti che vanno dalla Brexit ai delicati accordi commerciali tra Europa e Stati Uniti che potrebbero essere minati dalla digital tax che molti governi europei stanno attuando e che rischia di scatenare ritorsioni da parte di Washington.
Per questo la presidente della Commissione aveva chiesto al suo commissario al Commercio di rinunciare alla carica di direttore generale del Wto, un impegno che avrebbe comportato mesi di campagna elettorale e il rischio di far passare importanti dossier in secondo piano.
La spinta di Dublino per le dimissioni di Hogan è stata decisiva e rappresenta un evento senza precedenti. I commissari, infatti, sono nominati dai governi nazionali ma sono rappresentanti europei, che non rispondono quindi a coloro che li hanno scelti. Mercoledì sera la presidente von der Leyen ha pubblicato una nota per commentare le dimissioni: «Rispetto la sua decisione. Gli sono molto grata per il suo lavoro instancabile come commissario per il commercio dall’inizio di questo mandato. Era un membro prezioso e rispettato del Collegio (dei commissari, ndr). Gli auguro tutto il meglio per il futuro».
A questo punto sembra probabile che il governo di Martin proponga la candidatura di David O’Sullivan al Commercio, ex ambasciatore dell’Unione Europea negli Stati Uniti e figura ben conosciuta a Bruxelles per i suoi trascorsi all’interno delle commissioni guidate da Romano Prodi e José Manuel Barroso, sebbene spetti sempre a Von der Leyen l’ultima parola.
In alternativa è possibile che Dublino appoggi un nuovo politico proveniente dallo stesso partito di Hogan, il Fine Gael, visto che Martin e il suo vice Varadkar hanno già previsto che il prossimo Commissario europeo irlandese sarà di Fianna Fail. Con le dimissioni di Hogan si crea un precedente pericoloso per l’Unione, non solo per il ruolo di Hogan ma anche perché un commissario può essere allontanato solo se si è reso colpevole di una colpa grave o se «non soddisfa più le condizioni richieste per lo svolgimento delle sue funzioni» (Articolo 17, paragrafo 6 del Trattato sull’Unione Europea).
Nelle ultime settimane la Commissione si è inoltre raccomandata con tutti i 27 Commissari sull’importanza di rispettare le linee guida anti-Covid dei Paesi europei in cui si trovano. La storia dei governi europei evidenzia come ci siano ben pochi casi di licenziamenti: si ricordano infatti soltanto le dimissioni di massa della commissione Santer (1995-1999), giunte per evitare di affrontare lo scandalo legato alle accuse di corruzione al francese Édith Cresson e il caso del maltese John Dalli, allontanato dalla seconda commissione Barroso (2010-2014) per aver cercato finanziamenti per una compagnia di tabacco svedese. Il caso stavolta è stato ben diverso.