Silenzio assordanteLa violenza sulle donne in Turchia è un problema che Erdogan non vuole affrontare

Nel 2019 ci sono stati 474 femminicidi, e il 42% delle cittadine turche tra i 15 e i 60 anni ha subito un sopruso fisico o psicologico da parte del proprio partner. Ma il governo turco cerca di istituzionalizzare l’idea che l’uomo è superiore, cercando nuovamente di far passare una legge che reintroduca il matrimonio riparatore e riducendo le pene di chi commette questi reati

A fine luglio la morte di una studentessa di 27 anni ha riacceso i riflettori su un problema che affligge da sempre la società turca e che non ha ancora trovato soluzione: i femminicidi. La giovane Pinar Gultekin è stata strangolata a morte e il suo cadavere è stato prima bruciato e poi gettato in un cassonetto. A compiere l’omicidio è stato il suo ex compagno, un uomo di 32 anni con cui Pinar aveva rotto dopo aver scoperto che era sposato. La morte della studentessa ha scatenato un’ondata di proteste sia in strada che sui social e il suo nome è diventato un hashtag condiviso da migliaia di donne in tutto il Paese che chiedono semplicemente rispetto e una seria presa di posizione da parte del Governo contro la violenza di genere.  

L’omicidio di Pinar Gultekin è solo l’ultimo di una lunga serie di femminicidi consumatisi in Turchia negli ultimi decenni e che hanno visto il 2019 chiudersi con ben 474 omicidi perpetrati da uomini contro le donne, dopo che nel periodo 2008-2017 i casi di femminicidio sono stati 2.025, con un picco nel 2013. Nel 62% dei casi a uccidere la donna è stato l’ex marito, il marito o il fidanzato, nel 28% è stato un familiare, mentre nel 10% si è trattato di un uomo che non aveva legami parentali o affettivi con la vittima. A rilasciare questi dati è stata la piattaforma Fermeremo i femminicidi, che raccoglie dati e denunce sulla violenza di genere in Turchia per creare un database maggiormente attendibile rispetto a quello ufficiale. 

Ad evidenziare la gravità della situazione in Turchia è stato anche uno studio redatto dall’Onu nel 2009 secondo cui il 42% delle donne turche tra i 15 e i 60 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o psicologica da parte del proprio partner. La situazione non è di certo migliorata nei mesi di lockdown imposti dal Governo per far fronte all’emergenza coronavirus: come denunciato da Fermeremo il femminicidio, in sole tre settimane sono state uccise 21 donne e ci si aspetta che i dati finali del 2020 registrino un drastico incremento dei femminicidi nel Paese. Basta considerare che nella sola Istanbul nel mese di marzo si è avuto un aumento del 38% delle denunce per violenze domestiche, che hanno raggiunto quota 2.493 contro i 1.804 casi del marzo del 2019.

Un altro dei problemi che la Turchia si rifiuta di affrontare correttamente è il matrimonio combinato con minori, che viola una legge statale che fissa a 18 anni l’età minima per contrarre matrimonio. Secondo un report pubblicato dallo stesso Governo turco nel 2018, 482.908 bambine sono state costrette a sposarsi negli ultimi dieci anni, ma si sospetta che il numero reale dei casi sia molto più alto in mancanza di dati sulle unioni celebrate unicamente dalle autorità religiose e di cui raramente si ha notizia.

Come denunciato dalle associazioni turche che lottano i diritti delle donne, alla base dei femminicidi e più in generale delle forti disparità esistenti nella società sulla base del genere vi è una cultura patriarcale e maschilista che la stessa classe politica continua a sostenere. Nel 2011 la Turchia ha firmato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ma molti politici conservatori hanno fin dal principio criticato tale adesione definendo le leggi europee una minaccia ai valori della famiglia.

Il vero problema della Turchia secondo le associazioni non è tanto la mancanza di un quadro legislativo forte, quanto la sua corretta implementazione. Tanto le forze dell’ordine quanto i giudici non rispondono adeguatamente alle richieste di aiuto delle donne e i casi di uomini che ricevono una pena ridotta perché simulano un comportamento rispettoso davanti alla Corte sono talmente numerosi che per loro è stato coniato un apposito termine: “la riduzione della cravatta”. Lo stesso trattamento molto spesso è riservato a coloro che affermano di aver agito in un momento di rabbia a causa di un comportamento tenuto dalla donna, addossando quindi colpa sulla controparte e cercando di presentare il proprio operato come un episodio isolato. 

D’altronde l’esempio fornito dai politici più influenti del Paese non fa che avvallare l’idea per cui le donne siano inferiori agli uomini, giustificandone la repressione sia fisica che psicologica e condannandole al ruolo di madri e casalinghe. Lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan in più occasioni ha affermato che le famiglie (ossia le donne) turche dovrebbero avere almeno tre figli, mentre altri politici hanno ripetutamente criticato chi non ha mai avuto bambini e definito le madri che lavorano anche durante la maternità delle «mezze persone».

In un simile contesto quasi non sorprende che a gennaio del 2020 il Governo del partito Libertà e Giustizia abbia cercato nuovamente di far passare una legge che reintroducesse il cosiddetto matrimonio riparatore. La proposta prevede che chi è accusato di violenza sessuale contro un minore può evitare il carcere sposando la sua stessa vittima se quest’ultima ha meno di 18 anni e se la differenza di età tra i due non supera i 10 anni. Ad oggi il disegno di legge non è stato ancora approvato grazie alle proteste popolari e alle critiche provenienti dalla comunità internazionale, ma la sua stessa esistenza dimostra chiaramente quale sia la posizione del Governo nei confronti della tutela delle donne e delle minori.

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