Retour in Medio OrienteFrancia e Turchia si contendono l’influenza del Libano per controllare il Mediterraneo orientale

Il primo leader straniero ad aver visitato Beirut all’indomani dell’incidente al porto è stato Emmanuel Macron. Parigi mira a contenere l’avanzata di Ankara e a minarne la costante espansione nell’area nordafricana, ben sapendo di poter contare sempre meno sul coinvolgimento degli Stati Uniti

Afp

La distruzione del porto di Beirut è stato il colpo di grazia a un Paese già fortemente provato da una crisi economica, sociale e politica che andava avanti da mesi e che ha visto vacillare i centri del potere libanese. La popolazione è scesa nuovamente in piazza contro il Governo, la corruzione e il sistema settario che regola la vita delle 18 comunità che convivono in Libano, facendo cadere il premier Hassan Diab e innescando una nuova “lotta” per il controllo del Paese dei cedri. Questa volta però ci sono due attori che è bene tenere in considerazione nell’analisi dello scenario libanese: la Turchia e la Francia. 

Il ritorno francese in Medio Oriente
Il primo leader straniero ad aver visitato Beirut all’indomani dell’incidente al porto è stato il presidente francese Emmanuel Macron. Il capo dell’Eliseo, acclamato dalla popolazione libanese, ha garantito non solo l’impegno di Parigi nella ricostruzione del porto, ma ha anche aggiunto che quel cambiamento politico-sociale che i manifestanti chiedono a gran voce da ottobre sarà condizione indispensabile per avere in cambio qualsiasi aiuto da parte della comunità internazionale. 

Macron è stato chiaro: i fondi raccolti pochi giorni dopo la sua visita non saranno un assegno in bianco, ma dovranno essere accompagnati da importanti riforme e da un significativo cambiamento politico. Il Governo e classe dirigente libanese, ha aggiunto il capo dell’Eliseo, hanno perso la fiducia del popolo e di conseguenza il proprio potere rappresentativo. 

Le parole del presidente francese e la sua visita repentina fanno capire quanto importante sia per la Francia il Paese dei cedri. Il legame tra Parigi e Beirut, ex protettorato francese, continua a essere forte nonostante i rapporti tra i due Paesi non siano stati sempre lineari. Le relazioni tra Francia e Libano negli ultimi anni erano state danneggiate dell’avvicinamento sempre maggiore del Libano all’Iran tramite Hezbollah, ma la crisi in cui versa il Paese ha intaccato anche la popolarità e la forza del Partito di Dio. 

Di questa debolezza è però pronta ad approfittarne proprio la Francia. Macron, come dimostra la sua visita a Beirut e il suo impegno a restare in Libano finché la crisi non sarà risolta, ha tutto l’interesse a rafforzare l’influenza francese sul Paese dei cedri. Il capo dell’Eliseo mira ad espandere la presenza francese in Medio Oriente – oltre che in Africa – e il Libano è da sempre chiave d’accesso per quella parte di mondo. La Francia però non è l’unico Paese a voler portare Beirut nella propria sfera d’influenza e Macron sa bene che deve guardarsi le spalle da Ankara se vuole tornare a contare in Medio Oriente. 

Erdogan e il sogno dell’Impero

Anche il vicepresidente turco, Fuat Oktay, è stato accolto calorosamente dalla popolazione libanese dopo l’esplosione del porto di Beirut è ha colto l’occasione per esprimere la vicinanza della Turchia e condannare le mire colonialiste della Francia. 

Il vicepresidente e il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu hanno accusato Macron di «interferire con la politica interna libanese» e definito lo stesso presidente un «bambino viziato». Parole dure che danno conto dello stato delle relazioni tra i due Paesi e degli interessi contrapposti di Ankara e Parigi nella regione. 

Nonostante le accuse di colonialismo dirette contro Macron, l’intento della Turchia non è così diverso da quello della Francia. Anche il presidente Recep Tayyip Erdogan infatti vuole modellare il futuro del Libano per espandere l’influenza turca in Medio Oriente sulla scia della dottrina neo-ottomana che caratterizza la politica estera del Partito giustizia e sviluppo (Akp). 

Il Libano, prima di diventare protettorato francese, era parte integrante dell’Impero ottomano e il legame tra la Turchia e la popolazione di origine turcomanna è ancora forte. Proprio a questa minoranza il ministro degli Esteri turco ha promesso il conferimento della cittadinanza, dopo aver proposto al Governo libanese di utilizzare il porto di Mersin finché quello di Beirut non sarà nuovamente operativo. 

Il Libano conteso
Il Paese dei cedri è solo uno dei sempre più numerosi teatri di scontro tra la Francia e la Turchia, ma la potenza che riuscirà a imporre la propria influenza su Beirut avrà un vantaggio strategico non indifferente sull’avversario. Il Libano, come detto, è la chiave d’accesso al Medio Oriente ma anche al Mediterraneo orientale, area attualmente contesa da Turchia e Grecia, sostenuta propria dalla Francia nella difesa dei suoi interessi marittimi. 

Per la Turchia, che contesta la definizione delle Zone economiche esclusive greche nel mare nostrum e che mira a diventare un hub regionale del gas è importante contare sul sostengo del Libano. Il Paese dei cedri tra l’altro confina con la Siria, altro teatro bellico in cui la Turchia è direttamente coinvolta in contrapposizione proprio alle milizie di Hezbollah, sostenitrici del presidente siriano Bashar al Assad. 

La Francia, invece, oltre a voler riaffermare la propria influenza in un Paese che fu parte dei suoi possedimenti, vuole ugualmente usare il Libano per tornare a contare in Medio Oriente e proteggere gli interessi francesi ed europei nel Mediterraneo orientale. Parigi, più in generale, mira a contenere l’avanzata della Turchia e a minarne la costante espansione nell’area mediorientale e nordafricana, ben sapendo di poter contare sempre meno sul coinvolgimento statunitense.

Il Libano, da sempre conteso tra potenze straniere che non hanno esitato in passato a trasformarlo letteralmente in un terreno di scontro, sogna di diventare un Paese libero dalle influenze esterne e di superare il sistema settario imposto nel 1989 dall’Accordo di Taif, ma dovrà fare ancora una volta i conti con i desideri di chi – incurante del bene della popolazione – vuole approfittare della sua debolezza per il proprio tornaconto.