Il 4 agosto una potente esplosione ha distrutto il porto di Beirut e danneggiato gli edifici nel raggio di quattro chilometri, lasciando almeno 300mila persone senza casa, causando la morte di 200 libanesi e il ferimento di altri 4mila residenti. L’incidente ha anche danneggiato le riserve di grano, messo fuori uso il porto più importante del Paese e scatenato una nuova ondata di proteste che hanno portato alle dimissioni del Governo guidato dal premier Hassan Diab.
L’esplosione, causata dallo stoccaggio in un ambiente non sicuro di quasi 3mila tonnellate di nitrato di ammonio, ha colpito un Paese già provato da una profonda crisi economica, politica e sociale. I cittadini libanesi da quasi un anno manifestano contro il Governo, la corruzione, il sistema settario di divisione del potere, l’eccessiva concentrazione della ricchezza nelle mani di una ristretta élite e una crisi economica che ha fortemente ridotto il potere d’acquisto della classe media.
I problemi del Libano erano ben noti anche prima dell’incidente del 4 agosto, ma la distruzione del porto e le sue conseguenze sulla stabilità già particolarmente precaria del Paese hanno costretto la comunità internazionale a volgere finalmente lo sguardo verso il Libano e ad accorrere in suo aiuto. In questo contesto un ruolo importante potrebbe giocarlo proprio l’Europa.
Gli aiuti al Libano
Il primo presidente a visitare Beirut è stato il francese Emmanuel Macron, che ha immediatamente annunciato una conferenza per la raccolta di fondi da destinare al Libano e promesse al popolo non solo soldi, ma anche e soprattutto riforme. A stretto giro è arrivato nel Paese dei cedri anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha ribadito la vicinanza dell’Ue al Libano, confermando l’impegno comunitario a sostegno della popolazione.
«Ho avuto l’opportunità di porgere di persona le condoglianze dell’Europa alle vittime e alle loro famiglie e di esprimere la nostra solidarietà ai cittadini libanesi», ha dichiarato Michel durante la sua visita. «Questi tempi difficili richiedono un intervento urgente. Dobbiamo infatti concentrarci in primo luogo sulle esigenze immediate della popolazione libanese (…) In secondo luogo, dobbiamo guardare al futuro. Ciò che più mi ha colpito è stato il bisogno di provare fiducia, di avere speranza e di sapere la verità: la popolazione libanese vuole conoscere la verità, merita trasparenza e giustizia».
Le parole del presidente del Consiglio europeo non sono casuali e indicano una precisa presa di posizione da parte dell’Unione sulla questione libanese, al di là della mera esigenza di far fronte alla distruzione del porto e alle relative conseguenze. L’Ue ha mobilitato 33 milioni di euro e ne ha offerti altri 30 per le necessità più urgenti, inviando anche 250 soccorritori provenienti dai diversi Stati membri. I presidenti di Consiglio e Parlamento europeo hanno inoltre invitato i Paesi comunitari a intensificare il loro aiuto nei confronti del Libano.
Michel, così come Macron, è stato però chiaro: il Governo libanese deve avviare un’indagine indipendente sull’incidente del 4 agosto e soprattutto deve attuare un programma di riforme credibile nel settore politico, finanziario, energetico e in termini di misure anticorruzione. Il presidente della Commissione ha anche ricordato quanto urgente sia il bisogno di un accordo tra il Libano e il Fondo monetario internazionale per far uscire il Paese dalla crisi economica. L’Ue quindi è pronta a garantire il suo impegno anche nel lungo periodo, dalla ricostruzione alle indagini sulle cause dell’incidente, ma a determinate condizioni.
Il ruolo dell’Ue nel Libano post-esplosione
Per poter sperare in una reale cambiamento, il Libano deve fare i conti con la corruzione, il sistema settario e clientelare e con la spartizione del potere politico-economico sulla base di favori personali e alleanze tra famiglie storicamente influenti. Senza simili riforme, richieste a gran voce dalla società civile, il Paese dei cedri rischia di piombare in una crisi senza via di uscita e di sperperare i soldi in arrivo dalla comunità internazionale.
Diversi analisti hanno infatti sottolineato la necessità di controllare in che modo a da chi verranno spesi tanto i fondi destinati al primo soccorso, quanto quelli per la ricostruzione della città, più difficili da monitorare. Lo stesso Macron ha specificato che gli aiuti che hanno iniziato ad affluire a Beirut non sono un «assegno in bianco» e che verrà presto istituito un sistema di governance trasparente per assicurarsi che il denaro arrivi direttamente alle Ong e al popolo libanese, senza passare per i suoi rappresentanti politici.
La stessa popolazione di Beirut (o almeno una parte), nell’accogliere Macron ha chiesto al presidente francese una mano nell’attuazione delle riforme politiche e sociali, ma un simile compito non dovrebbe spettare a una singola nazione. Soprattutto non alla Francia, che aveva fatto del Libano il suo protettorato.
È in questo scenario che entra in gioco l’Unione europea. Tramite la richiesta di riforme in cambio di aiuti e il sostegno diretto alle Ong e alle organizzazioni dal basso, l’Ue potrebbe inserirsi nel contesto libanese e farsi portavoce delle richieste della popolazione, che ben rientrano nel quadro dei valori promossi dalla stessa Comunità. Prima di tutto, però, l’Unione dovrebbe seguire una linea comunitaria sul Libano (evitando quindi protagonismi di singoli Stati membri) e trovare un sistema per controllare il flusso degli aiuti e accertarsi che le riforme vengano effettivamente attuate.
Va tra l’alto ricordato che il Libano è un importante partner commerciale europeo, senza contare che nel Paese risiedono 900 mila rifugiati siriani che potrebbero cercare di raggiungere l’Europa in caso di collasso dello Stato. La fragilità del Libano rende inoltre il Paese ancora più permeabile a influenze esterne che potrebbero ulteriormente allontanare Beirut dall’Occidente. L’Iran ha già una presa solida sul Paese dei cedri grazie ad Hezbollah, ma il Libano fa gola anche a Cina, Russia e Turchia che non a caso sono immediatamente accorse in aiuto del Paese dei cedri. Il Libano infatti è considerato la “porta” di accesso al Medio Oriente e mettere stabilmente piede a Beirut ha un vantaggio strategico non indifferente per quegli attori già presenti nell’area e intenzionati a rimanerci.
L’Ue però, se vuole avere un ruolo rilevante nella costruzione del futuro del Paese, deve fare un passo in più. Le riforme chieste per la ricostruzione del Libano devono essere realmente pensate e applicate per il bene dei libanesi, sulla scia di quanto affermato dallo stesso Alto rappresentate per gli Esteri Josep Borrell secondo cui: «L’Ue sarà fermamente al fianco del popolo libanese» nell’affrontare i problemi del Paese. Solo così sarà possibile garantire la stabilità non solo del Paese dei cedri ma del Medio Oriente e dell’Europa.