Stare sereniItalia viva vota No al referendum, ma non lo dice per non creare problemi nel governo

Matteo Renzi si sfila dal dibattito sul voto di settembre per non accendere un nuovo fuoco sulla maggioranza, quindi probabilmente andrà avanti così fino alla fine. All’interno del partito sembra prevalere il No, forse all’unanimità, perché la riforma grillina non piace in nessun modo, ma il leader preferisce non affrontare temi istituzionali andando contro corrente

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Italia viva che farà al referendum sul taglio dei parlamentari? Una posizione ufficiale non c’è e Matteo Renzi nelle ultime interviste di tutto ha parlato tranne che di questo appuntamento. «Non vogliamo personalizzare…», ci ha risposto con ironia Ettore Rosato (con chiaro riferimento all’esiziale – per Renzi – referendum del 2016) ed è molto probabile che fino alla fine l’ex premier non si esporrà.

Ma a occhio e croce nel partito sono tutti per il No. Un No di merito, perché il retrogusto grillino-populista della riforma sottoposta a referendum non è certo miele per i renziani, loro che pure aggrediscono, o tentarono di aggredire, il nodo del numero dei parlamentari ma dentro un quadro riformatore ampio che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto; però nel contempo, la ragione politica suggerisce di stare alla larga da una polemica che accenderebbe nuovo fuoco nel camino del governo Conte: cosa che Renzi non vuole.

Diciamo allora che la posizione di merito è quella illustrata da Roberto Giachetti (che d’altronde da buon radicale fa parte del Comitato per il No) sul Foglio: «Il taglio dei parlamentari (che non mi vede in assoluto contrario) deve essere una conseguenza di una vera riforma, non “La Riforma” in sé. Perché immaginare una riforma basata su un principio matematico e condita dalla stucchevole litania sui risparmi significa consegnarsi a una cultura, populista e demagogica, che contribuirà a deteriorare ancor di più (penso agli episodi di cui si discute in questi giorni) l’etica e la responsabilità degli eletti».

È la stessa posizione espressa da +Europa e anche da Azione, uno dei pochi casi in cui le tre forze riformiste la pensano allo stesso modo. Ma, come detto, Italia viva, che a differenza delle altre due è al governo, preferisce star fuori dalla pugna, troppo scomodo sarebbe far battaglia contro il partito più forte della maggioranza, i grillini, e contro un Partito democratico che per quanto con afflizione si appresta a votare Sì, almeno se questa sarà l’indicazione ufficiale (che ancora non è stata data), pur scontando i vari dissensi che emergono quotidianamente.

In generale, Renzi non pone i temi istituzionali in cima alla sua agenda, né all’agenda del Paese. È per lui un capitolo che ancora brucia. Ha cambiato idea sulla riforma elettorale, ritornando improvvisamente sul maggioritario e sul Sindaco d’Italia e impedendo di fatto che una riforma in senso proporzionale potesse vedere una prima luce prima del referendum. Rompere un accordo che pareva di ferro è stato il modo per tenersi le mani libere. Come si vedrà il 21 settembre.