“Perché votare No al referendum”. È questo il titolo dell’editoriale di Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica, pubblicato oggi sul quotidiano romano. L’articolo ricorda l’appuntamento elettorale del 20 e 21 settembre che, in coincidenza con le elezioni amministrative e regionali, chiama gli italiani alle urne per esprimersi sul referendum che propone di modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione al fine di ridurre il numero dei parlamentari: da 630 a 400 alla Camera dei Deputati, da 315 a 200 al Senato.
«La necessità di un taglio degli eletti in Parlamento è stata più volte sollevata in passato nell’ambito di proposte di riforma – si legge nell’editoriale – perché va incontro ad esigenze di riduzione dei costi della politica e di maggiore efficienza delle istituzioni rappresentative». Molinari entra poi nel merito della questione, esponendo i motivi per il quale votare No (battaglia nella quale si è esposta in prima linea anche Linkiesta).
«Si tratta di tesi serie, fondate e condivise da un gran numero di cittadini ma questo referendum costituzionale non consente di premiarle, realizzarle, per il semplice motivo che il taglio dei parlamentari è lineare, a sé stante, e non è incluso in una riforma che consente di sfruttare la riduzione per rendere il Parlamento più efficiente e rappresentativo» continua il testo.
«Sono molte e significative le lacune create da questo taglio privo di una cornice di riforma costituzionale. Innanzitutto, ridurre i parlamentari senza rivedere le funzioni del Parlamento – a cominciare da numero e ruolo delle commissioni – significa innescare un domino di difficoltà e di impasse dagli esiti imprevedibili. In secondo luogo, creare collegi più grandi senza affiancare garanzie per le minoranze apre la strada a campagne elettorali dove la disponibilità di risorse economiche sarà determinante per il risultato, ed il rapporto fra eletti ed elettori si indebolirà, fino al punto che nelle Regioni più piccole si creerà una situazione maggioritaria de facto» aggiunge Molinari. Per queste e altre motivazioni «l’opinione del nostro giornale è contraria ad un referendum privo di una cornice di riforma» spiega il direttore, con una presa di posizione netta.
Molinari affronta anche il tema del risparmio, ricordando che con la riforma, grazie alle stime dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli, ammonterebbe a 57 milioni l’anno e 285 milioni a legislatura «ovvero una cifra significativamente più bassa di quella enfatizzata dai sostenitori della riforma – 500 milioni a legislatura – e pari ad appena lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana».
L’ex direttore de La Stampa conclude l’articolo lanciando anche un appello politico. «Una vittoria del Sì gonfierebbe dunque le vele dei populisti in un momento in cui sono in difficoltà perché da un lato la Lega di Matteo Salvini perde consensi non essendo riuscita a dare una risposta convincente all’emergenza Covid 19 e dall’altro il Movimento Cinque Stelle ha perso il ruolo di primo partito del Paese ed ha scelto la via dei compromessi entrando in un governo – ed alleandosi nelle urne – con una forza politica tradizionale come il Pd. Nell’Italia laboratorio del populismo europeo, le forze che vinsero le elezioni del 4 marzo 2018 sono in affanno e sostengono, entrambe, il referendum del taglio senza riforma per riguadagnare forza e slancio. Ma ciò che giova a tali interessi di parte indebolisce le istituzioni repubblicane» si legge ancora.
Per Repubblica e il suo direttore, quindi, «è un grave errore pensare che il puro e semplice taglio numerico dei rappresentanti in Parlamento renda più efficace e funzionante la nostra democrazia rappresentativa» e di come ancora oggi «una riforma costituzionale sia e resti uno strumento formidabile per rafforzare le istituzioni ma a patto di valutarne ogni implicazione».