Con l’avvicinarsi dell’intesa strategica fra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico molto probabilmente prenderà il sopravvento una visione e una pratica dell’economia che possiamo definire dirigista. Il capro espiatorio di questa politica sarà, ma in parte lo è già, il neo-liberismo.
L’accusa al neo-liberismo è di essere il demiurgo dei guai che attraversiamo, e che non avevamo. Il passato è quindi letto come migliore. Quelli che contestano il neo-liberismo hanno in mente i trent’anni di grande crescita che si sono avuti dopo la Seconda guerra, i cosiddetti “Trenta Gloriosi”.
Nei Trenta gloriosi i paesi del Secondo Mondo (quelli socialisti), e del Terzo (gli altri fuori dall’Occidente e dal Socialismo), erano in ben altra condizione: alla povertà estrema si accompagnava la repressione politica. I due eventi epocali , che hanno cambiato il mondo, sono stati la caduta dell’Unione Sovietica e lo sviluppo economico della Cina. In Occidente si accusa il neo-liberismo, anche per effetto della globalizzazione che ha promosso, di aver tagliato lo Stato Sociale, di aver reso precario il lavoro, e di aver ridimensionato la Sovranità. Ossia, di aver distrutto il mondo del Secondo dopoguerra, che escludeva dal benessere gran parte dell’umanità, un mondo in cui in Occidente si viveva bene.
Nell’euro area, il punto di vista prevalente fino all’arrivo del Coronavirus, ma che potrebbe riemergere in futuro una volta che sia passata la crisi, un punto di vista che gli avversari etichettano come neo-liberista, sostiene che i bilanci pubblici vanno portati in pareggio. Una volta in pareggio, non si debbono più emettere obbligazioni, e quindi il debito pubblico diventa come volume costante.
Crescendo l’economia, il peso del debito – ormai reso costante – scende fino a raggiungere un livello che è sufficiente per averlo sotto controllo. Infine, perché il peso del debito scenda, è necessaria la crescita, e quest’ultima si ottiene soprattutto liberalizzando i mercati del lavoro e dei prodotti. Quindi il controllo del debito, la liberalizzazione dei mercati, e la globalizzazione, sono quanto più o meno avevamo prima che arrivasse il Coronavirus e quanto potremmo riavere una volta che questo sia scomparso.
La Sinistra – quella che si definisce “non subalterna al neo-liberismo” – aveva ed ha una ricetta opposta. La non subalternità possiamo definirla come un ritorno al mondo antecedente gli anni Ottanta, quello dei Trenta Gloriosi. Questo punto di vista afferma che per avere il controllo del debito pubblico non si debba controllare la dinamica della spesa, ma, all’opposto si debbano alzare le imposte per gli abbienti, svuotare i paradisi fiscali, e imporre alla banca centrale di governare il costo del debito, attraverso dei tassi di interesse bassi.
La terza richiesta è ormai, e da qualche anno, ampiamente soddisfatta dalle banche centrali. Le prime due proposte per ora sono oggetto di dibattito. Quindi il controllo del debito pubblico passa attraverso un maggiore carico fiscale, con i mercati che sono poco liberalizzati, e, infine, con la globalizzazione dei mercati reali e finanziari frenati. Si noti come il programma della Sinistra non subalterna assomigli, tranne che nei maggiori carichi fiscali per i residenti, a quello dei populisti.
La dottrina economica mainstream può dare legittimità alla visione dirigista. Secondo questa lettura lo scopo ultimo dell’economia è la massimizzazione di un obiettivo di produzione e di benessere. Ed è una massimizzazione e non un massimo, proprio perché si ha il vincolo delle risorse – i fattori produttivi – che sono date, così come, in prima battuta, è data la tecnologia. L’economista, divenuto tecnocrate, fa i conti e quindi rende pratica la teoria, a seconda di quel che gli chiede il politico che stabilisce la funzione obiettivo. In questo modo si ha un mondo “ordinato” governato dai politici che fanno leva sulla tecnocrazia.
A questa visione dirigista si contrappone quella “austriaca” il cui succo è il “non sapere”. Non c’è quindi una distribuzione di probabilità, grazie alla quale il Tecnocrate propone le scelte al Principe. C’è solo il rischio, il viaggiare in “terra incognita”.
Ed ecco l’Imprenditore. L’imprenditore “scopre” le informazioni. Le informazioni sono disperse e lui le mette insieme, senza conoscere il risultato finale. In questo modo si ha un mondo “disordinato” dove nessuno governa, ossia dove nessuno ha sotto controllo i processi in corso.
Chi non ama il neo-liberismo ricava dei vantaggi come consumatore, può per esempio usare il telefonino, ma ne perde – immediatamente o come aspettativa – come produttore, se per esempio lavorava nel mondo delle cabine telefoniche. Il mondo è quindi liquido due volte: come consumi, che variano per l’offerta di beni e servizi sempre nuovi, e come lavoro. Non c’è più il “posto di lavoro”, ma il lavoro.
Si divaricano i lavori, quelli che richiedono un grosso investimento in capitale umano, e quelli che non lo richiedono. I primi sono ben pagati, i secondi no. La diseguaglianza – seppur meno di quanto comunemente si creda – aumenta – e così si forma una società dove solo alcuni hanno delle vere opportunità. Finisce allora che ci sia chi desidera il ritorno al passato. Ciò che avviene invocando il ritorno dei Sacerdoti, ossia di coloro che si occupano (o meglio, che si crede che) del bene altrui rinunciando al proprio, che sono i politici che riportano in carreggiata l’economia grazie all’intervento pubblico.