Perfetto, l’ex presidente della Camera Luciano Violante ieri su Repubblica è stato perfetto nel raccontare il progetto antipolitico dei Cinquestelle contro la democrazia rappresentativa che, invece, i volontari complici dei populisti fanno finta di non vedere, turlupinando innanzitutto sé stessi prima ancora che gli elettori e i lettori.
Arriviamo a Violante, ma prima ricostruiamo il contesto del voto referendario del 20 settembre. I Cinquestelle considerano il Parlamento un vecchio arnese da mandare in soffitta, sono nati con questo obiettivo, col preciso impegno di farla pagare alla casta della politica, in diretta continuità con la cosiddetta rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite che negli anni Novanta ha cancellato i partiti del Novecento.
Il vaffa di Beppe Grillo, amplificato da una parte maggioritaria dell’establishment editoriale italiano, dalla Rai a Mediaset, dal Corriere a Repubblica, per non parlare di La7, era indirizzato alla politica, alle istituzioni repubblicane, alle procedure democratiche, alla libertà di espressione del singolo parlamentare, condito dai deliri distopici sul pianeta Gaia di Casaleggio padre e dalle fanfaronate sulla democrazia diretta degli associati.
La rivoluzione digitale permanente di questi trotzkisti a loro insaputa prevedeva l’apertura del Parlamento come una scatoletta di tonno, l’imposizione del vincolo di mandato ai parlamentari della Repubblica e l’avvio delle pratiche di sostituzione della democrazia rappresentativa con software per analfabeti con blockchain.
Questo piano eversivo è in pieno svolgimento grazie a una tenace campagna di umiliazione della politica e di mortificazione dell’amministrazione pubblica concretizzatasi con l’affidamento delle responsabilità di governo a Di Maio e ai suoi compagni di scuola, a oscuri avvocati di provincia, a star del Grande Fratello, a Toninelli, a Raggi, ad Azzolina, a Di Stefano, a Fioramonti, a Taverna, a Tridico, alla Castelli, perfino a un guru del Mississippi, insomma a una banda di navigator buoni a nulla, ma capaci di tutto.
I contratti di sottomissione, con penali da 120 mila euro, fatti stipulare dalla holding ai grillini per imporgli la fedeltà assoluta, in aperta violazione dell’articolo 67 della Costituzione secondo cui «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», sono stati l’altro elemento del progetto di mutilazione del nostro sistema, esplicitato da Casaleggio junior quando, nel luglio 2018, ha detto al quotidiano La Verità che «il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile» e che «tra qualche lustro è possibile che il Parlamento non sarà più necessario».
La riduzione del numero dei parlamentari, su cui si voterà il 20 settembre, è il vero successo di questa campagna eversiva dei populisti, condotta tra gli applausi dei media e dei partiti, ben al di là del merito del provvedimento. I riformisti del Sì si illudono che gli effetti del taglio lineare dei deputati e dei senatori si potrà bilanciare con altre riforme ancora da immaginare, mentre il Pd, be’, il Pd crede alla favola del cambiamento della legge elettorale che possa far vivere tutti felici e contenti.
Ma qui arriviamo a Violante, a quello che ha detto a Repubblica, il quotidiano che con l’editoriale di Maurizio Molinari per il No ha strappato la coltre funebre con cui i media di regime populista avevano coperto l’attentato in corso al nostro modello democratico.
Violante ha individuato sei motivi per votare No, uno dei quali è quello decisivo per far emergere l’illusione dei riformisti del Sì, l’errore del Pd e l’insensatezza dei fellow traveller del populismo: «Il progetto del M5S, sul quale si voterà il 20 e 21 settembre, era accompagnato da due progetti-cornice, che però avevano diverse finalità: riduzione del ruolo del Parlamento, in favore di forme di democrazia diretta, e aumento dei poteri dei dirigenti dei partiti. Uno dei progetti, già approvato dalla Camera, prevede l’introduzione di un referendum propositivo che permette la contrapposizione tra una proposta approvata dal Parlamento e una proposta di iniziativa popolare, con l’effetto inevitabile di delegittimare la funzione rappresentativa del Parlamento. L’altro (ddl 2759), presentato al Senato dall’allora capogruppo Crimi e da altri 34 Senatori M5S, introduce il vincolo di mandato, misura che consegna i poteri parlamentari ai capi dei partiti, unici legittimati a interpretare il contenuto del mandato popolare».
Eccolo spiegato per bene il progetto-cornice dei Cinquestelle, già agli atti del Parlamento, entro il quale si incastona il taglio dei deputati e dei senatori: svilimento della democrazia rappresentativa e svilimento delle facoltà dei parlamentari. Altro che pesi e contrappesi di cui parlano i riformisti del Sì.
E, ancora, Violante sempre a Repubblica ricorda che soltanto pochi giorni fa il Ministro delle Riforme Federico D’Incà, dei Cinquestelle, ha detto che il taglio dei parlamentari è solo il primo passo di una «riforma più vasta». Quale sia questa riforma più vasta l’hanno capito tutti, tranne gli spiritosi favoreggiatori del populismo italiano.
PS
Dal 4 settembre, in edicola a Milano e a Roma, un numero speciale de Linkiesta paper dedicato al referendum. Si può già ordinare qui.