C’e qualcosa nell’aria di impalpabile che però giorno dopo giorno pare soffiare via certe tematiche sinora centrali nell’immaginario degli italiani e conferire loro molta minore importanza rispetto a ieri. La guerra alla Casta che ha gonfiato le vele del M5s fino a issarlo sulla vetta della classifica dei partiti pare affievolirsi, scalzata da altre questioni – il Covid, il lavoro – poiché è chiaro che il Paese sente che le priorità sono altre: e così il referendum grillino sul taglio dei parlamentari non scalda i cuori, è per così dire fuori fase, di un’altra stagione, come un cappotto in agosto; e infatti l’affluenza viene stimata bassa, al 30%.
Peraltro fra gli interessati si registra un evidente riequilibrio fra un Sì che pareva plebiscitario e un No che era affare di élite. Da 95 a 5 (i numeri dell’ultima votazione parlamentare) sembra si passi adesso a un rapporto tutt’altro che plebiscitario, con un No in costante crescita fra i giovani, al Nord e fra i più istruiti. E mancano ancora più di 20 giorni al voto. Ma non basta.
Nel pericolosissimo incrocio fra un referendum che non sta funzionando (dopo il No di Romano Prodi quanto reggerà la fragile barricata eretta confusamente da Nicola Zingaretti a favore del Sì?), le cose per il partito di Vito Crimi, cui forse verrà addossata la responsabilità di una possibile débâcle – un facile capro espiatorio – sembrano mettersi male anche per le Regionali.
Il sondaggio Winipoll Cise per il Sole24Ore illustrato da Roberto D’Alimonte non lascia spazio a dubbi. Nella regione di Grillo, la Liguria, l’unico candidato grillino ad una presidenza regionale, Ferruccio Sansa, risulta molto indietro rispetto al governatore Giovanni Toti ma quello che soprattutto colpisce è la previsione di un dimezzamento dei voti del Movimento, dal 24,8% delle ultime regionali all’11% di oggi, addirittura superato (in Liguria!) da Fratelli d’Italia.
Se questo fosse il trend nazionale sembrerebbe molto difficile per il M5S evitare l’ennesima batosta, con una percentuale al momento difficile da calcolare ma più vicina al 5 che al 10%. Non sfugge che la cattiva performance del cronista del Fatto Quotidiano, ove confermata, sancirebbe l’assoluto fallimento della linea dell’intesa con i grillini fortemente voluta dal Pd, anche perché – sostiene sempre D’Alimonte – ben 4 elettori dem su 10 non apprezzano la scelta politica compiuta e tantomeno il nome del candidato governatore.
«Certo – commenta Lorenzo Pregliasco, direttore di You trend – se nelle 6 regioni il Movimento dovesse chiudere sotto il 10 sarebbe una brutta botta, anche se le Regionali per loro non sono il terreno più favorevole»: il che rimanda all’annosa questione di un partito che non riesce ad aderire alla società malgrado la cosiddetta “riforma” voluta da Luigi Di Maio con la nomina dei famosi “facilitatori” sul territorio. Tutta fuffa. E soprattutto segnerebbe la bocciatura di una linea ambigua sulle alleanze, prima esaltate su Rousseau poi smentite nella realtà.
La sensazione generale è quella di una grossa difficoltà del Movimento a trovare un ubi consistam, una ragione per vivere, una via per trascinare un’esperienza politica oltre la stagione lontana del vaffa e quella successiva del governismo a ogni costo, governismo che peraltro nuoce gravemente all’immagine, da Toninelli alla Azzolina passando per Di Maio. E non sarà un caso se l’avvocato Conte ostenti un inedito distacco dalle battaglie di quel Movimento cui pure deve tutto. Non ha più amici, il grillismo, e ha meno fans, vede molte certezze cadere giù, e forse il peggio deve ancora venire.