La Puglia è una delle destinazioni per le vacanze più in crescita negli ultimi anni, tra le mete preferite da italiani e stranieri. A questo afflusso si unisce anche l’eco mediatica che anche quest’anno riguarda vip e celebrità che hanno scelto la Puglia per eventi matrimoniali fastosi, sfilate di moda o per festeggiare ricorrenze. Negli anni, per soddisfare anche questo tipo di clientela, la regione ha saputo sviluppare strutture di vero prestigio, riconosciute e apprezzate in tutto il mondo.
I dati dell’agenzia regionale del turismo parlano di incrementi a due cifre confrontando la stagione 2019 con la precedente: +11,5% di presenze straniere, percentuale che arriva al 60% se si considera il periodo 2015-2019.
Con un totale di oltre 4 milioni di arrivi totali nel 2019, tra italiani e stranieri, si è realizzata una crescita complessiva del 4% rispetto al 2018.
L’estate 2020, qui come altrove, rappresenta un caso a se stante e i trend degli ultimi anni sono un lontano ricordo. La stagione è iniziata tardi; l’ordinanza regionale 237 ha stabilito per il 18 maggio la riapertura di attività ricettive turistiche e alberghiere e per il 25 maggio quella degli stabilimenti balneari, molte strutture però, per potersi attrezzare con le dovute misure di sicurezza, hanno ulteriormente ritardato l’avvio di stagione.
I dati del centro studi di Federalberghi registrano una situazione in forte perdita e una previsione sulla stagione 2020 poco ottimistica.
A fine giugno il presidente pugliese di Federalberghi, Francesco Caizzi, dichiarava a Repubblica una percentuale di riempimento degli alberghi del 30% e, al tempo stesso, la difficoltà di fare previsioni precise, mancando prenotazioni sul lungo periodo a causa di prenotazioni effettuate a ridosso della partenza.
Seppure lenta e progressiva, una ripresa fortunatamente si vede. Voglia di reagire da parte di tutti e di ripartire, in uno dei modi possibili al netto di limitazioni da rispettare senza farne sentire il peso ai clienti.
Alcune strutture hanno riaperto solo da luglio, altre hanno ridotto alcuni servizi (come la fornitura di servizi legati alle SPA), nei ristoranti al tavolo compaiono menu in formato QR code, o cartacei monouso, e l’inventiva sa rendere occasioni ed “esperienze” anche queste limitazioni. Il menu viene quindi autografato dallo chef e imbustato, riporta all’interno l’illustrazione di un’artista locale trasformandosi in souvenir della serata o arriva via mail qualche giorno prima della prenotazione, per consultarlo con calma.
Se la vostra meta è la Puglia, anche solo per pochi giorni, vi segnaliamo alcune tavole dove assaporare l’atmosfera locale attraverso ricette, materie prime, ambientazioni e vedute su un paesaggio mozzafiato per poter dire: finalmente in vacanza, finalmente in Puglia!
Atterriamo all’aeroporto di Brindisi e dirigiamoci verso Fasano, qui, in località Torre Canne, sorge il Canne Bianche Lifestyle Hotel & SPA. Un boutique hotel proprietà di una famiglia, i Mangano, estremamente curato negli arredi delle aree comuni e delle camere (alcune provviste di patio e jacuzzi). Domina il bianco delle ceramiche e la pietra, il tufo a vista, in una struttura con una piscina con idromassaggio. L’hotel offre un accesso diretto al mare, molto diretto: dal prato della piscina il vostro contapassi non andrà oltre i 20 prima di un tuffo nell’Adriatico, un suggestivo cancello bianco dall’hotel si spalanca direttamente sul bagnasciuga.
L’hotel si apre anche agli esterni con una serie di offerte DAY USE legate all’utilizzo della SPA (sebbene limitato in questa fase) e della piscina.
Interessante è anche l’offerta di ristorazione; con poco più di 50 camere è possibile scegliere tra tre insegne dai nomi ‘aromatici’. Il “Cumino” è il bar a bordo piscina dove l’idea di snack e light lunch si declinano in panini curati, sia per quanto riguarda il pane che le farciture (burrata, capococollo di Martina Franca, tartare di tonno) proposte in abbinamenti definiti o nella formula ‘fattille tu’ per poter personalizzare il proprio panino. Patatine a lato e magari una fresca birra, come da pranzo a bordo piscina d’ordinanza.
L’”A_neto” è il ristorante per una pausa pranzo seduti al tavolo in un’atmosfera informale all’aperto, sotto l’ombra di un canneto. Mise en place minimal ma curata, fiori freschi e pinzimonio per iniziare, l’olio pugliese in bottigliette monouso. In carta crudi (carpacci e tartare) che il cliente può scegliere direttamente dal bancone del pesce, primi e secondi seguono la liturgia più classica della cucina di mare con qualche fuori carta dai sapori decisi che è sempre bene farsi raccontare (tubettini con ragù di scorfano, pasta con le cozze). La linea dell’orizzonte scorre dal tavolo fino al blu del mare di fronte, tanto vicino da sentirne lo sciabordio delle onde, a segnare il confine tra le sfumature di blu di cielo e mare un bianco grande pumo pugliese che arreda il locale. La sera è possibile cenare a lume di candela al “T_imo”, scelta più ampia e tripartita tra mare, terra e mondo vegetale per venire incontro alle esigenze dei diversi palati.
Se l’idea di pranzare con il mare di fronte al tavolo vi stuzzica, l’esperienza definitiva potete farla al “Sale Blu”, il ristorante all’interno del boutique hotel La Peschiera (13 suite con patio e accesso diretto al mare). Qui il mare non è una veduta da cartolina all’orizzonte, e nemmeno un elemento di generica prossimità, ma la prosecuzione stessa dello spazio esterno del locale, dal legno verso l’acqua senza soluzione di continuità.
Al centro uno scrigno ricco di pescato del giorno con la vetrinetta che si alza grazie a un meccanismo elettronico per mostrare aragoste, dentici, scorfani, fragoline, orate. Tutti proposti in classiche preparazioni della cucina di mare: al sale, alla pugliese o in carpaccio. Ma è dalla scelta alla carta che si può scoprire tutta la verve dell’executive chef Vito Casulli. Una cucina che parte dalla materia prima di mare per poi salpare verso altri lidi, alla ricerca di ingredienti per accostamenti coi quali osare, spesso puntando a oriente (miso, yuzu, soia, aceto di riso). Un equilibrio tra una materia da preservare e la volontà di andare oltre. Piatti come il polpo di Santo Spirito cotto a bassa temperatura e poi scottato alla soia, accompagnato da ottime verdure bio, in parte provenienti dall’orto de “Il Melograno”, masseria fortificata del XVII secolo della stessa proprietà, il gruppo alberghiero di strutture di lusso “Talea Collection”. Oppure ancora la triglia in crosta di pane abbinata a una fonduta leggera di caciocavallo podolico o il cuore di baccalà in olio cottura su parmentier di porro e sedano rapa, pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto, olive leccine e mandorle tostate. Come dessert? Un rinfrescante Sale Blu che, oltre al limone e al lampone, comprende anche una salsa blu al curaçao, un signature dessert cromaticamente coerente con il locale. Il piatto preferito dall’affabile chef è un primo, ci racconta a margine della cena, una pasta ripiena di burrata su crema di finocchi, acciughe del cantabrico e scorzetta di arance caramellate, un piatto dai sapori semplici ma decisi, un po’ come la cucina di una volta. Quanto al pesce, Casulli non ha dubbi è lo scorfano il suo preferito, proposto come secondo anziché nel consueto abbinamento con la pasta. Una cucina spesso dai sentori agrodolci la sua, nella quale il km0 non è un dogma ma un’opportunità da sfruttare. Casulli è innamorato dei prodotti della propria terra nella quale il sole fa tutto, ci racconta. La sua preferenza va a prodotti bio, coltivati con metodo e in terreni curati; sebbene esteticamente a volte meno belli, nel piatto si rivelano più buoni e più sani.
Spostiamoci un po’ verso l’interno, a breve distanza e precisamente a Savelletri di Fasano sorge uno dei resort più noti della Puglia (premiato come miglior hotel al mondo da un network di viaggi di lusso nel 2016) per i servizi che offre, per la clientela internazionale e vip che ha ospitato e per il suo particolare aspetto: Borgo Egnazia. Il nome borgo non è casuale, si sviluppa architettonicamente come un tipico borgo pugliese, con diverse casette (o vere e proprie ville) per gli ospiti e una piazza con tanto di torre dell’orologio; un luogo unico che in diversi elementi degli arredi e dell’architettura celebra la Puglia, a partire dall’ampia corte di ingresso che ricorda le tipiche masserie pugliesi.
Qui la Puglia viene celebrata anche a tavola nel ristorante “Due Camini”, una stella Michelin da un paio di anni, guidato dallo chef pugliese Domingo Schingaro per anni in Piemonte al fianco di Andrea Ribaldone. Collaborazione che continua tuttora a Borgo Egnazia dove Schingaro coordina l’offerta ristorativa sempre con la direzione di Ribaldone. Tra le novità di quest’anno la nascita di “La Calce” una costola bistrot del “Due Camini”, per cenare sotto il porticato centrale e immacolato di bianco della struttura. Altra novità è la carta del ristorante stellato, che sparisce a favore di tre percorsi degustazione: Apulia, Radici e Mediterraneo.
Al “Due Camini” si cena amabilmente nella sala esterna dalle luci curate: accarezzati da una leggera brezza estiva, tavoli ben distanziati e grandi tanto da poter ospitare anche arredi che ricordano la Puglia. Tessuti come fossero tovaglie grezze, avvolgono le luci sul tavolo e creano coni di luce per illuminare i piatti. Blocchi di tufo concavi e saldamente appesi lungo la sala, creano altrettanti coni di luce che illuminano vari punti e anche la zona accanto ai tavoli per il servizio al carrello.
In questa estate di spostamenti di prossimità con il menu Mediterraneo Schingaro ha celebrato il mare nostrum e i suoi prodotti, con interessanti incursioni nell’entroterra e abbinamenti azzeccati tra terra e mare. È il caso degli Gnummaredd di scampo, borragine e yogurt: budello e fondo di agnello abbinati a uno scampo che in barba alla sua delicatezza emerge, svetta, si distingue a occhi chiusi, un matrimonio terra/mare d’amore. Oppure ancora con gli Gnocchi al marasciuolo, ricci di mare, animelle e sedano: ogni elemento con la propria personalità, inclusa quella forte dei ricci, e assieme tutto funziona, cosa chiedere di più a un piatto? Ma il viaggio Mediterraneo di Schingaro prevede anche altre tappe; interessante è l’incursione di terra con il Maiale lucano, anguria e senape. Il servizio è giovane, formale ma senza nessuna rigidità. Una freschezza unita alla professionalità che rendono le presenze e le descrizioni al tavolo sempre gradite e sensate. La cena si apre e si chiude con due grandi pumi pugliesi di porcellana bianca, per restare in tema di storytelling locale: sono grandi e si scompongono, divenendo tanti vassoi. All’inizio ospitano gli amuse bouche, alla fine la piccola pasticceria. Come un sipario bianco che apre e chiude la cena.
Una seconda meta stellata pugliese potrebbe essere il “Pashà” che sorge a Conversano. Una cittadella d’arte, con la scalinata accanto al ristorante che conduce alla piazza del centro storico e al castello normanno che domina dalla dolce altura il paesaggio circostante. Ma lo spettacolo dell’architettura storica si può godere anche senza allontanarsi dalle sale del ristorante, che è infatti ospitato nella struttura del settecentesco seminario vescovile. Si susseguono ambienti rigorosi, essenziali, arcate e pareti nude, ampi spazi, muri spessi secoli di storia, pietra a vista. L’arredo coniuga design e un’atmosfera da casa di tono, ampi tavoli rotondi, massicci, di quelli con un’importante gamba centrale, allungabili come quando devi ricevere ospiti, con un bel vaso di fiori al centro. Sembra di essere nella sala da pranzo di un’abitazione dell’alta borghesia di un tempo.
La proprietà è familiare: la signora Maria Cicorella che da un percorso da autodidatta è riuscita a portare in Puglia un stella Michelin al femminile, e il figlio Antonello Magistà a condurre la sala. Da un paio di anni circa la famiglia professionale si è allargata, con l’arrivo dello chef Antonio Zaccardi, un curriculum blasonato dodici anni al fianco di Enrico Crippa ad Alba, e che qui al Pashà sta dando una prova convincente delle proprie capacità. Ma se lo chef è uomo, una presenza femminile (oltre a quella della signora Cicorella) operativa e fondamentale lavora ancora al Pashà: Angelica Giannuzzi la pastry chef nonché compagna di vita e di lavoro di Zaccardi da vent’anni.
Un ristorante dall’eleganza misurata che si ritrova nel piatto, quella misura che innesta storia e contemporaneità, senza tradire la prima e senza imporre la seconda.
Un’idea di pulizia nel piatto che si concretizza in sapori netti, centrati, una messa a fuoco che, poi, ci confermerà lo Chef Zaccardi, è proprio il suo scopo. Uno scopo dichiarato da molti, in pochi però riescono a raggiungerlo, questo è uno di quei casi.
Siamo in Puglia e si parte con fave olive e cicoria. Olive che diventano un cerchio scuro di gelatina, qualcosa dall’aspetto contemporaneo che in realtà nasconde sotto sapori familiari da sempre, con la purea di fave calda.
Il risotto alla pescatora, quasi un dripping di marchesiana memoria, ha le tre salse (prezzemolo, bisque e nero di seppia) che convivono felicemente, supportate da un risotto ben mantecato dal ragù di calamari.
Agnello zucchina e pane croccante è quasi perfetto (solo perché la perfezione è un percorso senza punto di arrivo). Forma, colore e sapore, sono tre parole chiave sulla bocca di Zaccardi che si ritrovano in questo piatto. Materia prima dei fratelli Varvara di Altamura e tecnica che cuoce senza eccessi la carne.
I dolci giocano con la forma senza trascurare la sostanza. Il tiramisù è ormai dolce nazionale e qui sembra un inno alla ripartenza italica post lockdown, con quella forma dello Stivale.
Quel che precede è una panna cotta al limone con gamberi, come a condurre progressivamente al passaggio dal dolce al salato. Limone pungente, gambero in forma quasi liquida (teste frullate a crudo abbattute e poi affettate) come addomesticato. Sembra un azzardo ma in fondo non lo è: la dolcezza e il colore del crostaceo in purezza citano il più classico abbinamento panna cotta con le fragole.
Dopo la riapertura sparisce la carta anche qui e i piatti richiamano sempre più il territorio (un must del fine dining, il piccione, prima presente è ora sparito). Tre i percorsi degustazione e un menu che rimane cartaceo ma viene donato al cliente, all’interno un’opera di Morena Tamborrino, illustratrice pugliese.
Lontano dalle cucine stellate ma di fronte al mare si trova “Da Tuccino” a Polignano a Mare, un vero e proprio punto di riferimento per la cucina di mare nell’accezione più classica, dove protagonista assoluta è la materia prima, spesso da gustare cruda.
“Da Tuccino” ha l’aria del locale che vive mediaticamente grazie a un consolidato passaparola, con alle spalle oltre 50 anni di attività.
Il suo biglietto da visita si trova all’ingresso, è il bancone del pesce che non ha l’aria della vetrina da ristorante che hanno in molti, sembra un vero e proprio bancone del mercato del pesce. Oltre che biglietto da visita è la sua carta di identità e spesso qualunque scelta fatta sul menu (cartaceo o in QR code come impone la contemporaneità virologica) viene stravolta da una visita al bancone, dove ad esempio un fresco dentice da fare al forno e poi alla pugliese fa subito cambiare idea. Arriverà al tavolo intero, sfilettato al carrello comme il faut, la testa in un piattino a parte, per chi desidera scavare le guanciotte.
Da Tuccino si viene anche per i crudi che si declinano in diverse tipologie, qui il pescato locale parla di colori e di città della Puglia: dal gambero viola di Gallipoli, a quello rosso di Bari (più indicato cotto con i primi come con lo spaghettone di pasta fresca, bottarga e scalogno) oppure ancora dal rosa dello scampo di Manfredonia alle tante sfumature iridate di piccole e saporite triglie appena pescate.
Servizio in giacca e cravatta nere che non risparmia sorrisi con gli occhi, nera anche la mascherina in tinta. Nessun eccesso di narrazione, se non quella delle suggestioni del mare di fronte dove è stata creata un’area relax esterna per un aperitivo o un dopo cena, al suono delle onde che si infrangono sulle scogliere da cartolina di Polignano.