Uno scatto è per sempreTirare fuori la foto con la persona famosa del momento è la grande ipocrisia degli scemi sui social

Un’istantanea pubblicata su Instagram, Twitter o Facebook può avere il significato che vogliamo, di volta in volta, anche se estrapolata dal contesto

Alberto PIZZOLI / AFP

L’account Instagram più chiacchierato del momento si chiama “Celebs with Ghislaine”, e raccoglie foto degli ultimi decenni, di prima che Ghislaine Maxwell fosse considerata una criminale complice d’un pedofilo, quand’era una figlia di papà che veniva fotografata con gente come lei: ricca e famosa.

Secondo gli osservatori superficiali, la raccolta d’immagini dimostra che il più pulito ha la rogna. Che puoi essere un’organizzatrice di giri sessuali loschi e avrai frequentato Trump ma anche Clinton, Harvey Weinstein ma anche Naomi Campbell, la regina Elisabetta ma anche Flavio Briatore.

Secondo me, dimostra un’implacabile legge antica per i famosi e più recente per i nessuno: tutti hanno una foto con tutti.

Quando Joe Biden ha annunciato che Kamala Harris sarebbe stata la candidata a sua vice, tutti i famosi che seguo sui social hanno postato la loro brava foto con Kamala. Gli stessi (Arianna Huffington, primo esempio che mi viene in mente) che hanno una foto con Ghislaine ne hanno anche una con Kamala.

È perché i criteri morali per farsi fotografare sono laschi? No: è perché sono inesistenti. Ogni telefono ha un obiettivo fotografico: per quanto vogliamo continuare a fingere di credere che la gente si faccia fotografare solo in compagnie selezionate?

L’altroieri, quando Steve Bannon era stato arrestato da dodici minuti e già si tiravano fuori le foto con celebrità italiane, Luca Bizzarri ha scritto su Twitter: «Quando uno muore tutti postano la propria foto col morto di fianco. Quando uno lo arrestano tutti postano la foto di quello che gli sta sui coglioni con l’arrestato di fianco. Siamo una banda di deficienti».

Carlo Calenda, che pur passando la vita sui social non ha ancora capito come funzionino i social, quando gli invasati di giornata hanno iniziato a ripubblicare una sua foto con Bannon a scopo di sputtanamento, si è sgolato a dire che la foto era stata scattata a margine d’un dibattito tra i due. «Abbiamo fatto un confronto duro da cui è uscito con le ossa rotte».

A parte la straziante tenerezza dell’autocertificazione di schiacciante vittoria dialettica, chiedere ai passanti dei social di non badare al fermoimmagine ma di verificare il filmato del dibattito è come illudersi che, di questo articolo, i passanti di Twitter commenteranno altro che il titolo.

La foto vale tutto: è l’unica frazione di secondo d’attenzione che il passante ti riserverà, e d’ora in poi sarai per sempre amico di Bannon, di Ghislaine Maxwell, d’un ultrà.

La foto non vale niente: perché, appunto, tutti hanno foto con tutti, e nessuno abbastanza noto da sentirsi richiedere in continuazione foto esige fedine morali o penali prima di scattarle.

L’unica volta che il presidente degli Stati Uniti della finzione televisiva di The West Wing svicola da una richiesta di foto è quando scopre che, da bambino, il tapino che ora vorrebbe essere immortalato con lui aveva fatto una foto col presidente Hoover, e un attimo dopo c’era stato il crollo della Borsa e la grande crisi del 1929. Cioè: persino in una serie che cercava di darsi un tono, e in anni in cui i telefoni non facevano le foto, per sottrarsi all’obbligo di scatto non avevano trovato espediente migliore del malocchio.

Il fatto è che, dei molti difetti che abbiamo, qui nella curva di stadio in cui abitiamo, il più incistato è senz’altro l’incapacità di applicare ai tifosi della curva avversaria gli stessi criteri con cui valutiamo i nostri. E quindi siamo disposti a difendere Calenda se a margine d’un dibattito stringe la mano a Bannon, ma non a dire che non vale niente il fatto che Salvini sia stato fotografato con uno spacciatore.

La foto vale quel che decidiamo di farla di volta in volta valere: se muore qualcuno di molto pianto dai social, siamo pronti a tirar fuori la foto in cui eravamo per puro caso nella stessa inquadratura, e a sfoggiarla come prova di comunione intellettuale e profonda amicizia. (Conservo una mia foto, nel backstage d’una sfilata, in cui ci sono Marisa Tomei e Winona Ryder e Anna Wintour; sono tutt’e tre molto più in salute di me, il che è un peccato, perché se vivessi più a lungo avrei tre occasioni per spacciarmi per amica del cuore di tre tizie cui non ho mai rivolto la parola.)

Non è mica solo una questione di millantato credito, non sono mica solo le foto con cui l’ex oste in Borotalco si fingeva amico dei famosi già clienti del suo ristorantino. È che se non c’è la foto più nulla è vero. Nel Novecento conoscevo una che chiudeva le persiane per tutto agosto e, a settembre, millantava meravigliosi viaggi. Oggi non le crederebbe nessuno: se non l’hai instagrammato non è successo.

Ogni volta che qualcuno di famoso compie gli anni, i social si riempiono di gente un po’ meno famosa che pubblica proprie foto insieme. Nessuno pensa: è perché non hanno il suo numero di telefono e non possono fargli gli auguri in privato. Tutti pensiamo: ma se c’è una foto allora sono proprio amici.

Tutti, anche noi che una foto con quel famoso lì ce l’abbiamo, e non avremmo mica il suo numero per fargli gli auguri. Anche noi che non la pubblichiamo, in attesa di capire se il nostro album dei famosi contenga più gente di cui vantarci o chiamate in correità.

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