È uno strano incarico che viene affidato ad Allen Ginsberg, il celebre poeta e scrittore della scena beat: intervistare l’amico William Burroughs in occasione dell’uscita del film “Pasto nudo”.
Le domande gliele forniscono i giapponesi («Sono formulate in modo abbastanza strano») ma sono solo un pretesto, lo spunto per una conversazione lunghissima, protratta per tre giorni e registrata su 11 nastri.
Adesso è diventata anche un libro, tradotto in italiano per il Saggiatore: “Non nascondermi la tua pazzia”, trascrizione fedele (con note e correzioni) di quelle lunghe ore nel Kansas. Una presa diretta che catapulta il lettore ai primi anni ’90, nella casa di Burroughs, tra i suoi gatti e le pistole, quando i protagonisti della rivoluzione letteraria americana (Jack Kerouac era già morto da tempo) sono ormai anziani, ripercorrono il passato, i libri scritti, le avventure e le disavventure. È come “Youth” di Paolo Sorrentino, ma divertente.
Invecchiati ma non cambiati, i due grandi scrittori affrontano la modernità di allora (gli anni ’90) con gli stessi occhi con cui avevano attraversato il ’900.
Basterà dire che l’incontro inizia alla fine di un rito sciamanico, con annessa discussione su quanto si debba dare all’indiano navajo che lo ha organizzato, e prosegue su droghe e spiriti, tenendo fede a tutta la paccottiglia anni ’60 che rimane inestricabile dalla loro arte.
In mezzo a test libertari («Sei per la liberalizzazione delle droghe? Sì»), questioni di politica toccate in superficie («Sei un liberal di sinistra»), qualche fascinazione per pratiche bizzarre come gli esorcismi c’è soprattutto tanta letteratura, dagli autori classici – Blake e Shakespeare – fino ai loro amici, come Jack (Kerouac) e Lucien Carr, comprese come è ovvio le loro stesse opere, da “Pasto nudo” a “Urlo”, e tutte quelle posteriori, più o meno note.
Ma tra i ricordi delle scorribande di New York, i carrelli rubati, il filo per stendere i panni, le battute sugli ex amanti e le esperienze più o meno allucinate, tutto rimane sospeso intorno a quello che, di fatto, è stato il momento decisivo della vita di Burroughs: lo sparo alla moglie Joan con cui la uccise nel 1951, mentre inscenava il Guglielmo Tell. Un episodio rimasto misterioso (perché non fu mai perseguito?) dalle dinamiche poco chiare.
È quello – lo si apprende nelle ultime pagine – il senso del rito sciamanico, che nonostante si tratti di una conversazione di tre giorni, costituisce l’asse portante di tutto il libro. Una cerimonia attraverso la quale lo scrittore cerca di liberarsi dello spirito maligno che lo pervade fin da bambino, lo stesso che lo ha portato all’omicidio, all’abuso di stupefacenti, alla scelta stessa di diventare scrittore.
Alla fine è una (autoa)ssoluzione: secondo quanto ha detto lo sciamano, «è stato lo spirito maligno a premere il grilletto». Basterà?
L’ incontro insomma è un momento conclusivo: consapevoli o no, le riflessioni che riempiono le loro ore sono un riassunto di quanto hanno fatto, vissuto e creato, in tutti quei decenni, compreso il contributo – profondo – alla letteratura mondiale.
Un congedo vivace, un addio di chi sta tirando i remi in barca. Entrambi, Burroughs e Ginsberg moriranno nel 1997, lasciando dietro di sé un mito, vari libri e queste cassette registrate.