Fa già discutere e tanto il documento Stanowisko Konferencji Episkopatu Polski w kwestii Lgbt+ (Posizione della Conferenza episcopale polacca sui temi Lgbt+, ndr), che i vescovi della terra di Wojtyła, riuniti per la 386° Assemblea generale (27-29 agosto) presso il santuario mariano di Jasna Góra a Częstochowa, hanno adottato venerdì scorso.
La sintesi è stata offerta in un comunicato ufficiale che, oltre a presentare le altre questioni trattate nella tre giorni – dall’insegnamento scolastico della religione agli abusi del clero sui minori, dall’incoraggiamento ai fedeli perché tornino in chiesa dopo la pandemia al 40° anniversario di fondazione di Solidarność –, sottolinea come lo Stanowisko richiami «la necessità di rispettare le persone che si identificano come Lgbt+.
Allo stesso tempo si oppone agli sforzi di dominare la vita sociale da parte di questi circoli, in particolare dal desiderio di equiparare le relazioni omosessuali alle coppie sposate e concedere loro il diritto di adottare bambini. La Chiesa è pronta a venire in aiuto di coloro che sperimentano lacrime interiori e difficoltà con l’autoidentificazione di genere. Suggerisce di sviluppare centri di consulenza per aiutare queste persone. I vescovi esprimono la loro gratitudine anche a tutti coloro che, nello spirito dell’insegnamento di Papa Francesco, si esprimono per la difesa della famiglia in spazi pubblici».
Da questo abregé sono già evincibili toni e contenuti del documento episcopale che, su un totale di 27 pagine, si compone di 108 paragrafi, ripartiti in quattro capitoli: 1) La sessualità dell’uomo e della donna nella visione cristiana dell’essere umano; 2) Movimenti Lgbt+ nella società democratica; 3) Persone Lgbt+ nella Chiesa cattolica; 4) La Chiesa riguardo alla posizione Lgbt+ sull’educazione sessuale dei bambini e dei giovani. Ma solo una lettura completa consente di coglierne la gravità e la portata incendiaria nel contesto della situazione polacca, dominata sempre più dalla martellante retorica anti Lgbt+ di un Duda e di rappresentanti della coalizione di governo Zjednoczona Prawica (Destra Unita, ndr).
Retorica, guarda caso, mutuata da quella ecclesiastica e insieme impiegata nella crociata contro l’“ideologia Lgbt+” che ha toccato punte d’inusitata violenza nell’estate 2019. Quando, cioè, prima delle elezioni politiche del 13 ottobre 2019 che avrebbero visto ancora una volta vittorioso di PiS di Kaczyński, si sono registrati episodi di aggressioni e contestazioni ai Pride Białystok (20 luglio), Radomsko (17 agosto) e Lublino (28 settembre) da parte di gruppi ultranazionalisti, neo-nazisti e tradizionalisti cattolici.
Il documento del 28 agosto, oltre a riferirsi in maniera martellante alla fantomatica ideologia del gender, che viene spesso identificata tout court con quella Lgbt+, insiste sulla necessità di reagire al disinteresse dei movimenti Lgbt+ per gli elementi biologici e psicologici della sessualità umana, depauperata del fine procreativo e negata nelle sue caratteristiche di reciprocità e complementarietà tra uomo e donna.
Ne insorgerebbe, secondo i presuli, che citano al numero 10 il documento della Congregazione vaticana per l’Educazione cattolica “Maschio e femmina li creò”. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, una «radicale separazione del sesso biologico (sex) dal sesso socio-culturale (gender). Il sesso biologico-anatomico si basa su criteri biologici e psicologici. Il sesso socio-culturale determina il modo di sperimentare e realizzare la differenza tra i sessi in una cultura specifica. L’errata separazione del sesso biologico e culturale, che di fatto relativizza il sesso biologico, si traduce in una distinzione “tra diversi orientamenti sessuali che non sono più determinati dalla differenza di sesso biologico tra un uomo e una donna, ma possono assumere altre forme definite solo da un’unità radicalmente autonoma”».
Ma non basta. Le persone della comunità Lgbt+, dando «priorità alle inclinazioni sessuali che negano la complementarità di genere tra uomini e donne», minerebbero implicitamente «almeno implicitamente la loro vocazione genitoriale» (nr. 5). Da qui l’impossibilità per la Chiesa (con invito anche alle autorità governative) di accettare l’estensione del concetto di matrimonio e famiglia, l’equiparazione dei diritti e dei privilegi matrimoniali alle nozze tra persone dello stesso sesso, il riconoscimento delle unioni create da coppie dello stesso sesso insieme alla regolamentazione della situazione patrimoniale, degli alimenti e dell’eredità, l’adozione di bambini da parte delle stesse nonché il diritto di determinare il proprio genere per persone di età pari o superiore a 16 anni.
Ovviamente un no secco all’educazione sessuale di minori come proposta da persone di associazioni Lgbt+, i cui «mezzi, metodi e obiettivi […] vanno ben oltre il quadro dell’educazione, che deve tenere in conto il benessere integrale dei bambini e dei giovani. Un’educazione responsabile non può essere conciliata con la fornitura ai bambini di materiali che rivelano l’intimità umana, insegnano loro il piacere di “manipolare” la sessualità e l’introducono alle prime esperienze sessuali» (nr. 23).
Ma il paragrafo più preoccupante è sicuramente il 38, in cui l’episcopato polacco sostiene la necessità di «creare centri di consulenza (anche con l’aiuto della Chiesa o delle sue strutture) per aiutare le persone che vogliono ritrovare la propria salute sessuale e orientamento sessuale naturale. Queste cliniche hanno senso anche quando la trasformazione sessuale completa si rivela troppo difficile. Tuttavia esse aiuteranno in modo significativo ad affrontare le sfide psicosessuali.
Il postulato di tali centri di consulenza è in netta contraddizione con le opinioni ufficiali dei gruppi Lgbt +, con posizioni considerate scientifiche, nonché con il cosiddetto “politically correct”. Tuttavia, non si può ignorare la testimonianza di persone che a un certo punto si sono rese conto che la loro diversa sessualità non è una situazione irrevocabile o una codificazione irrecuperabile, ma un sintomo di ferite della loro personalità a diversi livelli. Pertanto essi, sinceramente desiderosi di sanare il dolore provato, hanno compiuto uno sforzo lungo, a volte eroico e, con l’aiuto di persone competenti, hanno riacquistato una sana identità e un’armonia spirituale o, almeno, raggiunto la capacità di vivere in armonia con se stessi nella pace interiore».
A tal riguardo Vittorio Lingiardi, psichiatra, psicoterapeuta e professore ordinario di Psicologia dinamica all’Università Sapienza di Roma, dichiara a Linkiesta: «Non ho potuto consultare per intero il documento dell’episcopato polacco, al momento credo non ancora tradotto, ma ho letto una traduzione del paragrafo 38. Espressioni come “orientamento sessuale naturale” e “guarigione” sono estranee al vocabolario scientifico. E quando si tratta di “salute sessuale” e di sviluppo armonioso della propria identità, sessuale o di genere, i miei parametri sono quelli della letteratura scientifica e dell’esperienza clinica. Parlare di “centri di consulenza” per persone che non accettano la propria omosessualità e vorrebbero cambiare orientamento sessuale mi sembra un modo neppure troppo velato di evocare le cosiddette “terapie riparative”. In pratica: aiutare, con parole e precetti, persone in crisi con la propria identità a “diventare” eterosessuali».
L’accademico milanese ricorda, inoltre, che «tutta la comunità clinica e scientifica (dall’Organizzazione mondiale della Sanità a tutte le associazioni professionali della salute mentale, compreso il nostro Ordine degli Psicologi e l’Associazione italiana di Psicologia) considera l’omosessualità non patologica e ribadisce la propria posizione contro ogni intervento “riparativo”. Quanto alla disforia di genere, si tratta di una condizione dolorosa ma anch’essa non patologica, che deve essere accolta e seguita da personale medico e psicologico specializzato in sintonia con le linee guida e i protocolli internazionali».
Per Lingiardi chi oggi parla dell’omosessualità «come di una condizione “modificabile” per mezzo di sedicenti interventi “terapeutici” non gode di alcun riconoscimento nella comunità accademica e professionale. La mole di letteratura scientifica in proposito è enorme, basta documentarsi. Aggiungo che gli interventi mirati a “convertire” l’omosessualità in eterosessualità sono non solo inefficaci, ma anche dannosi (e questo lo diceva già Freud nel 1920). Ciò non significa che non esistano persone in conflitto con il proprio orientamento sessuale, ma non è promettendo cambiamenti improbabili o alleandosi con la loro omofobia interiorizzata che li si può aiutare. Chi vuol farsi un’idea di come funzionano le “terapie riparative” può vedere alcuni film a mio avviso molto istruttivi: Prayers for Bobby, La diseducazione di Cameron Post e Boy Erased – Vite cancellate. Raccontano il dolore di non amarsi e di combattere contro i propri sentimenti».
Secondo Roberta Padovano, attivista e counselor, «le gerarchie cattoliche, come accaduto in passato, confermano il loro ruolo di fedele spalla alle politiche governative più reazionarie, misogine, omofobe e transfobiche e lo fanno puntualmente al culmine di un periodo di violenze poliziesche e campagne d’odio. Dichiarano che è necessario creare centri di consulenza, addirittura cliniche dove le persone possano ritrovare la loro “salute sessuale e l’orientamento sessuale naturale” e offrono l’aiuto della Chiesa e delle sue strutture per realizzare tutto questo». Facendo eco a Lingiardi nel rimarcare che «l’omosessualità, la transessualità non sono malattie, dunque le cosiddette terapie riparative sono solo pratiche basate su pregiudizi antiscientifici», osserva: «Le parole della Conferenza episcopale sarebbe ridicole, ma nel contesto autoritario polacco sono purtroppo tragicamente colpevoli e irresponsabili».
In tale ottica meraviglia non poco il silenzio assordante di Oltretevere sullo Stanowisko: sono passati cinque giorni dalla sua adozione, eppure nessuna parola si è letta o udita da parte dei vertici della Santa Sede. Lo stesso sito ufficiale Vatican News non ne ha dato finora notizia alcuna se non nella versione polacca e, per giunta, con uno scarno articolo. Acquiescenza o volontà di non pubblicizzare un testo palesemente imbarazzante?
Una valutazione complessiva della Posizione la dà a Linkiesta Andrea Rubera, portavoce di “Cammini di Speranza” (Associazione nazionale persone Lgbt+ cristiane), secondo il quale «essa suona antimoderna e contraddittoria per tanti motivi». Non solo perché «contravviene al principio della “gerarchia delle Verità” in riferimento agli insegnamenti della Chiesa e alla dottrina. Sino a oggi infatti, sui temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere nessun intervento è stato fatto al più alto livello dei pronunciamenti papali». Ma anche per la «modalità contraddittoria, e inutilmente pietistica» con cui è espressa, «citando qua e là “le difficoltà, le sofferenze e le lacrime spirituali vissute” dalle persone Lgbt+ e subito dopo dando, ad esempio, un sinistro endorsement alle teorie riparative».
Per Rubera «aspetto inquietante è quello contenuto nel punto 50, laddove la Conferenza episcopale polacca sembra aprire una nuova strada verso l’elevazione del giudizio sulle persone Lgbt+ a un livello assoluto: “La Chiesa ci ricorda che il suo insegnamento in questa materia si basa sulla Parola di Dio, sulla Tradizione apostolica vivente e sulla legge naturale. È quindi universale, immutabile nel tempo e nello spazio, ed è infallibile”. In un momento in cui il mondo ha bisogno più che mai di ponti, i muri elevati dai vescovi polacchi per recintare la vita delle persone Lgbt + appiano inopportune e in antitesi con la pastorale per e con le persone che sta portando avanti Papa Francesco».
Come spiegare allora un tale documento? «Il dubbio – ipotizza il portavoce di “Cammini di Speranza” – è che esso sia stato pubblicato su spinta di qualche fronda anti Bergoglio presente in Vaticano come test di reazione per la valutazione di future iniziative».