Dilaga sulla stampa la vicenda Suarez (la supposta frode nell’esame a Perugia per conseguire la certificazione di conoscenza della lingua e con essa la cittadinanza italiana a favore del calciatore uruguagio) con dovizia di particolari sul contenuto di intercettazioni (che dovrebbero essere segrete) insieme, addirittura, ad acute disquisizioni di cronisti, solitamente dediti al pallone e non alle pandette sui (sic!) «capi di imputazione » (ieri sera Paolo Assogna su Sky Sport).
Non si lesinano approfondimenti sulla natura “plurisoggettiva” del reato di corruzione che comporta necessariamente la presenza, accanto ai pubblici ufficiali corrotti (i docenti dell’università) anche dei corruttori. E qui non occorre molta fantasia per capire dove si va a parare: «Spunta il nome del direttore sportivo della Juventus, Fabio Paratici», recitano i titoli dei giornali, mentre si muove anche il procuratore federale della FGCI Chinè, ovviamente per indagare su tesserati italiani (e Suarez non lo è).
Ora, si può essere ferocemente anti-bianconeri come nel caso di chi scrive e, tuttavia, provare un fastidioso senso di “deja-vu”: la vicenda ripercorre, passo passo, l’iter di centinaia di altri scoop giudiziario-giornalistici che hanno riempito le prime pagine dei giornali, sono scivolate nell’indifferenza prima e poi anche in qualche semi-clandestina archiviazione (cosa che, potete star certi, succederà ad esempio al caso delle fondazioni renziane, semi-cestinato in settimana dalla Corte di Cassazione).
Lo scandalo Suarez presenta però di suo una particolarità: è il primo procedimento penale da prima pagina nell’era della nuova riforma delle intercettazioni. Ed è uno scoop che non dovrebbe esistere: e che non esisterà con ogni probabilità, se le norme varate (e le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione) hanno un senso.
Ne abbiamo parlato qui commentando la nuova legge voluta dal ministro Bonafede in sostituzione di quella disegnata dal suo predecessore del Partito Democratico Andrea Orlando.
Entrambe le riforme, la vecchia e la nuova, sono nate con lo stesso scopo: levare dalle prime pagine dei giornali le intercettazioni coperte da segreto e riservate.
Evidentemente non è così, e il particolare grave è che nel caso Suarez non si tratta neanche di atti ufficialmente depositati al termine delle indagini oppure dopo l’arresto di indagati, cioè resi pubblici agli interessati ed ai difensori prima che ai giornali (in realtà accade l’inverso ma pazienza), bensì di elementi che dovrebbero restare coperti dal segreto istruttorio, visto che si tratta di un’indagine ai primi passi.
Come abbiamo scritto su Linkiesta, subito dopo l’entrata in vigore della legge, la novità è il ruolo di stretto controllo sulla custodia delle intercettazioni oggi affidato ai Pubblici Ministeri.
Secondo l’articolo 269 del codice di procedura, «I verbali e le registrazioni e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni».
Il segreto d’indagine cessa nel momento in cui, terminate le indagini, le parti potranno accedere all’archivio ed il pubblico ministero acquisirà al suo fascicolo d’indagine (che i difensori potranno consultare) le intercettazioni che intende utilizzare.
Ebbene, nella vicenda perugina siamo al di fuori di questa ipotesi: i pezzi delle intercettazioni che i giornali stanno fedelmente riportando, accuratamente scelti ed estrapolati dagli inquirenti, sono illecitamente diffusi. Peraltro il neo procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, ha rilasciato pubblici commenti senza esprimere alcun disappunto per la fuga di notizie.
E questo particolare dimostra chiaramente, ove ce ne fosse bisogno, che la strombazzata riforma Bonafede non ha affatto lo scopo di tutelare la riservatezza dei cittadini indagati ma solo quella di estendere il potere di indagine dei pm, l’intrusione estesa nella “vita degli altri” in nome della caccia indiscriminata al malaffare e la solita irrinunciabile gogna mediatica che a tutti fa orrore – ma solo a parole.
Ma c’è di più: l’iscrizione del delitto di corruzione nel registro delle notizie di reato sembra, più che l’individuazione di nuove responsabilità, una mossa per poter aggirare un ulteriore divieto che la legge porrebbe sulle cosiddette “intercettazioni a strascico”.
L’articolo 270 del codice di procedura penale vieta in via generale che si possano utilizzare in altre indagini le intercettazioni captate in un procedimento che abbia da oggetto fatti ed indagati diversi.
Se sto indagando su una corruzione e scopro dalle intercettazioni scopro che alcuni indagati stanno organizzando una truffa altrove, potrò sì avviare una nuova indagine, ma quelle intercettazioni non sono utilizzabili come prova secondo una importante sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione all’inizio dell’anno e che costituisce un precedente da applicare allo stesso modo di una legge.
Lo scopo è quello di evitare casi come quello di Suarez: la indiscriminata raccolta di notizie di reato a scapito della libertà dei singoli: una cosa che si chiama “Stato di diritto” invece che “totalitario”.
Come hanno spiegato gli inquirenti, le intercettazioni su Suarez liberamente riportate dai giornali sono state scoperte casuali mentre l’oggetto dell’indagine erano le irregolarità contabili dell’Università degli stranieri perugina, paradossalmente denunciate da alcuni che oggi sono indagati nella vicenda del calciatore.
Esse sarebbero inservibili, se non fosse per la contestazione della corruzione che. grazie alle novità apportate dalla famigerata legge “spazzacorrotti” – fiore all’occhiello del ministro della Giustizia – è stata inserita nella lista dei reati per i quali possono essere utilizzati anche le intercettazioni “a strascico” e i virus trojan.
In realtà, al momento, prove o anche indizi di un accordo corruttivo non ce ne sono: nessuna intercettazione dimostra un’intesa illecita e men che meno il pagamento o la promessa di una qualche utilità in favore dei docenti.
Per questo si è enfatizzata la telefonata di un malcapitato legale che prometteva di indirizzare altri (beninteso: eventuali) stranieri bisognosi di un iter accellerato per il passaporto. Difficile che un tribunale possa accontentarsi di questo per individuare una corruzione, ma con questo, al momento, viene giustificato l’uso, l’abuso e soprattutto la diffusione del testo (parziale peraltro) delle intercettazioni.
Esso è patrimonio comune con il beneplacito di chi dovrebbe vigilare: la Procura di Perugia, già nota quale produttore ufficiale delle intercettazioni del caso Palamara.
A volerla dire tutta, i magistrati umbri farebbero bene ad accendere i riflettori sulle vere cause di questa e di analoghe vicende di agevolazioni (si pensi ai crediti riconosciuti ai dipendenti amministrativi di Stato ed enti locali) che ormai investono tutti i piccoli atenei alle prese con problemi finanziari.
Le leggi 240/10 e 18/12 hanno riconosciuto l’autonomia finanziaria delle università ed introdotto l’obbligo di criteri contabili come quelli previsti per le società e gli enti economici.
Ne consegue che gli atenei sono a caccia affannosa di studenti, divenuti ormai una “clientela” a tutti gli effetti da attirare e fidelizzare.
È probabile che quei docenti intercettati e sputtanati come di prammatica il favore lo facessero alla propria università, ridotta malissimo e bisognosa di reperire clienti, piuttosto che a se stessi.
Ma a chi volete che interessi una seria riflessione sui problemi amministrativi della pubblica istruzione di fronte del solito tuffo nella vita privata di qualche vip? Il tutto, beninteso, rigorosamente nel nome della Legge.