Open intelligenceI dati sensibili più a rischio sono quelli che pubblichiamo online consapevolmente

Secondo Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy, «abbiamo la percezione che questi strumenti siano dei criceti che girano nella nostra ruota e non escano, ma in realtà le informazioni non sono mai solo nostre»

Le criticità che mettono a repentaglio i nostri dati e quindi la nostra privacy online quando navighiamo in rete sono molte. Dopo lo scandalo Cambridge Analytica si potrebbe dire che è ormai cosa nota. Tuttavia, lo stupore e la preoccupazione è ancora molta quando emergono casi come quello della Zhenhua Data. Una società cinese che, secondo i documenti analizzati dal Foglio, ha raccolto 2 milioni e 444 mila nomi e profili in tutto il mondo, anche in Italia, collezionando  un archivio informatico con le informazioni personali di cittadini di particolare interesse, tra politici, imprenditori, militari, esponenti di rilievo della società civile e criminali. Del nostro Paese compaiono 4544 nomi, tra cui quello di Matteo Renzi, Walter Veltroni, gli industriali Ferrero e Merloni, e 2732 indagati o condannati per vari reati, soprattutto criminalità organizzata.

La Zhenhua Data è tra quelle società che raccoglie le informazioni disponibili pubblicamente in rete, adottando la pratica nota come Open Source Intelligence: con la quale grazie ad algoritmi di ricerca vengono scandagliate le fonti web e poi inseriti i dati di interesse in un database chiamato Okidb, cioè Oversea Key Information Database. Un fenomeno che, a prescindere dalla scelta elitaria fatta dalla Zhenhua, coinvolge tutti noi. «Bisogna fare una premessa: non si può in Italia, e in altri Paesi, fare raccolta di informazioni, anche se liberamente accessibili, per conto di soggetti terzi se non si è autorizzati a norma dell’articolo 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps). Una considerazione che vale oltremodo per player stranieri che possono accedere ai server con sede in Italia e attingere liberamente alle informazioni» spiega Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy (IIP) dal 2008 e socio fondatore dello studio ICTLC – ICT Legal Consulting.

«Detto questo, ci sono molti dati sensibili in rete di utenti e scenari che sottovalutiamo. Applicazioni, social network e sondaggi online, al quale forniamo dati che in quanto resi manifestamente pubblici dall’interessato pensiamo non utilizzabili per altri fini, trattano e gestiscono le nostre info e molto spesso le elaborano, tramite soggetti terzi, in maniera sistematica per profilarci e schedarci» continua Bolognini.

Qual è il beneficio che si ricava dall’accumulo di tutti questi dati? Il valore della profilazione riduce il rischio della previsione sulla reiterazione futura dei comportamenti consueti e soprattutto, nel terreno politico, può indirizzare le scelte evitando l’incertezza sulla previsione di comportamenti mai osservati prima. «Schedare gli utenti sulla base delle informazioni che rilasciano volontariamente dà l’opportunità ai player, aziendali o politici, di creare un database con tutte le loro preferenze. Questo comportamento però è contro ogni tipo di regolamento europeo vigente in materia di protezione dei dati» puntualizza Bolognini

Conosciuto anche come microtargeting politico, viene utilizzata la profilazione sulla base delle informazioni raccolte sulle persone che navigano in rete e grazie a precisi profili individuati dall’estrazione delle informazioni che gli utenti lasciano sui social network. In sostanza, il comportamento online del potenziale elettore viene monitorato allo scopo di sfruttare le sue abitudini, le sue opinioni, i suoi interessi. Non senza rischi. «Sarebbe bene evitare di rispondere a tutte quelle sondaggistiche online e attivare tutte quelle app che raccolgono le nostre opinioni in materie estremamente delicate. Noi abbiamo la percezione che questi strumenti siano dei criceti che girano nella nostra ruota e non escano, ma in realtà queste informazioni non sono mai solo nostre, e quasi sempre vengono prese e poi gestite a scopo di lucro» aggiunge Bolognini.

I pericoli del microtargeting, in politica come nel marketing, sono nella sua natura stessa in quanto alla base vi sono meccanismi in grado di manipolare le persone sfruttando i loro dati personali e le informazioni che riguardano la loro vita privata, i loro pensieri, le loro idee. Le questioni in materia di privacy, invece, sempre nel contesto elettorale, obbligano gli attori, in qualità di titolari del trattamento, a garantire che qualsiasi trattamento che utilizza tali tecniche sia lecito, sia svolto in conformità ai principi di trasparenza, correttezza, equità e limitazione delle finalità e che rispetti tutte le altre condizioni individuate dal Regolamento n. 679/2016. Come nel caso delle grandi aziende provider.

«In questi anni le grandi aziende hanno raffinato le loro “armi”. Adesso fanno ancora profilazione, anche massiva, ma quella che era mera pubblicità è passata a una forma di servizi personalizzati che ci semplifica la vita. Tradotto: la profilazione non è solo nell’interesse dell’azienda, bensì del consumatore stesso, che quasi la richiede» conclude Bolognini.

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