BilanciIl (quasi) primo anno di von der Leyen come presidente della Commissione europea

Il mandato si è rivelato molto più complesso del previsto e non solo per la crisi del coronavirus. Tra le sei promesse del programma, lo stallo Brexit, il rapporto con la Cina e il Green deal sono ancora tanti i problemi da risolvere. E Bruxelles non ha avviato ancora meccanismi legislativi capaci di snellire i processi burocratici

Afp

È stata designata il 2 luglio 2019 e appena insediata, all’Europa, aveva fatto una promessa ambiziosa: quella di essere coraggiosa e audace ogni volta ce ne fosse stato bisogno. E in effetti così è stato, almeno nelle intenzioni. Perché il primo anno alla presidenza della Commissione europea di Ursula Von der Leyen, prima donna a ricoprire questa carica, si è rivelato molto più complesso del previsto: non solo per la diffusione del nuovo coronavirus e delle sue conseguenze sanitarie ed economiche, ma anche per l’importanza (e la rilevanza) degli impegni presi, a cominciare dalle iniziative a difesa dell’ambiente a cui lei ha creduto più di tutti gli altri e che, però, si sono dovute scontrare con realtà disarticolate tra loro ed esigenze tutte diverse. Che, comunque, non l’hanno fermata.

Le (prime) sei priorità
Nel programma in cui si presentava come candidata, sottolineando il concetto di Europa come aspirazione per intere generazioni, l’ex ministro della Difesa tedesco evidenziava, in sei punti, le sue priorità, in termini di crescita e di opportunità: il Green Deal, un’economia a disposizione delle persone, un’Europa adatta alla futura era digitale, l’intenzione di proteggere lo stile di vita del continente, un’Ue politicamente più forte sul piano internazionale e una nuova spinta per la democrazia europea. «Ci adatteremo e aggiorneremo man mano che emergeranno sfide e opportunità, ma ci atterremo sempre ai principi e alle aspirazioni delineate in queste linee guida», aveva scritto nel suo documento, probabilmente non immaginando di doversi confrontare con una pandemia, una situazione economica resa ancora più difficile dalla crisi sanitaria, le dimissioni di Phil Hogan, “suo” commissario al Commercio (che aveva partecipato a una festa con altri deputati irlandesi nonostante le restrizioni per la Covid-19) e l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, con annessi (lunghi) negoziati e stalli.

Un anno di Ursula Von der Leyen
Il primo anno alla presidenza di Von der Leyen non è stato decisamente un anno normale, non solo per l’impostazione e l’impronta che lei stessa ha voluto dare al progetto, ma per una serie di circostanze che, nella storia più recente, sono toccate soltanto a lei. Nel documento presentato alla vigilia del suo primo discorso sullo stato dell’Unione, la presidente ha ribadito la centralità della neutralità climatica e la necessità di ridisegnare una strategia verde per la crescita europea, per rafforzare la sua competitività nel mondo. Poi, il problema sanitario causato dal nuovo coronavirus ha costretto la Commissione a ripensare alle sue necessità, proponendo il NextGenerationEU, il piano di ripresa approvato dal Consiglio europeo e presentato al Parlamento e a tutti gli Stati membri, che gli è valso una maggioranza di giudizi positivi, perché ritenuto l’elemento centrale del più potente fondo a lungo termine che l’Ue abbia mai pensato. 

L’ambiente (prima di tutto)
Ideato come un piano volto a far raggiungere la neutralità climatica all’Europa (cioè l’emissione di una quantità di gas serra pari o inferiore a quella che può essere assorbita), il Green Deal è stato fin dall’inizio il primo obiettivo della Commissione guidata dall’ex ministro tedesco. La proposta, che copre i settori dei trasporti, dell’energia, dell’industria, dell’agricoltura e dell’economia, comprende otto politiche studiate per mettere al centro la protezione dell’ambiente, delle biodiversità e soprattutto la riduzione dell’inquinamento. E se, in questo primo anno, a essere criticato maggiormente è stato proprio il carattere troppo ambizioso della proposta, nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione da presidente, Von der Leyen punta ancora più in alto, alzando notevolmente l’obiettivo Ue di riduzione delle emissioni di gas serra per il 2030, portandolo al 55%, rispetto ai livelli del 1990, contro il precedente 40%. 

Le imperfezioni del Green Deal
Nonostante sia percepita come una delle più importanti proposte della Commissione, il Green Deal, il cui piano è stato lanciato l’11 dicembre 2019, ha presentato inevitabilmente delle criticità, principalmente legate alle diverse sensibilità ambientali dei vari Paesi europei e a un problema di garanzia economica che questo patto si porta dietro. La divisione tra est e ovest, per esempio, è emersa quasi subito, perché a molti Stati il progetto “verde” è sembrato, già prima della diffusione della Covid-19, troppo costoso. La Polonia, infatti, non ha mai firmato l’accordo, perché ancora dipendente dal carbone, così come altri Paesi, che non sono certi di potersi riadattare al nuovo corso. Inoltre, visto che la volontà di ridurre le emissioni non riguarda soltanto gli Stati membri ma chiunque lavori nel continente, l’ipotesi di delocalizzazione e una possibile conseguente disoccupazione agita i vari esecutivi. 

Tutte le “ingenuità” (e le critiche)
Ma il Green Deal non è stata l’unica proposta della Commissione ad avere mosso qualche dubbio e diverse critiche nei confronti della presidenza. Tra le sei priorità elencate da Von der Leyen, infatti, era stato inserito anche il tema dell’uguaglianza di genere in termini di salari, opportunità, violenza domestica e diritti delle donne, senza però indicare una strategia più concreta che non fosse il rilancio di piani già esistenti. Come osservato da Diana-Andreaa Mandiuc, dottoranda alla Cardiff University, per quel che riguarda la volontà di rendere il continente più adatto alla futura era digitale, la Commissione non ha avviato meccanismi legislativi capaci di snellire i processi burocratici. E gli effetti si vedranno a lungo termine. 

Il problema della commissione geopolitica
Appena insediata, la presidente aveva evidenziato anche l’importanza di un’Europa politicamente forte sul piano internazionale, in grado di confrontarsi con il resto del mondo (e non solo economicamente). La commissione geopolitica, che iniziava ufficialmente la sua attività il 9 marzo scorso, con una nuova strategia per l’Africa, alzava (di molto) le aspettative di un’Europa politicamente più rilevante e più presente che, però, per ora, sembra essere ancora sovrastata dai altri giganti.

«Abbiamo lavorato per consolidare il nostro rapporto con la Cina, con più reciprocità e parità di condizioni nel commercio e negli investimenti. Il vertice ci ha dato la possibilità di approfondire la nostra cooperazione e di discutere delle nostre divergenze, anche in termini di diritti umani e sulla situazione a Hong Kong», si legge nel documento pubblicato in queste ore. E nell’esprimere soddisfazione per aver «intensificato la lotta contro la disinformazione» e le fake news, nel bilancio di questo primo anno, la Commissione guidata dall’ex ministro tedesco ha chiesto all’Europa “di accendersi” e di realizzarsi, non considerando (forse) tutti i suoi limiti.

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