Contro il regime change antidemocratico Salviamo le camere per costruire l’alternativa alle coalizioni diversamente populiste

Accettare la mutilazione della Costituzione per propiziare un nuovo Governo è gravissimo. Ma lo è stato ancora di più fingere di non vedere che in un quadro costituzionale inalterato questo scempio rischia di rimanere storicamente irreversibile e praticamente irrimediabile

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La legge sul cosiddetto taglio dei parlamentari non è una riforma costituzionale, ma un monumento al regime change populista. Una sorta di arco di trionfo, che celebra la conquista delle istituzioni della Repubblica. La sforbiciata non nasce da un disegno costituente, ma da anni di insulti alla politica e al Parlamento. I “portavoce” di Grillo sono stati educati al disprezzo di deputati e senatori – cioè, anche, di sé stessi – come usurpatori della sovranità popolare e rappresentanti abusivi del potere democratico.

Avere finto, nel trapasso tra il Conte I e il Conte II, che questa legge fosse davvero una riforma e potesse essere discussa come tale (cavillando sul fatto che si potranno fare dopo le cose, che si sarebbero dovuto fare prima di ridurre il numero di eletti) è la responsabilità più grave e – temo – irreparabile che si sono assunti quanti, dopo avere votato no tre volte su quattro, alla quarta votazione hanno dato il via libera all’approvazione di una legge prima condannata senza appello.

Accettare la mutilazione della Costituzione per propiziare un nuovo Governo è gravissimo. Ma lo è stato ancora di più fingere di non vedere che questa mutilazione, in un quadro costituzionale inalterato, rischiava di rimanere storicamente irreversibile e praticamente irrimediabile con meri aggiustamenti della legge elettorale o dei regolamenti parlamentari. Proprio mentre il M5s si adegua alle peggiori abitudini dei partiti che diceva di combattere, il resto della politica gli concede una vittoria immeritata, ma decisiva.

Ho sentito persone rispettabili sostenere che ridurre il numero dei parlamentari era comunque necessario e che dunque, il 20 settembre, tanto vale dire sì… e dopo si vedrà. Ciò equivale a sostenere che per una Repubblica parlamentare sia sostanzialmente uguale avere 600 eletti in un sistema monocamerale o averne 400 in una camera e 200 nell’altra, con un bicameralismo paritario. In questo argomento, vedo qualcosa di peggio che il tentativo – per fedeltà di partito o per dovere d’ufficio – di difendere l’indifendibile. V

edo una capitolazione culturale, una dichiarazione di obbedienza, magari sofferta, ma considerata obbligata, allo spirito del tempo. Come negli anni del “fascismo del consenso”, una parte importante della classe dirigente non fascista si convinse che l’opposizione non era solo pericolosa, ma inutile, allo stesso modo, di fronte allo straordinario successo della canea antiparlamentare, la generalità dei partiti e dei politici (per non parlare del sistema dei media e della cultura auto-dichiaratamente democratica) ritengono oggi autolesionistico uscire dal coro dell’oltraggio gratuito, arrogante e violento contro il Parlamento.

Io invece voglio difendere il valore della democrazia rappresentativa come argine alla tribalizzazione della vita politica e denunciare il carattere trasformistico, parassitario e “neo-partitocratico” di una lotta al Palazzo usata dal M5s per giustificare l’occupazione scientifica di ogni ganglio del potere pubblico, in quella coincidenza tra partito e Stato che ha sempre precorso in Italia – dal fascismo in poi – il tempo del degrado e infine della rovina. L’unico vero argomento di chi ha proposto e poi imposto il taglio è quello dei risparmi, che saranno insignificanti, mentre la rottura degli equilibri costituzionali sarà pesantissima.

Fermare il populismo politico-costituzionale alla pari di quello economico-sociale è la vera sfida esistenziale della nostra democrazia. Per questo io penso che lottare per il No, anche se da posizioni di minoranza, non sia solo doveroso, ma utilmente patriottico. Se questa legge ha costruito un perimetro destinato a segnare gli equilibri della politica italiana – come dimostra la continuità tra i governi Conte i e Conte ii – la coalizione per il No può rappresentare il primo nucleo di un’alternativa democratica alla mera alternanza tra coalizioni diversamente populiste.

 

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