Il mammut e lo smilodonte (Smilodon fatalis), meglio conosciuto come tigre dai denti a sciabola, si sarebbero estinti per mano dell’uomo. Non per colpa del clima. Dal tardo Pleistocene a oggi, in un arco di tempo di 126mila anni la scomparsa del 96% dei mammiferi correrebbe in parallelo alle migrazioni, alla crescita demografica e all’impronta degli esseri umani. A sostenerlo uno studio che, pubblicato il 4 settembre sulla rivista Science Advances e basato su evidenze fossili zooarcheologiche e su cronache scientifiche, ha identificato oltre 350 specie di questi nostri “cugini” oggi assenti. Ottanta di loro sarebbero scomparsi già negli ultimi cinque secoli.
«Questa tesi si rincorre da tempo. Tra i primi testi ci sono quelli, pubblicati negli anni ‘60, del blitzkrieg model del geoscienzato americano Paul Martin. Le accuse e le discolpe alla nostra specie come causa dell’estinzione si verificano da allora», sottolinea il biologo e giornalista scientifico Marco Ferrari. «Specie come quelle del mammut e dello smilodonte hanno effetti profondi sugli ecosistemi e, forse, anche sulla loro stabilità. La crisi delle estinzioni, o crisi della biodiversità, potrebbe portare oggi a notevoli cambiamenti soprattutto perché è contemporanea alle modifiche agli ecosistemi stessi portati dal cambiamento climatico».
#Smilodon, or saber-toothed cat, lived in the Americas during the Pleistocene epoch, a period from 2.5 million to 10,000 years ago. pic.twitter.com/36EYewxTUS
— American Museum of Natural History (@AMNH) July 10, 2017
La biodiversità che riguarda il gruppo di vertebrati cui apparteniamo anche noi conta oggi più di 5mila specie esistenti. Ma potrebbe essere ben più numerosa. Oltre a suggerire che gli esseri umani sarebbero artefici di questa perdita, il report mette in luce che il tasso di estinzione, attualmente di 1700 volte superiore a quello “naturale”, potrebbe continuare ad aumentare. A questo ritmo, entro il 2100 rischierebbero di scomparire altre 500-600 specie. A confermarlo i trend attuali basati sullo stato di conservazione delle specie (proposto nella lista rossa dell’IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). Con ogni esemplare scomparso, il grande libro naturale della Terra perde, per sempre, pagine importanti della sua storia.
How can we tell if an ecosystem is in danger of disappearing?
The IUCN Red List of Ecosystems is a global standard for how we assess their status.https://t.co/mpEhdTLQAj @redlisteco @IUCN_ecosystem pic.twitter.com/RQlqDGCl1A
— IUCN (@IUCN) September 3, 2020
«Non si sa quali possano essere le conseguenze di tali perdite, anche perché molti di questi animali sono ecosystem engineer (cioè artefici del mantenimento di un particolare habitat) come è stato il mammut, o predatori di vertice (cioè senza competitor) come la tigre dai denti a sciabola», sottolinea Ferrari. Tuttavia, fa capire il biologo, se anche il dato sulle estinzioni fosse più basso di qualche punto percentuale il fenomeno sarebbe comunque molto grave.
«In linea di principio non troviamo alcuna prova di estinzioni dovute al clima negli ultimi 126mila anni – spiega Daniele Silvestro, co-autore dello studio e professore specializzato in biologia computazionale ed evolutiva – Il report contraddice il punto di vista di alcuni ricercatori per il quale il forte cambiamento climatico sarebbe la causa principale dell’estinzione della maggior parte dei mammiferi preistorici. Invece, queste nuove scoperte indicano che le specie di mammiferi erano resilienti anche ai cambiamenti climatici estremi».
Le estinzioni rilevate dai ricercatori non si sarebbero distribuite uniformemente nel tempo. Anzi, mostrerebbero picchi che coinciderebbero con la migrazione della specie umana dall’Africa verso gli altri continenti e le isole come l’Australia, le Hawaii, il Madagascar e la Nuova Zelanda. «In Africa, dove l’Homo sapiens, e prima di lui gli ominidi nostri antenati, c’è sempre stato, le estinzioni sono avvenute prima, cioè milioni di anni fa. Invece in America queste sono cominciate tra i 20 e i 12000 anni fa, proprio quando l’uomo è approdato sul continente», continua Silvestro.
Se è vero che la correlazione tra l’arrivo dell’uomo e l’estinzione di mammiferi è già stata oggetto di studio, la novità della ricerca è che l’analisi non si concentra solo in una regione o in una determinata specie, ma riguarda ogni angolo del pianeta e tutti i mammiferi estinti. Inclusi roditori e marsupiali australiani, oltre ai sopracitati mammut e tigri dai denti a sciabola.
Per realizzare questo studio i ricercatori hanno raccolto i dati disponibili, su tutti i mammiferi pubblicati, negli anni in libri, articoli, e database online. «Abbiamo poi sviluppato dei modelli matematici usando statistica Bayesiana per stimare i tassi di estinzione e gli effetti della popolazione umana e del clima sulle estinzioni. Questi modelli sono implementatati in un software che ho ideato recentemente con i miei collaboratori».
Il modello elaborato da questo recentissimo studio consente di combinare l’effetto della presenza antropica con il clima, testando con precisione la loro rispettiva influenza. L’influenza preponderante deriva dal primo di questi due “attori”: «i mammut, ad esempio, sono sopravvissuti a molte ere glaciali prima dell’ultima e non c’è motivo climatico per cui non dovrebbero essere presenti oggi in Siberia», sottolinea Silvestro.
«Quella attuale – sostiene Ferrari – è una crisi dovuta all’aumento di popolazione, alla distruzione diretta dell’ambiente e, questa è la parte più evitabile, ai capricci dei ricchi occidentali, in cui rientrano anche cinesi e giapponesi, che vogliono l’ultimo frammento di biodiversità sulla loro tavola, nelle polverine afrodisiache o appiccicato al muro».
«Spero che lavori come questo – confessa Silvestro – possano servire ad aumentare la consapevolezza della gravità della situazione. La biodiversità globale è minacciata come mai prima d’ora, per lo meno negli ultimi milioni di anni, e la sua salvaguardia è quasi interamente nelle nostre mani. Quando faccio vedere libri di animali a mio figlio di 5 anni, mi domando sempre fra me e me se quando sarà grande considererà i rinoceronti come noi pensiamo al dodo (l’uccello endemico dell’isola di Mauritius estinto nella seconda metà del 1600 in seguito all’arrivo sull’isola dei portoghesi e degli olandesi)».