Passata l’estate, a Bruxelles entrano nel vivo i negoziati fra le istituzioni europee per definire i dettagli del NextGenerationEu e, soprattutto, del Quadro finanziario programmatico, il Bilancio pluriennale dell’Unione europea per il periodo 2021-2027. Una voce fondamentale di questo bilancio sarà costituita dalle “risorse proprie”, un tema molto dibattuto nella capitale belga, per la profonda connessione che comporta fra gli interessi comunitari e quelli nazionali.
Cosa sono “le risorse proprie”
Le “risorse proprie” (“own resources”) sono sostanzialmente le tasse imposte a livello comunitario per finanziare i vari capitoli di spesa dell’UE. Il bilancio europeo attinge, infatti, in modi differenti alla ricchezza prodotta dagli Stati Membri: le “risorse proprie tradizionali”, soprattutto dazi doganali, incidono oggi solo per il 15,8% del bilancio. La fetta più grande delle risorse di cui l’UE dispone arriva invece da due contributi nazionali: uno basato sul reddito nazionale lordo (71%) e un altro basato sull’Iva (11,9%), mentre l’1,3% è costituito da entrate residuali come multe e sanzioni incassate.
Se da un lato questo sistema favorisce l’equilibrio (i Paesi a reddito più elevato pagheranno contributi nazionali più alti), dall’altro tiene ancorate le finanze dell’Unione alle tesorerie nazionali, prestando il fianco a possibili recriminazioni da parte degli Stati che pagano di più: i noti rebates, di cui molto si è parlato negli ultimi mesi, non sono altro che sconti concessi a determinati Paesi proprio sui contributi nazionali.
Per incrementare il budget dell’UE senza dare l’impressione di vessare ulteriormente i suoi membri, Commissione e Parlamento chiedono a gran voce di riformare il meccanismo delle “risorse proprie tradizionali”, aggiungendo nuovi settori in cui Bruxelles può reperire fondi senza passare dalle casse nazionali. Non è solo una questione di soldi: oltre all’obiettivo economico c’è quello politico, di “modellare” i comportamenti dei propri cittadini disincentivando con una tassazione maggiorata ad esempio l’utilizzo della plastica o dei combustibili fossili.
Le nuove tasse UE
Nello specifico, il Parlamento Europeo voterà nella sessione Plenaria di Settembre una proposta di Decisione avanzata dalla Commissione, che poi dovrà essere rimessa sia al Consiglio europeo che alla valutazione dei 27 parlamenti statali. Il testo della proposta, passibile di emendamenti fino al 9 settembre e al vaglio dell’emiciclo lunedì 14, presenta interessanti novità.
Appoggiandosi all’articolo 311 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Commissione spinge per introdurre un paniere di nuove “risorse proprie”: la plastic tax, l’ETS (Emission Trading System) e la CCCTB (Common Consolidated Corporate Tax Base). La prima, ormai molto nota, prevede ·un contributo nazionale calcolato sulla quantità dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati. Con un’aliquota di 0,80 euro a chilogrammo di plastica, porterebbe secondo le stime della Commissione 7 miliardi di euro all’anno nelle casse dell’Unione, il 4% del bilancio totale. E, secondo gli auspici, contribuirebbe a incentivare l’economia circolare e rinunciare alle confezioni.
Nella stessa direzione lavora l’imposta sull’ETS, lo strumento tramite il quale le aziende dell’Ue comprano o vendono dei “permessi” per produrre emissioni di gas serra: la Commissione vorrebbe conferire al bilancio comunitario il 20% dei proventi da concessioni vendute all’asta. Per incassare, certo, una cifra compresa tra 1,2 e 3 miliardi di Euro, ma anche per rimarcare la sua strategia di mitigazione del cambiamento climatico. Queste due ipotesi di tassazione comunitaria sono in fase molto avanzata, hanno ricevuto più volte la benedizione del Parlamento e saranno presumibilmente le prime a essere adottate, già nel 2021.
Non la tutela dell’ambiente ma quella del mercato unico è invece alla base del CCCTB. L’Ue si approprierebbe di una quota della “base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società”: una voce che oggi non esiste ma che nelle intenzioni della Commissione andrà introdotta per combattere la concorrenza fiscale fra i Paesi membri. Il bilancio dell’UE sarebbe così collegato direttamente ai vantaggi garantiti dal mercato unico alle società transnazionali. Applicando un’aliquota di prelievo del 3%, la tassa potrebbe garantire un introito medio annuo di circa 12 miliardi di Euro, il 6% del totale.
Queste nuove tasse insieme costituirebbero il 12% del Qfp per il periodo 2021-2027. I contributi nazionali (Iva e imposta sul reddito) scenderebbero soltanto in percentuale sul totale, restando invariati o aumentando in valore effettivo: l’introito nelle casse comunitarie è stimato sui 178 miliardi di euro annui, rispetto ai 145 del ciclo precedente.
L’unica via percorribile
L’aumento delle “risorse proprie tradizionali” è considerato dal Parlamento l’unica strada accettabile per far fronte alle prossime sfide economiche dell’Ue, compresa la crisi causata dal Covid19. Chiedere di più agli Stati Membri o tagliare su altre voci del budget per sostenere la ripresa sono possibilità escluse a priori, suggerisce l’advisor di un gruppo politico. Perciò, il testo presentato dalla Commissione sarà con ogni probabilità integrato da richieste ancora più esigenti degli europarlamentari. Oltre a plastic tax ed ETS nel 2021, l’emiciclo suggerirà una digital tax e un meccanismo di dazi che conteggi le emissioni sulle merci provenienti da Paesi extra-comunitari entro il 2023 (Carbon Border Adjustment Mechanism), ma anche una tassa sulle transazioni finanziarie per il 2024. L’ottica sarà sempre quella di unire il vantaggio economico di entrate più corpose alla tutela dell’ambiente e della giustizia sociale.
Se la decisione venisse alla fine adottata, costituirebbe un passo significativo nel tortuoso percorso dell’integrazione europea. Non solo per i suoi effetti immediati, ma anche per le implicazioni di più ampio respiro: la Commissione chiede infatti anche di destinare al bilancio dell’UE le entrate direttamente derivanti dall’attuazione delle politiche comunitarie (ad esempio le quote che pagano i viaggiatori di Paesi terzi per entrare nello spazio Schengen) e di ridurre progressivamente i rebates, fino a eliminarli entro il 2025. L’appoggio del Parlamento di Bruxelles appare scontato, quello delle altre capitali non lo è affatto.