Gli arresti di tre commercialisti che lavorano per la Lega ha riproposto il film di serie B sulle (presunte) malefatte della Lega. Eppure la cosa non scalda gli animi – a parte quello di Matteo Salvini -, non apre nessun dibattito sul nuovo capitolo del rapporto malato della politica con il denaro, non inquieta i militanti padani né allarma gli alleati e a dire il vero non ha suscitato particolare indignazione in un Nicola Zingaretti che pure nei comizi suona l’allarme per la nostra democrazia.
Meno che mai i talk show rientrati dalle ferie vi dedicano le loro pensose analisi e nemmeno i finti réportage da un minuto e trenta; dei telegiornali meglio non parlare e gli stessi quotidiani (con la vistosa eccezione di Repubblica) mostrano un aplomb che assomiglia più a uno sbadiglio che ai dettami del giornalismo british.
Eppure, come dicevano i caporedattori di una volta, la notizia è grossa. E nemmeno nuova, altro che “giustizia a orologeria”: ne scrisse per filo e per segno L’Espresso nell’aprile dell’anno scorso.
Tutto è partito dall’acquisto e dalla rivendita gonfiata a un ente pubblico di un capannone di Cormano, vicino Milano, da 400 a 800mila euro, in vari modi rimasti in tasca ai tre: ma gli sviluppi sembrano portare molto più in là. A un vero e proprio sistema-Lega di cui Salvini sarebbe perfettamente a conoscenza.
Ma allora perché sembra che non gliene freghi niente a nessuno? Perché alla Lega viene riservato un trattamento ben diverso da quello usato per Gianfranco Fini per la casa di Montecarlo (lasciamo stare Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito socialista democratico Italiano, Partito liberale, e lasciamo stare anche la triste vicenda di Filippo Penati), per tacere degli anni di splendori e miserie del berlusconismo passati al setaccio ogni oltre ragionevole dubbio? Perché Roma è finita sui giornali di tutto il mondo per due ladroni a capo di una banda di coatti – la Capitale mafiosa! – e su Cormano si tende a tirar via come fosse l’eterno ritorno dell’irresistibile e dunque giustificabile odore dei soldi?
Forse è perché nell’immaginario di noi tutti il malaffare della Lega è roba da ladri di polli, laddove gli scandali della Prima repubblica si intrecciavano con l’alterazione della democrazia, erano roba scientifica: mentre i leghisti sono “sc-scientifici” alla maniera del Gassman de “I soliti ignoti”, moderni bottegai che fregano sul peso della merce, gente alla buona che si rivende il «magazzeno», avrebbe detto Bossi, di uno sperduto Comune nel milanese e che con la plusvalenza vuole farci qualche altro soldino con i soliti giochetti grazie alle banche all’estero.
Altro che petrolieri, altro che Italcasse, altro che “Mani sulla città”, altro che Ferrovie, altro che Lockheed (si dimise in Presidente della Repubblica Giovanni Leone che non c’entrava niente): la Lega, sempre nel nostro immaginario sbagliato, somiglia magari al “mariuolo” Mario Chiesa, al fantozziano gettare i soldi nel cesso o nasconderli in un puf, roba da Strapaese, da ladri di biciclette ma nell’era dei missili, cosa vuoi che siano 800mila euro.
E ci figuriamo questi personaggi – i leggendari commercialisti leghisti – come degli sfigati “mediatori” di Balzac, dei pasticcioni usciti da qualche sceneggiatura di Rodolfo Sonego per Alberto Sordi, degli arlecchineschi servitori di padroni sfaccendati. Alla fin fine – no? – questi leghisti sono pur sempre italiani brava gente, un po’ rustici ma insomma.
E ci stiamo tutti abituando agli sbruffoneggiamenti di un Salvini che sa solo dire che sono tutte calunnie, che la butta in politica nemmeno fosse il Dreyfus del Ventunesimo secolo invece di dare spiegazioni sul perché fosse presente a certe riunioni dei mitici commercialisti.
Il leader del primo partito d’Italia tira dritto, titolava qualche giorno fa un giornale amico, di quelli che le sparano grosse su neri, omosessuali, comunisti (verrà il turno degli ebrei), tira dritto perché non ha ancora capito che i pieni poteri non gliel’hanno dati e probabilmente non glieli daranno mai. E se venisse fuori dalla indagini che il sistema-Lega è nient’altro che l’applicazione pratica di un sistema-Salvini ideato dall’ex ministro dell’Interno, ecco che la politica italiana dovrebbe rifare i conti.
E comunque sbagliamo, noi tutti che derubrichiamo il sistema-Lega a farsesca imitazione di un film con De Niro, questi non sono Goodfellas ma nemmeno rubagalline: dai diamanti di Belsito all’oro di Mosca by Savoini, dai 49 milioni sottratti allo Stato e rimborsabili in 80 anni fino al capannone di Cormano ce n’è abbastanza per concludere, signore e signori, che i nostri occhi devono essere più aperti e il nostro olfatto meglio allenato a sentire il tanfo dello sterco del diavolo specie quando è impasticciato con la politica, o presunta tale.