Vocazione nazionalistaMatteo Salvini sta allontanando i leghisti dalla Lega

La vecchia guardia del Carroccio non può fare a meno di esprimere il malcontento per la direzione imposta dal Capitano sull’espansione al Sud e sull’abbandono della questione settentrionale. La frangia nordista del partito è sempre più distante dal nuovo progetto nazionalista di via Bellerio

Tiziana FABI / AFP

«Ho visto i manifesti dei candidati della Lega a Napoli e leggevo lo slogan “prima i napoletani”, affiancato all’effige di Alberto da Giussano o il Leone della Liga Veneta, quello che mangia il “terún” per capirci. Questo è un cortocircuito per il partito». Non sono parole di un meridionalista convinto, nemmeno di un esponente dell’alleanza di governo nata in funzione anti-leghista. Lo dice a Linkiesta Gianni Fava, ex deputato della Lega Nord – fino al 2018 – e critico della nuova Lega disegnata da Matteo Salvini.

Nel 2017 Fava aveva sfidato il Capitano nella corsa a segretario del partito, vantando il sostegno di Umberto Bossi, di Roberto Maroni e dell’ala indipendentista: perse con il 17 per cento delle preferenze, sintomo che tre anni fa la direzione imboccata dalla Lega era già diversa da quella immaginata dal “Senatur”.

«È la normale evoluzione del partito», dice a Linkiesta il senatore Gian Marco Centinaio, a Palazzo Madama per un secondo mandato, eletto nel collegio uninominale di Pavia.

Centinaio è considerato uno dei dirigenti della Lega Nord più vicini al Capitano, e secondo lui il problema è tutto sulla prospettiva data dai nostalgici del vecchio partito: «Se qualcuno dice abbandoniamo il progetto e torniamo alle camicie verdi forse non ha capito che la storia sta andando avanti. La questione settentrionale resta, perché quelle sono le regioni che determinano il Pil nazionale. Ma il Nord deve fare da traino per un paese che crescerà portando il modello lombardo o veneto in altre regioni».

L’idea del partito, dunque, rimane quella di valorizzare le identità: «Chi dice che da Bolzano a Lampedusa siamo tutti uguali mente sapendo di mentire. Ma queste differenze possono esistere. Prima parlavamo di secessione, di staccarci da Roma. Adesso siamo un partito più maturo che vuole parlare di autonomie, localismo, differenze fra territori, mantenendo l’identità nazionale».

La nuova Lega non è più ascrivibile a un universo autonomista, secessionista. Le linee guida sono quelle del nazionalismo, del sovranismo, della lotta all’Unione europea. «Ci sono due Leghe – dice Fava – una Lega Nord ibernata, ferma sulle sue posizioni; l’altra è un partito nuovo, che scimmiotta la Lega ma è un partito di estrema destra, ha cambiato destinatari e rappresentanti ed è Lega Salvini premier, caratterizzata da una stortura che si nota in una classe dirigente che qualche anno fa bruciava la bandiera dell’Italia e adesso indossa la mascherina tricolore».

Per la vecchia guardia leghista è inaccettabile. Giancarlo Pagliarini, parlamentare della Lega Nord dal 1992 al 2006, confessa che «se ci fossero le elezioni politiche non metterei la croce sul simbolo Lega Salvini premier nemmeno morto, ma nemmeno se candidassero me. Non credo a quello che vedo. È come se vedessi il Papa andare in giro in pantaloncini corti, mentre bestemmia e sputa a terra. Penserei di avere le traveggole».

Per spiegare la mutazione genetica del partito fondato da Bossi, Pagliarini usa come esempio la nuova posizione rispetto all’Unione europea: «Il nazionalismo per la Lega è un controsenso. Noi volevamo un’Europa disegnata sulle diversità come la Svizzera. Ma si può fare solo eliminando gli stati nazione. Altrimenti questi impediranno la costruzione di un’Europa forte».

Della Lega in cui ha vissuto la sua carriera politica Pagliarini sembra essere rimasto ben poco. Complice anche un lavoro di oscuramento da parte della classe dirigente salviniana. «Secondo me la Lega Nord potrebbe avere ancora un 6-8 per centro su base nazionale, che è un valore medio nella sua storia», dice Fava. «Ma Salvini ha interesse a tenerla soffocata, tant’è vero che al prossimo giro elettorale ci viene impedito di presentare il simbolo Lega Nord. Adesso la minoranza nordista avanza la richiesta di poter utilizzare il simbolo della Lega Nord a cui è iscritta. E uno degli obiettivi di ogni partito è partecipare alle tornate elettorali. La Lega Salvini premier è un’altra cosa, è libera di correre con altri candidati».

È anche un discorso di simbolismo: imperdonabile, per molti militanti, è l’abbandono della parola “Nord”. Una recente inchiesta di Repubblica aveva rivelato che oltre il 30 per cento dei militanti della Lega Nord non avrebbe fatto la tessera della nuova Lega Salvini premier: un partito in cui non si riconoscono, colpiti dall’abbandono – secondo loro – della questione settentrionale.

Luisa Serato, presidente provinciale a Padova dal 2004 al 2014, la mette così: «La vecchia Lega era contro una certa classe dirigente, da Roma in giù, che la faceva da padrone a livello nazionale. Ho sempre pensato che il Nord avesse necessità di trovare propri rappresentanti, e non sono l’unica. La questione settentrionale è ancora viva, ma questo partito senza un territorio di riferimento fatica a riconoscersi. Per questo qualcuno prima o poi chiederà un congresso per cercare di chiarire come far convivere anime così diverse».

La nuova vocazione nazionalista della Lega di Salvini sta facendo germogliare una nuova classe politica meridionale, «perché la Lega è per definizione il partito delle identità territoriali», come dice a Linkiesta Severino Nappi, candidato leghista al consiglio regionale in Campania.

«Il partito da sempre premia una classe dirigente che si muove sul territorio. Nelle istituzioni nazionali la vecchia Lega rappresentava solo il Nord, ma lo rappresentava. Mentre purtroppo la classe politica del Sud non era proprio al tavolo, almeno nella Seconda Repubblica. Qui si vuole costruire una rappresentanza del territorio e delle persone. E in Italia l’unico partito che prova a farlo è la Lega».

È così che il partito di via Bellerio ha provato a costruirsi una credibilità nel Mezzogiorno. Alle ultime europee, poco più di un anno fa, è stato il secondo partito in Campania, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, con percentuali che vanno dal 19 al 25 per cento. Numeri impensabili fino a qualche anno fa. E anche se la crescita in quelle aree potrebbe essersi già arrestata – complice anche la crescita di Fratelli d’Italia – la Lega non ha intenzione di andar via da lì.

Per politici e militanti del Nord potrebbe significare farsi “superare”, nelle gerarchie del partito, da persone che hanno la tessera da pochi anni, e che non hanno fatto tutto l’iter di formazione nelle più piccole sezioni territoriali. Un rappresentante della Lega Nord di un piccolo comune lombardo, che preferisce rimanere anonimo, dice a Linkiesta che «prima per fare carriera nel partito dovevi sudare sette camicie. Si prendeva la tessera, si faceva militanza, si iniziava dalle sezioni più piccole. Il partito ti temprava. È giusto che un partito con vocazione nazionale porti rappresentanti di quei territori: non ha senso candidare un brianzolo in Sicilia o in Calabria. Ma la mancanza di rispetto è portare dentro al partito gente non c’entra niente con la Lega, e vale al Nord come al Sud. Così si diluiscono idee e obiettivi, e non c’è selezione di classe dirigente».

Non può essere un caso che una recente rilevazione di Demos abbia messo in evidenza come Salvini oggi riscuota più popolarità in Centro Italia (48 per cento) che nel Nord Est (35 per cento) o nel Nord Ovest (39 per cento). Numeri che riscuote più o meno anche al Sud, in Sicilia e in Sardegna (il 33). L’esatto opposto di Luca Zaia, che si avvia a trionfare alle prossime elezioni regionali con cifre vicine al 70 per cento.

Il senatore Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio a Palazzo Madama, non nega una trasformazione del partito, ma lo vede come un passaggio fondamentale per costruire la prossima Lega di governo.

«Qualcuno è affezionato alla Lega del 3 per cento, ma non ha senso. Adesso la Lega è la leadership del centrodestra. Non so perché ci sia nostalgia di quei tempi. Salvini l’ha resa il primo partito d’Italia. Ora per rimanere in alto la Lega deve essere più inclusiva, meno selettiva di prima. Questa Lega vuole essere un grande partito del centrodestra, riferimento per diverse anime del paese come lo è il partito Repubblicano americano che accoglie persone diverse, più o meno moderate. Un partito federato, che per essere tale deve essere più inclusivo. E questo comprende anche gente il Sud», dice a Linkiesta Romeo.

Il rischio semmai è che quella parola che da giorni circola in tutta Italia, “scissione”, diventi un’opzione concreta. Per un partito che ha sempre vantato un’identità fortissima, chiaramente riconoscibile nelle idee del suo fondatore e una gerarchia da partito leninista, è un elemento di rottura difficile da maneggiare. Se Salvini dovesse perdere altro consenso – da quando è tornato all’opposizione ha perso undici punti percentuali – non è esclusa la ricerca di un segretario che guidi la separazione della Lega Nord. Cercando qualcuno che possa raccogliere l’eredità soffocata di Umberto Bossi.

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