L’oro del nuovo mondo sostenibileLa corsa al litio è già iniziata, ma in Italia ancora non esiste una filiera

È usato negli smartphone, nei dispositivi biomedici, in alcuni impianti di climatizzazione, per le batterie delle auto elettriche e per l’immagazzinamento di energia. Le risorse sono ancora superiori al nostro fabbisogno, ma entro il 2030 la domanda crescerà di 10 volte

AIZAR RALDES / AFP

«Lo sviluppo che hanno avuto le batterie al litio negli ultimi decenni è incredibile. E sarà un materiale sempre più importante nei prossimi dieci o vent’anni», dice a Linkiesta il professor Stanley Whittingham, premio Nobel per la chimica nel 2019 che nel 1977 ha brevettato la prima batteria ricaricabile agli ioni di litio.

Una tecnologia che, con nuovi sviluppi e perfezionamenti, sta diventando sempre più importante nelle nostre vite. «Si pensi all’uso delle batterie nei pacemaker e nei dispositivi biomedici, o negli impianti di climatizzazione, o negli smartphone, fino ai settori in cui è più in crescita, quello automobilistico e quello dell’immagazzinamento dell’energia collegato alle rinnovabili. Il litio ha molte applicazioni, ed è diventato fondamentale», sostiene Whittingham.

Il litio infatti è l’elemento chiave per favorire lo sviluppo di un’economia sostenibile, per ridurre l’impatto ambientale dei processi industriali e avere un ruolo di rilievo nei mercato in maggior espansione. Una sorta di “nuovo oro”, come vengono indicate le risorse che si fanno strada nella scala di priorità dell’industria globale.

L’agenzia Bloomberg prevede che la domanda di litio crescerà di almeno 10 volte rispetto al valore attuale entro il 2030. Merito soprattutto dell’espansione della mobilità elettrica e della produzione di energia da fonti rigenerative, che richiederanno una maggior quantità di sistemi di accumulo a batteria.

Guardando all’Italia però si scopre un settore ancora in fase embrionale: il primo segnale è nella produzione, che manca totalmente a causa dei lenti processi di lavorazione e dei costi.

Il litio è sempre legato ad altri elementi e per renderlo utilizzabile è necessaria una lunga lavorazione: è un elemento che si trova ad esempio nell’acqua salata, poi portata in superficie e fatta evaporare in grandi vasche per lunghi periodi, anche due anni in alcuni casi; la soluzione salina che ne deriva viene processata ulteriormente finché il litio non è pronto all’utilizzo.

Come spiega a Linkiesta Marco La Monica, economista che lavora nel laboratorio Valorizzazione delle risorse nei sistemi produttivi e territoriali dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile): «L’Italia non ne produce perché il procedimento non è conveniente al momento, specie in assenza di grandi depositi come quelli dei paesi produttori, si pensi ai grandi Salar del Sudamerica. Per il momento lo scenario più verosimile per l’Italia è la creazione di un mercato secondario del litio: si potrebbe creare una filiera per il recupero a fine vita del litio all’interno delle batterie. Anche per questo servirebbero investimenti, ma è un’opzione verosimile».

In questa direzione va il lavoro del ministero dello Sviluppo economico, che ha gettato le basi per una Italian Battery Alliance, coordinata proprio dall’Enea: «È un’alleanza tra ricerca e industria – dice La Monica – per mettere a sistema tutti gli elementi che possono favorire lo sviluppo di batterie avanzate e di nuova generazione. Una piattaforma promossa dal Mise per la transizione energetica, la decarbonizzazione del trasporto, lo sfruttamento efficiente delle fonti rinnovabili e rafforzare la competitività industriale».

Linkiesta ha provato a contattare il Mise, che al momento non concede interviste – ma si è limitato a rimandare agli ultimi documenti prodotti sul tema.

«Questa iniziativa ha una valenza strategica – ha detto il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli in un comunicato di luglio – per rafforzare la nascente value chain (catena del valore, ndr) italiana, creare le condizioni per lo sviluppo di una industria competitiva delle batterie e accogliere le sollecitazioni degli stakeholder, imprese, centri di ricerca in un settore di primo piano».

E nel decreto Agosto il ministro Patuanelli era riuscito a inserire l’ecobonus automotive, (400 milioni per l’acquisto di veicoli a basse emissioni di CO2) e 950 milioni per il Fondo Ipcei a sostegno delle imprese che partecipano alla realizzazione di progetti di interesse europeo nel campo delle nuove tecnologie (batterie, microprocessori, idrogeno).

«Incentivi di cui l’imprenditoria italiana ha grande bisogno», dice a Linkiesta Marco Righi, presidente dei Giovani Industriali e Ceo di Flash Battery, azienda che si occupa di assemblare batterie al litio, ma non ne produce.

«Qui ci sono realtà interessanti, ancora molto piccole, che hanno imboccato la giusta strada verso l’elettrificazione. Quindi la consapevolezza c’è. Manca invece nell’automotive, dove siamo molto indietro. Come Paese Italia siamo indietro come produzione delle celle al litio per le batterie, qui non ci sono player che pesano a livello continentale. C’è qualcosa, ma è nulla rispetto ai giganti del Sud Est asiatico, alle gigafactory di Tesla, o anche solo alla Northvolt svedese», dice Righi.

C’è anche chi, per attivare l’intera filiera di produzione del valore vorrebbe risalire alla fonte, e dare il via alla produzione del litio. È il caso di Gianfranco Pizzuto, imprenditore appassionato di mobilità elettrica: «In Italia non si produce, ma c’è. Si trova nell’acqua del Mediterraneo, quindi nelle saline seppur con una concentrazione relativamente blanda. Direi che abbiamo risorse più che sufficienti per le nostre esigenze».

Il problema è sempre quello dei costi, che frenano i potenziali investitori. «Prendiamo un’azienda potenzialmente interessata, come Fca. Al momento fa poco in ambito elettrico, ma quando inizieranno a entrare con convinzione nel mercato delle auto elettriche ci sarà un fabbisogno maggiore di litio, allora per qualcuno potrebbe diventare conveniente estrarre il litio in Italia», dice Pizzuto.

A livello europeo invece si viaggia su altri ritmi di crescita, almeno nei progetti. A inizio settembre la Commissione europea ha pubblicato un report che indica le materie prime di rilevanza dell’economia continentale in cui il litio è stato inserito come elemento primo critico.

Lo spiega ancora Marco La Monica, dell’Enea: «L’Unione pubblica questo report triennale da nove anni. Nel 2011, 2014, 2017 il litio non era mai stato primo critico, cioè importante economicamente o con potenziali rischi di approvvigionamento. Adesso invece viene considerato di rilevanza strategica per l’economia europea. Merito soprattutto delle batterie delle auto e dello storage (coservazione) dell’energia, che sono sempre più importanti».

Per stare in scia dei grandi competitor mondiali, gli Stati membri vogliono creare un’alleanza europea per dar vita a una filiera per le batterie a ioni di litio, con un’attenzione all’approvvigionamento delle materie prime: la European Battery Alliance.

Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione europea, ha detto che «per le batterie delle automobili elettriche e lo stoccaggio dell’energia, il fabbisogno di litio in Europa aumenterà fino a 18 volte entro il 2030 e fino a 60 volte entro il 2050». È per questo che in tutta l’Unione si lavora per aumentare la competitività rispetto ai grandi attori globali del mercato: «Abbiamo grandi ambizioni in termini di occupazione e crescita in un’economia verde e circolare. Ma per fare questo è necessario incastrare vari elementi. Il primo è l’estrazione del litio: l’Europa punta a diventare autosufficiente all’80% entro il 2025», ha detto Šefčovič.

L’Unione punta infatti a ridurre drasticamente l’importazione di queste materie prime fondamentali ed estrarle all’interno del suo territorio. Ma come abbiamo riportato su Europea in un articolo di inizio settembre, «la produzione di materie prime europee è stata fortemente danneggiata dalla crisi del 2008 e non è mai riuscita davvero a riprendersi. Così oggi l’Ue è rimasta indietro anche nel settore del cobalto, del litio e delle terre rare, indispensabili per la realizzazione delle auto elettriche».

Per l’Italia e l’Europa fare sistema tra le varie forze in campo e puntare sul litio e – di conseguenza – sulla sostenibilità non è solo una scelta strategica, assomiglia molto a un percorso obbligato: si tratta di un elemento e un settore troppo importanti per il futuro e per l’economia mondiale.

Ma il professor Whittingham esclude l’eventualità di conflitti generati da una corsa al litio: «Dipende sempre dai governi dei grandi paesi – dice con un po’ di ironia – ma per il momento non sembra esserci questa possibilità. Se ne riparlerà se e quando inizieremo a consumare le riserve, se ne abuseremo, così come abbiamo fatto per le altre risorse. Al momento non ci sono abbastanza processi industriali che coinvolgono il litio, per farne una risorsa davvero scarsa e per la quale vale la pena creare ostilità».

Il professore tocca due punti fondamentali: c’è troppo litio, sulla Terra, rispetto al nostro fabbisogno attuale per poter parlare di conflitti fra Stati; il mercato è ancora molto piccolo, per quanto in crescita.

Le riserve globali di litio nel 2019 erano stimate intorno alle 17 milioni di tonnellate: circa 220 volte il volume produttivo di quell’anno. Queste riserve si trovano soprattutto in Australia, Argentina, Cile (primo assoluto, con oltre 8 milioni di tonnellate) e Cina. In Europa invece ne sono state individuate piccole quantità in Portogallo.

Il mercato del litio è ancora in una fase embrionale, come spiega Marco La Monica, dell’Enea: «Il mercato del litio è ancora molto piccolo, povero, poco strutturato e di conseguenza immaturo. Non è quotato in Borsa, per fare un esempio. Il prezzo è stabilito, a livello di domanda e offerta, da pochi produttori e solo in funzione dei loro clienti. Anche i dati che ci sono in giro non sono molti».

La corsa al nuovo oro è già iniziata, ma non tutti si sono messi in marcia. L’Unione europea e l’Italia partono da posizioni di relativo svantaggio, e l’unico modo per accorciare le distanze è fare sistema e cercare soluzioni condivise con tutti i potenziali attori coinvolti.

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