Da grande, Bernard-Henri Lévy vuole fare il supereroe. Alle spalle però ha già una carriera di grandi appelli e istanze intellettuali. L’ultima sul rapporto tra covid-19 e libertà individuale. Perché i temi caldi sono il suo piatto preferito. Opinionista per eccellenza, non ha mai ricoperto cariche politiche. Eppure, è tra gli uomini più influenti d’Europa. Per questo nel 2019 ha sentito di poter indossare il mantello e dichiarare «guerra ai populisti». In occasione delle elezioni europee ha intrapreso un ambizioso tour teatrale. Obiettivo: «salvare l’Europa».
Bernard-Henri Lévy parla per sé e per tutti. Sostiene di difendere «un’idea più alta». A raccontarcelo è “Princesse Europe”, documentario con cui Camille Lotteau segue la strenua lotta «dell’ultimo degli europei». Per ogni città assistiamo a frammenti di un monologo appassionato, adattato a seconda della lingua e della cultura ospitante. Si manifesta subito la debolezza di questa grande missione di salvataggio. Lo spettacolo condotto per l’Europa ne riflette l’instabilità. Perché ammette l’impossibilità di un discorso unico. A non variare mai è invece la scenografia. L’Europa è uno sfondo comune. Sul palco solo una vasca, un tavolo, un letto. E Henry Lévy, ovviamente. Predicatore di un’Europa in crisi.
Nello spettacolo trova spazio l’assurdo: «Avremo Camus al ministero della rivolta, Joyce all’oftalmologia, Pessoa al nulla». Sogni politici dissidenti. Ma Lotteau ce ne mostra delle porzioni. Più importanti sono le città attraversate e i loro abitanti. «Quando inquadro un paesaggio faccio un documentario, quando mostro le persone è fiction». Al centro però rimangono i volti, perché «Il problema non sono i leader – afferma – ma i popoli».
Ad aprire il viaggio è Lampedusa, sui passi della Principessa Europa. La voce di Lotteau immagina un mito alternativo. Europa, trasportata da Zeus in forma di toro, non arriva a Creta. Sbarca in Italia e si accorge che «Lampedusa è un cimitero».
C’è molta Italia nel film di Lotteau. Nei discorsi di Orban, nei videomessaggi di Salvini, nelle manifestazioni. Henry Lévy l’attraversa dopo Sarajevo, dove ha scritto lo spettacolo in onore di «quell’Europa in miniatura che abbiamo lasciato morire». Ma l’Europa è «una regione dello spirito», per cui il film procede per strappi. Milano, Bruxelles, Vienna. Lotteau esprime dubbi. Henry Lévy no, mai.
Instancabile, vola da un lato all’altro del mondo europeo. È ad Atene per le manifestazioni che infiammano il primo aprile, a Roma il 25. Ma sempre in tempo per lo spettacolo nella città dopo. Al primo e unico «non so rispondere» “Princesse Europe” si deve fermare. Riavvolge, riparte. Molti sono i giochi di montaggio e sempre più difficile è trovare un ordine. L’Europa è il messaggio, e spesso non si capisce.
L’aspetto straordinario di “Princesse Europe” è la facilità con cui Henry Lévy accede ai luoghi di potere. Per ogni paese incontra il relativo primo ministro, come capo di stato di un’Europa a venire. Da questi meeting siamo spesso tagliati fuori. Le porte si chiudono e Lotteau lascia viaggiare la fantasia. Si torna alle città, al montaggio di ciò che aveva escluso nella rincorsa del suo protagonista.
Capita però che l’uscio si apra e lasci filtrare una dichiarazione. Sentiamo Viktor Orban parlare di Emmanuel Macron. Cogliamo invidia, ammirazione. Lo definisce un «suicida politico»; perché si è paracadutato nella maggioranza di partito costruendo un consenso impensabile. «Io non ci sarei mai riuscito», ammette. Concluso il colloquio Henry Lévy riferirà di una conversazione allucinante. «Orban sta aspettando che l’Italia guidi un’Europa nazionalista».
Bernard-Henri Lévy si erige a difensore dell’Europa. Non è un profeta laico. La religione che diffonde ha riti, leggi, nemici. Populismo su tutti. Le parole cambiano però a seconda dell’interlocutore. Macron dirà che «Populismo non è un bel termine», perché il popolo è altro. Orban invece lo rivendica. «Perché sono tutti con me».
Nel frattempo, il documentario ricrea l’Europa in una lista di monumenti, celebrazioni, comizi. A Vienna «Freud è chiuso per lavori». Privata del suo psicanalista, Europa «trova il transfert in un tassista». Si lamenta. Cambia la lingua ma non il sottotitolo: «qui va tutto male».
La disfatta non è apparente. «L’Europa è in una crisi reale», ci racconta Henry Lévy, arrivato a Venezia per la prima del film, ospitata dalla Mostra del Cinema di Venezia. «Il pericolo – avverte – è che l’intero progetto europeo collassi». Parole che rincarano il valore del suo progetto. Perché non c’è Messia senza apocalisse all’orizzonte.
“Princesse Europe” lo mostra assieme disfattista e fiducioso. In questo, condivide la retorica più populista. Le cose vanno male, ma lui ha la soluzione. Va anche in Ucraina, e incontra Zelensky. Ex comico e attuale primo ministro. Il documentario torna in Italia. Il paragone è con Grillo. «Urla di più ma è meno spettacolare». Zelensky, sappiamo, vincerà le elezioni. Davanti alla cinepresa di Lotteau si descrive come il comico che affronta Putin, e di questo dice che «non ha gli occhi, non ne vedi l’anima».
Grandi assenti di “Princesse Europe” sono invece più giovani. L’anno è lo stesso in cui un’agguerrita Greta Thunberg ha urlato al Parlamento: «ci avete delusi». Ma Henri Lévy ci risponde che «le nuove generazioni potrebbero sbagliarsi». Perché lottare contro l’Europa è «lottare contro se stessi».
Tra le incertezze di Lotteau e l’autocompiacimento intellettuale di Henry Lévy, “Princesse Europe” racconta «la maggioranza silente». Quella che in tutti i paesi d’Europa hanno applaudito il suo spettacolo. «Abbiamo sempre riempito il teatro», ci racconta con orgoglio.
Eppure, durante il documentario sono in molti a uscire dalla sala. Gli altri, se ne vanno al dibattito che segue. Forse “Princesse Europe” è troppo denso, confuso. Ma è nelle sue divagazioni che si manifesta un mondo. Quello che Lotteau non vuole riassumere, e a cui dedica numerosi finali. A mancare è così la Principessa Europa, l’immagine che parla a tutti; senza sottotitoli o adattamenti.