Chissà i nostri nonni, quando arrivarono le automobili, per quanto tempo riempirono i bagagliai per andare in villeggiatura in un decimo del tempo, ma sempre borbottando: certo, vuoi mettere la qualità della vita quando s’andava in carrozze a cavalli.
All’inizio di questo secolo avevo un telefono d’una marca che non esiste più: con una lentezza che allora non mi sembrava inaccettabile, mi faceva connettere a internet. Era prima che il traffico dati fosse compreso in qualunque abbonamento, e pagavo uno sproposito per andare a guardare cose come adesso facciamo disinvoltamente, nonché gratis.
Un giorno, a un pranzo di redazione, il vicedirettore – un cattolico con un numero impresentabile di figli – stava cercando di convincermi che l’ultimogenito, se non fosse mai nato, gli sarebbe mancato. Cercai brevemente di spiegargli che non l’avrebbe mai conosciuto, quindi non gli sarebbe potuto mancare; mi stufai subito.
Più tardi qualche zelante redattore mi spiegò che il nostalgico dei figli non avuti ci era rimasto male: invece di ascoltare le sue repliche ai miei argomenti, smanettavo sul telefono. Non sapeva, il tapino, che non ero solo maleducata: ero anche l’avanguardia del tempo che sarebbe venuto.
La mia pagina Instagram preferita si chiama Overheard LA, origliato a Los Angeles, e fa quel che promette il nome: riferisce conversazioni di californiani (oppure le inventa, nel qual caso il tenutario è il più grande sceneggiatore vivente). Martedì hanno trascritto la seguente battuta, di qualcuno a cena in un ristorante di Studio City: «Dieci anni fa esistevo nel mondo e occasionalmente guardavo il telefono. Adesso esisto nel telefono e occasionalmente guardo il mondo».
Temo non fosse detto per segnalare un progresso. La preoccupazione dell’essere dipendenti dal cellulare è una preoccupazione che evidentemente ci piace fingere di avere, nelle pause tra una ricerca di presa per ricaricare e l’altra: molte migliaia di chilometri più in qua, a Milano, la Coca Cola ha delle affissioni che dicono «Ascolterò di più con le orecchie, e non con gli auricolari».
Non è, temo, la risposta alle bestemmie di tutti noi che ci perdiamo brandelli di frasi perché il nostro interlocutore s’ostina a usare quegli aggeggi moderni di gomma, invece di appoggiare il diavolo di telefono al diavolo d’orecchio.
È, temo, la risposta ai borbottii dei commensali che si offendono se, mentre raccontano lo stesso noiosissimo aneddoto per la quindicesima volta, scorriamo svagatamente i tweet, i messaggi, gli status. Di quelli che vogliono attenzione totale e non capiscono che è solo perché sul telefono abbiamo un universo d’intrattenimento, che possiamo persino permetterci il lusso d’annoiarci a cena con loro. Di quelli che borbottano: certo, vuoi mettere la qualità della vita quando andavi dal ristoratore e dicevi «posso fare una telefonata? È urbana».
Arianna Huffington – professione: miliardaria – qualche tempo fa ha scritto un libro per dirci che il cellulare va lasciato fuori dalla camera da letto. Lo lessi come un romanzo di fantascienza. E se voglio sapere che ora è dove lo guardo? Devo comprare un orologio come nel 1985? E se mi sveglio di notte come m’intrattengo? Devo leggere un libro come nel 1965? E al mattino appena sveglia chi mi dirà se è successo qualcosa durante la notte? Il televideo, la radio, quale altro mezzo del Novecento?
A tutte queste domande, sono abbastanza sicura che la signora Huffington risponderebbe che la soluzione è smetterla d’avere fretta: le notizie della notte possono benissimo aspettare ch’io mi alzi e recuperi il telefono. Ella non ha letto Carrie Fisher e non sa che «La soddisfazione istantanea ci mette troppo».
Sui giornali si porta molto l’articolo «in queste vacanze mi sono disintossicata dal telefono, ho imparato a non controllare i messaggi in arrivo ogni due minuti, ora sono una donna nuova». Li scrivono ogni anno, e ogni anno io penso a queste derelitte che evidentemente ricevono solo messaggi dal commercialista e dalla suocera. Se non controllano la posta, dove riceveranno l’ultimo pettegolezzo, l’ultimo commento acido su quella comune amica che non sa proprio vestirsi, l’ultimo link di articolo figo da leggere? Certo, vuoi mettere la qualità della vita quando tornavi a casa e i messaggi importanti li trovavi, sbiaditi, sulla carta termica del fax.