Quello delle consegne a domicilio è uno dei settori entrati in poco tempo con maggior forza nelle nostre abitudini quotidiane. Lo abbiamo percepito in modo evidente durante il lockdown, quando i rider erano fra i pochi a percorrere le strade deserte delle nostre città per consegnare cibo o, nel caso di Glovo, farmaci, la spesa, o semplicemente il regalo di un amico (e, da qualche mese, anche Linkiesta Paper).
La crescita del settore ha portato con sé una serie di interrogativi rivolti non solo alle piattaforme, ma anche alle Istituzioni e ai “corpi intermedi”. Interrogativi che riguardano l’inquadramento di questi “nuovi” lavoratori e che mirano a salvaguardare la loro autonomia, resa possibile dalla tecnologia, senza rinunciare a dotarli di tutele fondamentali per chiunque lavori, a prescindere dal fatto che lo faccia per mezz’ora, per un mese o per anni. Nella consapevolezza che nessuna crescita, nemmeno la più solida e vivace, può fare a meno di un orizzonte di regole che assicurino certezza alle imprese e protezioni adeguate per i lavoratori.
Nel caso dell’Italia la legge 128/2019, approvata lo scorso novembre, ha fatto sì che questa sfida fosse giocata fino in fondo, ponendo le basi normative per arrivare entro un anno a un possibile contratto collettivo di settore, che nel rispetto dell’autonomia di chi sceglie di lavorare come rider inducesse le aziende di delivery a garantire maggiori tutele e diritti. Una scelta normativa rischiosa, per le oggettive difficoltà di rappresentanza dei rider, ma decisamente lungimirante nell’affidare alle relazioni industriali un ruolo cruciale in un settore così nuovo e lontano dalle consuetudini della dialettica sindacale.
AssoDelivery, l’associazione che riunisce Glovo, Deliveroo, Just Eat, Uber Eats e Social Food, non si è tirata indietro e una volta identificata una piattaforma condivisa tra le aziende si è aperta al confronto con i sindacati. UGL (Unione Generale del Lavoro) ha costruito una struttura di rappresentanza del mondo dei rider che ne veicolasse la voce al tavolo dei negoziati, in modo che fossero le loro esigenze quotidiane ad sostenere il dibattito e non solo prese di posizione e preconcetti che per una forma di lavoro nuova vedono nell’applicazione di schemi tradizionali l’unica strada da percorrere. Si tratta di un primo passo, certo non facile, che della complessità insita nella gig economy ha visto un valore per tutti gli attori coinvolti e non solo un limite.
Ne è emerso un contratto collettivo, sottoscritto da AssoDelivery e UGL, che è una novità assoluta non solo in Italia, ma a livello mondiale. L’obiettivo è supportare la crescita sostenibile di un settore che mai come durante l’emergenza sanitaria ha rivelato il suo carattere di essenzialità e di sostegno concreto ad attività economiche piegate dalle difficoltà del lockdown e del distanziamento sociale. All’interno vi si trovano risposte innovative alle domande che, ormai da anni, vengono poste riguardo al settore: da un minimo garantito a indennità integrative in caso di lavoro notturno, maltempo e lavoro durante i giorni festivi, fino a un sistema di incentivi temporanei nelle città di nuova apertura.
Il CCNL (contratto collettivo nazionale del lavoro, ndr) affronta una volta per tutte aspetti legati alla quotidianità dei corrieri, prevedendo la fornitura gratuita da parte delle aziende di dispositivi di sicurezza come indumenti ad alta visibilità e caschi per chi va in bici e l’organizzazione di corsi di formazione specifici, su temi fondamentali come la sicurezza stradale e il trasporto di alimenti. Sancisce l’obbligo di copertura assicurativa e l’impegno delle aziende a rispettare principi basilari, come il divieto di discriminazione, le pari opportunità di chi collabora con esse, il rispetto della privacy, la trasparenza dei sistemi di ranking. Pone infine le basi per un’autentica vita sindacale, perché è di spazi di confronto che questo settore ha bisogno per affrontare le piccole e grandi questioni di ogni giorno.
Il delivery non era il Far West ieri e non sarà l’Eden domani, quando il contratto collettivo entrerà in vigore. Quello di oggi non è infatti un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. È però, questo sì, una piccola grande vittoria del nostro Paese, per una volta capace di dettare la linea su un tema così rilevante per il futuro dell’economia globale, individuando una terza via, pragmatica e non ideologica, in grado di sostenere un mercato in forte espansione senza rinunciare alla garanzia di tutele irrinunciabili per chi vi lavora.
Quello che celebriamo oggi non è dunque un traguardo, ma solo il primo esempio di un percorso di crescita e maturità che il delivery intende da tempo intraprendere per non essere più solo il protagonista di un indistinto futuro, ma attore responsabile e positivo del presente.
*Giacomo Lev Mannheimer – Head of Public Affairs, Glovo