Ho conosciuto Mattia Feltri ed altri giornalisti scrivendo le mie idee sulla giustizia, sul mio mondo frequentato da oltre quarant’anni, la mia intera vita. Al netto dell’eccesso di amicizia di cui Mattia, per generosità, si macchia sul suo Buongiorno di oggi c’è un fatto da sottolineare: la grande stampa si è resa conto dell’ennesima stortura e devianza mediatico giudiziaria grazie a due piccoli giornali di opinione come Linkiesta e il Foglio che hanno segnalato la violazione del segreto istruttorio in atto a Perugia.
Ieri pare se ne sia accorto anche il procuratore capo Cantone che ha addirittura minacciato una inedita «sospensione» delle indagini e l’apertura di un fascicolo per il reato di cui all’articolo 326 del codice penale (la violazione del segreto).
Oggi uno dei più prestigiosi cronisti giudiziari, Giovanni Bianconi del Corriere della Sera, si è affrettato a precisare che in realtà «alcune» delle intercettazioni erano state riprodotte nel testo di un decreto di perquisizione emesso dalla procura umbra e ciò a suo parere escluderebbe la violazione del segreto d’indagine.
Stranamente, a oggi, nessun giornale o blog proto-giustizialista ha ancora pubblicato il prezioso documento, come si è soliti fare ad esempio con le ordinanze di custodia cautelare dove obbligatoriamente la legge impone vengano riportate per esteso le intercettazioni che costituiscano prova a carico dell’indagato arrestato e che un giudice ha già valutato nella loro rilevanza.
Nell’attesa di verificare perché mai in un semplice decreto di perquisizione che serve al pubblico ministero a cercare le prove si siano rese pubbliche altri delicati elementi come le intercettazioni riservate ancora da sottoporre al vaglio del giudice, due semplici osservazioni che mi pare smentiscano la versione ufficiale.
Innanzitutto, nuove conversazioni vengono ancora quotidianamente pubblicate e già questo basterebbe.
Ma c’è un altro e non indifferente particolare: la nuova legge sulle intercettazioni espressamente stabilisce che il segreto d’indagine cessi solo quando le prove da utilizzare siano acquisite al fascicolo del pm che diviene accessibile solo quando terminate le indagini viene depositato per i difensori.
Se ciò non bastasse l’articolo 114 del codice di procedura vieta «la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto…» nonché «la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare», fatta eccezione per l’ordinanza con cui si applica una misura cautelare.
Dunque, se anche fosse vero che le intercettazioni riportate sulla stampa fossero contenute in un atto di perquisizione di esse non è possibile la pubblicazione perché costituisce reato. Sia per i giornalisti che pubblicano la notizia ma soprattutto per il Pubblico Ufficiale che ha passato l’atto giudiziario, posto che è difficile pensare che i due soli indagati a oggi avessero voglia di mettere in piazza i loro supposti magheggi con conseguente sputtanamento.
Sono storie vecchie cui non crediamo più, cari amici complici più o meno consapevoli del peggior giustizialismo d’inchiesta.
La tesi minimalista del Corriere della Sera è una pezza peggiore del buco che vorrebbe tappare e non sposta di una virgola la gravità del problema per chiunque, anche anti-juventino, abbia a cuore lo Stato di diritto.