Un’affollatissima festa in piscina che si è tenuta di recente a Wuhan, il Ground zero della pandemia, ha scatenato l’indignazione del web per la mancanza di misure di contenimento e distanziamento sociale previste per arginare il Covid-19. Quello che gli utenti di Twitter ignoravano è che a Wuhan, dove la pandemia ha avuto inizio tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, non si registrano nuovi casi di coronavirus da mesi.
In Cina le restrizioni stanno diminuendo ovunque, mentre riprendono i voli internazionali a prezzi maggiorati e con quarantena obbligatoria al rientro. Dopo le proteste del pubblico e dopo che un dirigente di una grande compagnia cinematografica si è suicidato gettandosi dalla finestra, anche i cinema hanno riaperto con l’obbligo di indossare la mascherina per l’intera durata del film – niente bibita e pop-corn quindi – e il nastro adesivo sulle poltrone che non possono essere occupate per ragioni di distanziamento.
Intanto sono fiorite nuove attività commerciali e quelle già aperte, essendo state chiuse per mesi, hanno dato lavoro a chi si occupa di ristrutturazione. Diversamente da quanto si potrebbe pensare, racconta il giornalista Wang Xiuying sulla rivista London Review of Books, i cinesi in quarantena non hanno acquistato soltanto beni di prima necessità, ma hanno reagito alla precarietà dello stato di emergenza con quello che viene chiamato revenge consumption, ovvero consumo per vendetta.
«Ad aprile è stato riaperto il flagship store Hermès presso il centro commerciale Taikoo Hui di Guangzhou, raggiungendo un nuovo record di vendite: 19 milioni di renmibi in un giorno. Ad agosto, il negozio Louis Vuitton di Shanghai ha guadagnato 150 milioni, quasi il doppio dell’importo mensile standard». I millennials hanno iniziato a fare la fila fuori dai negozi, e diversi marchi di lusso, sfruttando il trend positivo, hanno pianificato l’aumento dei prezzi. La domanda interna, inoltre, è cresciuta anche per lo stop forzato delle vacanze all’estero, bloccando il turismo di lusso che in Cina vale circa 300 miliardi di dollari l’anno.
«Da quando la Cina ha domato il virus e ha ripreso la vita normale», scrive Wang Xiuying, «il Partito comunista cinese ha conferito i suoi più alti onori a scienziati e medici chiave. I commentatori politici e i consumatori della classe media sono di buon umore. I leoni da tastiera attivi sulle varie piattaforme e forum dei social media sostengono che, dal momento che il governo si prende cura di quasi tutto, non c’è motivo di preoccuparsi di un sistema elettorale democratico che potrebbe produrre Trump o la Brexit».
Per spiegare la loro visione della società, alcuni utilizzano l’allegoria dei barbari alle porte (ruguan xue), secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero simili alla dinastia Ming nel diciassettesimo secolo, quando cioè venne rovesciata dal clan Manciù che più tardi fonderà la dinastia Qing. In quest’ottica, i cinesi di oggi si assimilano ai barbari Manciù che lottano per combattere l’egemonia della superpotenza occidentale, in questo spalleggiati dalla Russia allo stesso mondo in cui i Manciù erano alleati della Mongolia contro l’impero Ming.
Finora però, quella dei guerrieri ruguan xue resta una battaglia online senza alcun piano d’azione concreto. Le capacità militari della Cina, osserva il London Review of Books, sebbene enormi sono in gran parte difensive, e i barbari conquistatori, come sostenevano gli storici del pensiero marxista, sono in genere destinati a essere conquistati a loro volta dalla civiltà superiore dei loro sudditi.
L’allegoria dei barbari alle porte, però, non è l’unico modo per esprimere la contrapposizione tra Cina e Stati Uniti, per sintetizzare la quale i cinesi sono soliti ricorrere a un detto: «l’America è gestita da avvocati, la Cina è gestita da ingegneri». Come spiega Wang Xiuying, «gli ingegneri sono pragmatici. Il loro testo chiave è Il problema dei tre corpi dello scrittore di fantascienza Liu Cixin, in cui, come nella maggior parte dei suoi libri, la sopravvivenza è tutto e gli scienziati fanno scelte difficili senza spazio per sentimenti o umanisti inutili».
Quando un giornalista del New Yorker ha chiesto a Liu dello stato dei diritti umani in Cina, lo scrittore ha risposto: «Non è questo che interessa ai cinesi. Per la gente comune, quello che importa è il costo dell’assistenza sanitaria, i prezzi degli immobili, l’istruzione dei propri figli. Non la democrazia». «Che si tratti di invasione aliena, del giorno del giudizio climatico o di una nuova guerra mondiale», dichiara il London Review of Books, questa visione si fonda su «una fede incrollabile nel progresso tecnologico perpetuo». Da questo punto di vista, scrive Wang Xiuying «la Nuova via della seta non è un esempio di nuovo colonialismo, una trappola del debito, un programma di propaganda o uno schema sinistro per conquistare il mondo, ma semplicemente un normale comportamento barbaro di fronte a un mercato occidentale che invecchia il cui potere d’acquisto sta diminuendo».
Intanto le industrie cinesi si rafforzano, investono in infrastrutture per garantirsi una connettività economica sempre maggiore e scommettono sulle nuove generazioni di Paesi come Pakistan, Nigeria o Indonesia, possibili futuri acquirenti di merci quali smartphone, articoli per la casa, vestiti e non solo. Le pressioni per rendere il renminbi la valuta che regola gli scambi nella regione, inoltre, potrebbero incrinare il monopolio del dollaro e arginare le strozzature finanziare operate dagli Stati Uniti.
Con l’ottimismo di chi reputa che il dolore sia più facile da sopportare del prurito, come recita un noto proverbio cinese, gli esponenti più giovani di area liberale sperano che la politica del governo acceleri i nodi critici del Paese così da poter ricostruire la Cina in modo più libero. «La guerra commerciale con l’America, il deterioramento delle relazioni con molti altri paesi, l’aumento del nazionalismo, la disputa sul Mar Cinese Meridionale, la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong e, soprattutto, la pandemia globale hanno mostrato a tutti quanto la storia in Cina possa rivelarsi instabile», scrive la rivista inglese.
I cittadini però sono stanchi, e i liberali di vecchia generazione, quelli che hanno vissuto la Rivoluzione Culturale, simpatizzano per Trump che vedono come l’unico rivale del Partito comunista in grado di salvare il popolo cinese. «A loro non importa se i valori democratici vengono danneggiati lungo la strada. In un gioco a somma zero, devi solo vincere», scrive Wang Xiuying. «I trumpisti liberali cinesi festeggiano ogni volta che Trump prende di mira una grande impresa cinese – Huawei, TikTok o WeChat – proprio come approvano l’immunità di gregge che vedono come l’umanità definitiva. Come Trump, pensano che la cura non possa essere peggiore della malattia».
Paradossalmente, anche i nazionalisti radicali cinesi sarebbero felici di una rielezione di Donald Trump, a cui riconoscono il pregio di aver rivelato l’ipocrisia statunitense e di aver così polarizzato l’opinione pubblica cinese intorno alla bandiera nazionale. «Possiamo sempre affermare di preferire il nostro dittatore competente all’aspirante dittatore incompetente negli Stati Uniti», sembra essere il motto. «La promozione dell’ordine, della stabilità, della meritocrazia, della competenza, dell’efficienza e della convenienza della Cina sembra sempre superiore al pacchetto occidentale», sintetizza la rivista britannica, mente elezioni, libero mercato, sistema giudiziario, assistenza medica e istruzione sono contestate su tutti i fronti e iniziano a perdere parte del loro splendore.
È possibile, sostiene Wang Xiuying, che sia ora di rispolverare alcune idee proprie del confucianesimo come i concetti di monarchia benign o di dispotismo illuminato. «Poiché la democrazia rappresentativa non è più sul tavolo, possiamo sperare in un monarca che afferma di avere a cuore i migliori interessi dei suoi sudditi?».