In vista del mantenimento di un sistema commerciale aperto, l’Unione Europea dovrà continuare a tessere intense relazioni con il resto del mondo, a partire dal Giappone e dagli altri paesi dell’Asia del Pacifico, intensificando la politica di accordi commerciali già sperimentata con successo in questi ultimi anni. Basti pensare agli accordi stipulati con Canada, Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Singapore e i paesi del Mercosur, per citare i più importanti.
Con molti paesi dell’Asia del Pacifico, in primo luogo il Giappone, vi è oggi una convergenza di interessi anche nella salvaguardia e nel rafforzamento del sistema istituzionale multilaterale. A partire dalla riforma e dalla modernizzazione della Wto che presenta molti problemi e questioni aperte da affrontare. È importante, innanzi tutto, che la Wto sia dotata di specifici strumenti. Quelli attuali non funzionano e vanno rivisti, modificati e possibilmente rafforzati.
Solo per citare i più rilevanti: il sistema di voto e le riforme della rappresentanza dei paesi; la disciplina dei sussidi; le distorsioni legate alle aziende di Stato; gli eccessi di capacità settoriali e le pratiche antidumping; il tribunale di risoluzione delle controversie e i rischi di una sua paralisi. Sono tutte lacune e manchevolezze che offrono oggi possibilità di comportamenti opportunistici a molti paesi e andrebbero eliminate o per lo meno ridimensionate.
Si sono impegnati a farlo tutti i leader delle principali economie in molti recenti consessi internazionali, quali il G20, al di fuori degli Stati Uniti di Trump. E non è un’eccezione da poco, naturalmente. Sempre in tema di istituzioni internazionali da riformare e/o rafforzare, l’Unione Europea (o l’area euro) dovrebbe avere una propria rappresentanza unica a cominciare dal Fondo monetario internazionale. I vantaggi sarebbero molteplici.
Una rappresentanza unica renderebbe più credibili gli impegni europei nella gestione dell’economia internazionale, accrescerebbe il ruolo dell’Europa nella definizione e nell’implementazione dell’agenda internazionale e permetterebbe di dare più spazio ai paesi emergenti nelle istituzioni medesime. La difesa di un sistema commerciale multilaterale non esclude affatto, ma è anzi complementare a più efficaci politiche e strategie negoziali a livello bilaterale.
A questo riguardo, l’Unione Europea ha mantenuto, anche in passato, una sorta di posizione speciale, con un sistema complesso di accordi commerciali bilaterali e regionali messo in piedi negli anni ma che non si è mai posto in contrasto con l’opzione multilaterale. Anzi, l’interazione tra le due tendenze ha favorito nella maggioranza dei casi i processi di liberalizzazione commerciale in generale.
Questi accordi bilaterali erano e restano preziosi per l’Europa. Anche perché in un futuro, più o meno lontano, potrebbero essere usati come una sorta di piano B, un sistema commerciale alternativo, nell’eventualità che il sistema di regole e istituzioni esistenti dovesse definitivamente crollare, in primo luogo sotto i colpi di maglio dello scontro in atto tra Stati Uniti e Cina. Al pari di quanto fa la Cina oggi e hanno fatto gli Stati Uniti in passato, l’Unione Europea dovrà rafforzare la propria capacità di attrazione verso paesi terzi.
A questo scopo, occorrerà rivedere e riconfigurare strumenti e meccanismi quali gli Accordi di associazione, gli aiuti e la cooperazione allo sviluppo. L’Unione Europea è il principale dispensatore di aiuti allo sviluppo a livello mondiale. Li distribuisce, però, in maniera frammentata e in assenza di una coerente strategia complessiva. Un primo passo andrebbe fatto per mettere ordine, coordinare e semplificare la giungla di canali di intermediazione oggi esistenti.
Questo potrebbe agevolare una nuova iniziativa europea verso l’Africa, un continente destinato a giocare un ruolo di primo piano per il futuro del pianeta. La Cina e altri importanti paesi hanno già sviluppato in questi anni una massiccia e diffusa penetrazione economica e commerciale in quel continente. Alcuni singoli paesi europei sono presenti ma manca una presenza unitaria dell’Ue.
Un suo sviluppo è davvero urgente e rappresenterebbe un tassello fondamentale per una rinnovata presenza europea nel mondo. In ultimo va ricordato che gli accordi commerciali bilaterali sono stati spesso utilizzati dall’Europa anche per promuovere propri standard ambientali e sociali nei confronti dei paesi partner. A questo riguardo sarà essenziale spostare il contenuto dei futuri accordi commerciali sempre più verso il fair trade rispetto al mero libero scambio.
In questa prospettiva, sono necessarie a livello domestico politiche più attive ed efficaci del passato, che consentano alla maggioranza di lavoratori e imprese una più equa partecipazione ai cospicui benefici generati dal fair trade oltre che una mitigazione dei costi a esso inevitabilmente associati. Mentre in tema di sostenibilità ambientale, che è oggi al centro dell’agenda europea, è importante che la difesa del sistema commerciale aperto e la lotta al cambiamento climatico procedano in parallelo, promuovendo, attraverso gli accordi commerciali bilaterali, il rispetto da parte dei paesi partner dei necessari standard ambientali.
Come affermato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, l’Europa dovrà essere pronta a imporre dazi (la cosiddetta Carbon adjustment border tax) alle importazioni da quei paesi che, continuando a produrre in modo inquinante, volessero fare concorrenza al ribasso. Tutto ciò nella consapevolezza di possibili ritorsioni commerciali da parte di paesi terzi, anche grandi e importanti come gli Stati Uniti.
Politiche comuni per la competitività
La credibilità internazionale di un paese e/o di un’area dipende dalla solidità della sua economia e dalla sua coesione interna. Questo vale in generale e anche per l’Europa che presenta diffuse debolezze a questo riguardo. Come abbiamo già avuto occasione di ricordare, l’Unione Europea ha accusato un significativo indebolimento competitivo in campo industriale e tecnologico in questi anni, soprattutto rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.
Recuperare il terreno perduto è così la terza importante sfida per l’Europa se vorrà arrivare a svolgere un ruolo più autonomo e attivo nel nuovo contesto globale del post Covid-19. L’arretramento competitivo accusato dai paesi europei ha interessato un insieme di rilevanti comparti che sono al centro della nuova rivoluzione tecnologica, quali ad esempio l’intelligenza artificiale, i big data, la digitalizzazione.
La crisi pandemica ha aggiunto, più di recente, la preoccupante debolezza europea nel campo delle forniture sanitarie e della farmaceutica, rivelando un’estrema dipendenza dell’intera Europa dalle importazioni cinesi. Questa perdita di competitività tanto più preoccupa considerato il ruolo chiave assunto dalle nuove tecnologie nel plasmare il contesto geoeconomico globale e nel configurare i rapporti di forza al suo interno. Al riguardo, la fase post Covid-19 avrà probabilmente l’effetto, anche in questo caso, di accelerare una serie di tendenze già in essere.
È facile, così, prevedere che i paesi in grado di controllare il 5G, l’intelligenza artificiale o l’Internet delle cose, e fissare i futuri standard digitali, assumeranno vantaggi fondamentali nel confronto geostrategico mondiale. Com’è già avvenuto in passato in fasi di transizione simili a quella attuale. Per tentare di rafforzare la propria posizione competitiva l’Europa dovrà porre mano, come delineato in altri capitoli del volume, a un ventaglio di politiche, quali quelle commerciali, industriali, tecnologiche e di concorrenza, per modernizzarle e meglio coordinarle a livello europeo.
La drammatica crisi pandemica ha contribuito ad accrescere una relativa convergenza tra i maggiori paesi europei sulla necessità di agire, con numerose prese di posizione, ufficiali e no, da parte franco-tedesca e della stessa Commissione. Le proposte sono molte e indirizzate a riscoprire, ad esempio, obiettivi e strumenti di una politica industriale europea che dovrebbe favorire la nascita di «campioni europei» capaci di competere a livello globale e mantenere il controllo del grande mercato europeo.
Anche la politica di concorrenza si ritiene possa contribuire, continuando a difendere l’interesse dei consumatori ma senza penalizzare la promozione degli investimenti e della competitività dell’offerta produttiva europea, così da arrecare vantaggi anche ai consumatori di domani. Andrebbero previsti altresì spazi di finanziamento più ampi per progetti tecnologici di «comune interesse europeo» (Ipcei) in grado di sostenere iniziative comuni (sanità, energia, clima, sicurezza ed economia digitale) volte alla creazione di tecnologie d’avanguardia in tutti i campi più «caldi», dall’intelligenza artificiale alla cybersecurity.
In estrema sintesi, per rafforzare la resilienza e la sovranità industriale dell’Unione Europea serve un approccio comune allo sviluppo produttivo, molto più incisivo del passato. Va difesa l’apertura e l’integrazione europea nel mondo in modo da promuovere la crescita tecnologica e la produttività dei paesi membri, imponendo una maggiore reciprocità nelle relazioni con i principali partner commerciali. A partire da una più adeguata capacità di difesa da quelle acquisizioni e da quegli investimenti esteri che abbiano obiettivi marcatamente predatori nei confronti delle imprese europee.
Il riferimento d’obbligo è in questo caso alla Cina. In questa prospettiva il problema più spinoso da affrontare resta quello dei nazionalismi europei e della mancanza di fiducia tra paesi. Di qui – va ricordato – sono venuti in questi anni gli ostacoli maggiori alla nascita e allo sviluppo in molti settori di grandi imprese europee, in grado di competere con gli oligopoli americani e cinesi.
Da ultimo, sono necessarie politiche sociali europee in tema di formazione, istruzione permanente, mobilità, programmi di sostegno ai redditi più attive ed efficaci del passato. Si tratta di consentire alla maggioranza dei lavoratori e delle imprese una più equa partecipazione ai cospicui vantaggi derivanti dai processi di cambiamento tecnologico insieme a quelli già ricordati di liberalizzazione commerciale. Il progresso tecnologico, unitamente all’apertura commerciale, ha sempre prodotto grandi benefici complessivi ma ha anche creato pesanti costi di aggiustamento e una serie di perdenti tra lavoratori e imprese. Il loro numero in questi anni è fortemente aumentato, congiuntamente all’avversione nei confronti delle stesse innovazioni tecnologiche. Una tendenza che va contrastata e invertita.
Una sfida a due livelli
Per concludere, nel contesto economico mondiale che si va configurando nel mondo post Covid-19, dominato dal confronto tra grandi poli a partire da Stati Uniti e Cina, serve un’Unione Europea in grado di decidere e andare avanti, arrivando a formulare un’efficace strategia per affrontare il serio conflitto apertosi con gli Stati Uniti, avviare un deciso confronto e negoziato con la Cina ed affermare una propria rafforzata presenza internazionale.
Ma una politica europea più autonoma e assertiva a livello globale deve poter contare su un rilancio della crescita e della coesione all’interno dell’Europa, imperniato sulla strategia del Green Deal, sulla valorizzazione del mercato interno e sull’implementazione del vasto e ambizioso programma Next Generation Eu. La politica economica estera dell’Unione Europea sarà tanto più credibile quanto più l’economia europea riuscirà a tornare su tassi di sviluppo elevati e sostenibili superando in uno spirito di solidarietà la drammatica crisi del coronavirus.
Le trasformazioni che caratterizzeranno a livello economico il mondo post Covid-19 tenderanno a consolidare un nesso importante tra il ruolo di attore primario che l’Europa deve giocare sulla scena globale e le possibilità di rilancio della crescita e dell’integrazione all’interno dell’Unione Europea, come nel caso del necessario completamento dell’Unione monetaria. Come abbiamo più volte sottolineato, al fine di rendere l’integrazione economica politicamente sostenibile e rispondere in positivo alle ansie e alle paure dei cittadini è, in effetti, necessario varare una strategia e un’agenda di interventi politici ed economici che si muova in contemporanea sui due livelli, quello internazionale e l’altro interno.
Ma non sarà affatto scontato e restano numerose incognite da fronteggiare. In molti casi il problema in realtà non è economico, perché in questo campo l’Europa ha tutti i numeri per ambire a essere un grande attore protagonista, ma è politico, perché l’accentuata frammentazione e l’assenza di adeguati meccanismi di decisione comuni hanno sempre indebolito in passato la posizione europea. Un altro grande ostacolo sono le divisioni interne e la mancanza di fiducia reciproca tra i paesi membri.
Ma la posta in gioco questa volta è davvero troppo alta. Il pericolo è di indebolire fortemente il progetto europeo, mettendone a rischio il futuro. C’è da augurarsi al riguardo che le sfide che derivano dal contesto attuale forniscano lo stimolo decisivo per portare avanti cambiamenti profondi in Europa anche a livello interno, ostacolati finora da interessi particolari e di breve respiro.
“Da L’economia europea. Tra crisi e rilancio, Il Mulino, Farsi un’idea, 200 pagine, 12 euro”