Film CapitaliNel cinema di Helsinki non esiste il passato ma fa paura il futuro

Fuori dal racconto della città finlandese hi-tech e all’avanguardia - secondo molti la città più vivibile d’Europa - il film di Jarmusch, le visioni alla Lumière e l’opera di Kaurismäki parlano di una città sospesa, dove la neve dirada lo scorrere del tempo

Fotogramma

Il villaggio globale si visita in una notte e a bordo di un taxi. Jim Jarmusch, che è americano ma sa che la frontiera non esiste più, ha provato a vagabondare come se New York incrociasse Parigi. Nel suo “Taxisti di Notte”, film a episodi del 1991 – genere oggi ceduto alla tv in forma antologica – percorriamo un lembo di terra che cambia a ogni curva. Sei racconti in sei città. Non c’è soluzione di continuità, ma un senso di familiarità ricuce le distanze. Ultima tappa: Helsinki. 

Ci arriviamo esasperati, dopo aver seguito un caustico Roberto Benigni nel centro di Roma. La capitale finlandese riporta ordine. Ma il suo taxista è un uomo stanco, come sentisse il peso dell’attraversata oltreoceano. Lo interpreta Matti Pellonää, fratello del grande regista europeo Aki Kaurismäki, a cui l’episodio è dedicato in un gioco di rimandi. Il film di Jarmusch inizia al tramonto e termina nella notte di Helsinki. È un orario strano per la città, che nei giorni estivi è ancora illuminata dalle sue notti bianche. Quando a mezzanotte il sole invita a restare svegli. 

A dominare la scena sono le luci fredde riflesse nella neve. Anche i semafori sembrano sbiadire. Tre sfumature di pallore dicono ferma, aspetta, vai. L’autista gira attorno alla piazza del senato. La storia risuona silente, dove lotte e patriottismi hanno alternato nozze e divorzi. Nella versione originale, ogni episodio è recitato nella lingua della città. 

Vicino alla stazione l’autista raccoglie tre ubriachi. Appoggiati uno sull’altro cadono sulla neve bagnata. Lo sgocciolio dell’acqua sugli stivali è il suono più ricorrente del cinema di Helsinki. In alcuni film muti degli anni ’20, possiamo sentirlo prima che la didascalia ce lo suggerisca. Fuori dal racconto della Helsinki hi-tech e all’avanguardia – secondo molti la città più vivibile d’Europa – il film di Jarmusch, le visioni alla Lumière e l’opera di Kaurismäki parlano di una città sospesa, dove la neve dirada lo scorrere del tempo.

In “Journey to Helsingors”, del 1946, un commentatore svedese invita a osservare i volti che abitano il mercato. Le borse in pelliccia (con la testa degli animali ancora attaccata!) riempiono vetrine ambite da famigliole d’altri tempi eppure modernissime. L’area metropolitana più a nord del mondo si presta a uno sguardo lirico, perfetto in un film a firma Peter von Bagh. Il critico e storico del cinema ha dedicato alla città un’ode che lega visioni mute e tremori futuri. Il suo “Helsinki, per sempre!” riferisce un intreccio di arti, politiche e società in continuo movimento. 

Dal cinema finlandese si sposta sulla letteratura, poi alterna quadri, e torna a semplici visioni urbane. Il documentario di von Bagh è un flusso di quartieri e istanze poetiche. L’arte assoluta, che riassume tutto, come un grande corpo, è la città. Lo spazio prediletto è però pubblico.

Come nei film di Kaurismäki, l’interno è passeggero. Così il protagonista de “L’uomo senza passato” può vivere in un container, arredandolo di oggetti sconnessi e bellissimi. Il juke box, la pentola, una tanica di benzina: tutto in armonia. Nel film di Kaurismaki un uomo viene picchiato e perde la memoria. Che qualcosa sarebbe andato male glielo aveva predetto l’orologio al polso, fermo rispetto a quello della stazione di Helsinki. Sembra l’inizio di “C’era una volta il West”, con Claudia Cardinale che arrivata al villaggio in treno vede il suo orologio fare a botte con quello pubblico.

Quando chiedono allo smemorato se Helsinki è la sua città risponde confuso: «la città mi è estranea». Chi fosse prima non importa, perché ora ha una nuova vita. «Voi cittadini siete i figli del momento»; accuserà. Uno scontro di tempi e orologi.

Kaurismäki ha ambientato ad Helsinki l’episodio di “Ten Minutes Older”, in cui numerosi registi sono stati invitati a riflettere sullo scorrere dei minuti. In dieci di questi il suo protagonista abbandona tutto, sposando la donna amata e dirigendosi in Siberia. Dove «i pozzi di petrolio sono ovunque».  Lasciando la città guarda fuori dal finestrino. «Verifico che il nostro paese sia ancora qui».

Nella tensione tra lo scorcio d’Europa affacciato sul Baltico e il lembo di terra in direzione Russia si ripiegano storie crude, romantiche, inaspettate. “Frozen Land”, di Paha Maa si apre con una citazione al gruppo rock finlandese: «Nato puro nelle mani del futuro, in queste terre fredde del Nord».

Il film, del 2005, è una raccolta di eventi sempre più eccessivi e intrecciati. L’ispirazione è Tolstoj. La vita di persone lontane si scontra quando un ragazzo tenta di imbrogliare un rivenditore con una banconota da cinquecento euro stampata al computer. Il furto va a buon fine, perché «questi euro sembrano giocattoli». Il film non nasconde il pessimismo, mostrando le ombre della città del sole. Per vendere dei pessimi aspirapolvere, un ambulante giura che sono stati fatti in Svezia. La vera «terra dei lavoratori onesti». Poi le vicende iniziano a rotolare in un pendio oltre cui thriller e horror vanno a braccetto e la teoria del caos ingurgita il resto. Ma fino a qui il film è chiaro nello smentire Helsinki.

Jarmusch, da straniero, aveva già detto la sua. L’autista del taxi finisce a fare a gara con gli ubriachi su chi abbia la vita più triste. Gioco cinico concluso sulla neve. Quando l’ultimo dei passeggeri viene mollato dagli amici e lasciato per strada. «Lo sai almeno dove sei?», chiede il taxista, «Sì, a Helsinki». L’immagine torna al bianco, sui riflessi; il sole si alza e finisce la notte. 

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