Poco meno di un anno dopo la caduta del Muro, il 3 ottobre del 1990, i tedeschi si svegliano e si trovano di nuovo a vivere in un’unica Germania, dopo quarantuno anni di separazione fra Est e Ovest. Ogni anno il 3 ottobre è festa nazionale in Germania, e il trentennale avrebbe certamente meritato celebrazioni in pompa magna: ci si è messo di mezzo il coronavirus, però, a rendere impraticabile l’idea di una grande festa.
Come noto, la strada scelta all’epoca non fu quella che avrebbe condotto a un nuovo Stato: si decise invece di procedere all’incorporazione dell’ex DDR nella Repubblica Federale occidentale, tramite una serie di passaggi che prevedevano ad esempio l’unificazione monetaria (realizzata nell’aprile precedente), l’inglobamento dei 5 nuovi Länder orientali nel territorio della Bundesrepublik e l’estensione della Costituzione vigente a Ovest, la Grundgesetz, a tutta la Germania.
Una decisione comprensibile: in questo modo si sarebbe risparmiato molto tempo, visto che alcuni passaggi altrimenti necessari – come ad esempio la stesura e la ratificazione di una nuova carta fondamentale per il nuovo Stato, o la riapprovazione dei trattati di politica estera – si sarebbero potuti agevolmente saltare.
Non mancavano le voci critiche nei confronti di questo approccio rapido e sbrigativo, per citarne una sola quella di Jürgen Habermas, forse il filosofo più importante della seconda metà del Novecento: tuttavia era cruciale fare in fretta, anche solo per non lasciare a chi in Europa non vedeva di buon occhio il ritorno a un’unica Germania (cioè quasi tutti i governi degli altri Paesi occidentali) il tempo di organizzare qualcosa che potesse compromettere il processo. E poi anche i cittadini dell’Est che prima della caduta del Muro manifestavano in massa nelle piazze di Lipsia o Dresda chiedevano una veloce riunificazione: il sostegno popolare, dunque, non mancava.
Grattando sotto la superficie della Wiedervereinigung, la riunificazione, saltava fuori insomma un’annessione: ma si trattava di una scelta consapevole, e accettata da ambo le parti.
Trent’anni dopo, è quasi impossibile stabilire con certezza se sia stata una scelta azzeccata o no. E tocca parlare ancora di muri, non fatti di cemento e mattoni come quello che tagliava Berlino a metà ma che ne sono una specie di propaggine immateriale, fantasmatica, eppure non meno reale.
Il primo muro è quello economico. Da molti punti di vista è possibile parlare di una “Germania a due velocità”: un Ovest che continua ad essere trainante, e un Est che non smette di arrancare. Poco più di un anno fa, uno studio pubblicato dalla Friedrich-Ebert-Stiftung (la fondazione vicina alla SPD) ha identificato cinque diverse fasce di “qualità della vita” e le ha utilizzate per creare una mappa del Paese, mostrando le zone dove si vive meglio e quelle dove si vive peggio – ne avevamo parlato qui. Mentre l’Ovest è quasi tutto nella fascia media, l’ex territorio della DDR è perfettamente sovrapponibile – con l’eccezione di Berlino – alla quarta fascia, quella che i ricercatori hanno definito “zone rurali in crisi strutturale permanente”.
Un grafico elaborato dal magazine Katapult in base ai dati della Bundesagentur für Arbeit, l’Agenzia federale per il lavoro, conferma le differenze fra Est e Ovest anche riguardo ai salari medi. A livello nazionale, nel 2019 i tedeschi hanno guadagnato in media 3.401 euro lordi al mese: a Ovest però la media è di 3.526, a Est di 2.827. Grandi differenze si registrano anche per quanto riguarda i patrimoni monetari e immobiliari, come illustra bene questo articolo della Frankfurter Rundschau.
Dal punto di vista economico la riunificazione non è ancora avvenuta. Le differenze magari si sono ridotte, e tutti gli indicatori mostrano come l’Est sia cresciuto molto in questi trent’anni, ma il divario rimane.
Poi c’è l’altro muro, quello mentale – die Mauer in den Köpfen, “il muro nelle teste”.
La Wiedervereinigung riunì due popoli che per anni avevano vissuto come avversari, e che ora si trovavano all’improvviso ad essere una cosa sola pur conoscendosi pochissimo. E trent’anni dopo è legittimo dubitare che il muro mentale fra Wessis (quelli dell’Ovest) e Ossis (quelli dell’Est) sia caduto veramente.
Molti Ossis hanno la sensazione che le promesse non siano state mantenute, e si sentono come cittadini di seconda classe rispetto ai loro cugini occidentali; e a Ovest spesso fatica a morire lo stereotipo dell’orientale grezzo e campagnolo, magari pure razzista – visti i grandi successi elettorali che da quelle parti miete AfD. Le cose sono migliorate rispetto ai primi tempi: un grafico realizzato dallo Spiegel sui dati raccolti dalla Otto Brenner Stiftung mostra come sia cambiata la percezione reciproca dal 1991 al 2018, sia sulla Riunificazione in sé che sui cugini dell’altra parte.
E tuttavia rimane molta diffidenza reciproca, e molta insoddisfazione – soprattutto a Est. Gli osservatori ritengono che la velocità del processo di riunificazione, e le sue modalità, abbiano causato una vera e propria perdita di identità per molti tedeschi dell’Est, che si sono trovati da un giorno all’altro inseriti in un contesto che non riconoscevano più e per cui non avevano chiavi di lettura adeguate. Abituati a vivere in un mondo – che comunque gli stava ormai troppo stretto – hanno traslocato d’improvviso in un altro, e anche a distanza di trent’anni continuano a sentirsi lasciati indietro, incompresi e non valorizzati. Sono pochi gli Ossis in posizioni di leadership in praticamente tutti i settori della vita politica, economica e sociale tedesca: e sebbene il Paese sia retto da quindici anni da una ex cittadina della Germania Est, lo squilibrio rimane molto evidente, e gli appelli per una maggiore integrazione anche a livello dirigenziale – ultimo quello di Manuela Schwesig, Ministerpräsidentin SPD del Meclemburgo – continuano a cadere nel vuoto.
Dall’altro lato, è difficile parlare con un tedesco dell’Ovest di queste faccende e non incappare quasi subito nella Solidaritätzuschlag, la “tassa di solidarietà”, il balzello più odiato nella parte occidentale del Paese. Introdotta nel 1991 come misura temporanea per coprire i costi della Riunificazione (e della Guerra nel Golfo), la Soli si è rivelata in realtà una delle istituzioni più longeve della Germania unita: pagata da tutti i percettori di reddito dei Länder occidentali, è ormai da anni un tema caldo del dibattito politico, con numerose proposte per abolirla o almeno limitarla che si scontrano periodicamente con le difficili condizioni economiche e lavorative dell’Est, e che la rendono quindi ancora uno strumento necessario. Detestata a Ovest come poche altre cose, la tassa è un argomento tirato fuori spesso per criticare “quei fannulloni degli Ossis, che con tutti i soldi che gli diamo da trent’anni ancora non sono capaci di cavarsela da soli.”
Questi trent’anni di Germania unita, insomma, hanno travolto alcuni muri, ma ne hanno lasciati, in alcuni casi addirittura rafforzati altri.
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