Talmente abituati all’incoerenza e a discorsi ripetuti con voce stentorea che, in poche settimane, si rivelano affidabili come la carta straccia, capita di dimenticare molto velocemente anche certe iniziative politiche. Così mentre il tentativo di Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano e attualmente parlamentare europeo, di riunire il centrosinistra con Campo Progressista ci sembra lontano, contemporaneamente quello stesso centrosinistra fatto di “mai con questo” o “mai con quello” è, invece, riunito e, anzi, più allargato che mai – perfino oltre il perimetro di centrosinistra – all’interno dello stesso governo. Piuttosto proprio questa incoerenza è una delle ragioni alla base della disaffezione che Giuliano Pisapia e Lia Quartapelle provano a curare con “La politica raccontata ai ragazzi. Perché può essere bella, perché puoi farla tu” (De Agostini) un manuale che si pone un compito (ingrato, ma qualcuno deve pur farlo) di avvicinare i giovani alla politica senza lasciargli intendere che sia qualcosa di immediatamente viscido.
La prima impressione che prova un adulto di fronte al libro è di sospetto. Perché quasi ogni adulto guarda alla politica con cinismo. È qualcosa che avevate messo in conto?
L’avevamo messo in conto e, infatti, la decisione di fare questo libro, insieme a Lia Quartapelle, deriva propria dal fatto che la politica, troppo spesso, è rappresentata come qualcosa di brutto e sporco. Mentre sono convinto che la stragrande maggioranza delle persone impegnate in politica lo fa per passione e perché ci crede, non per interesse personale. Ma questa nomea c’è. Per questo, pur provenendo da esperienze e generazione diverse, con Lia Quartapelle abbiamo condiviso la necessità di dare il segnale di una politica capace di fare le cose.
Cita Don Milani nelle prime pagine.
“Sortirne insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”. Il concetto di politica è molto più ampio dal candidarsi o far parte di un’istituzione.
Quindi siamo noi a proiettare il nostro cinismo sui ragazzi? Loro non lo sono affatto?
Non si nasce cinici. Gli adulti lo sono spesso. Ma proprio per questo bisogna far vedere, coi fatti e non solo con le parole, che esiste la buona politica e che significa partecipare alla vita pubblica e alle decisioni che possono partire dalla classe – non sociale, ma scolastica – è buona politica.
A me pare che i ragazzi vengano alternativamente deresponsabilizzati o colpevolizzati durante la pandemia. Lei che ne pensa?
All’inizio i ragazzi hanno avuto paura. Del resto, la pandemia ha colpito i due aspetti fondamentali della loro vita: la scuola e la socialità. Credo che dove gli adulti sono riusciti a spiegare le cose per bene i ragazzi si sono anche responsabilizzati. Per esempio, hanno usato le mascherine senza problemi quando gli è stato chiesto. Forse all’inizio, in alcuni casi, è stato difficile spiegare perché non potevano vedere gli amici. Andava spiegato meglio.
La Campania ha già sospeso le scuole per due settimane e si parla di misure analoghe in altre regioni.
Bisogna fare veramente di tutto per evitare che si richiudano. Chiaramente non ho gli elementi, salvo quello che si legge, per decidere. Ma sarebbe un colpo davvero pesante per i ragazzi che già hanno sofferto a lungo, non vedere le persone con cui quotidianamente si confrontavano e giocavano.
Nonostante la pandemia, la “generazione Greta” continua a manifestare e a farsi sentire: riusciranno a creare una rappresentanza politica in grado di incidere?
È qualcosa di radicalmente nuovo perché è un movimento internazionale. E poi credo che abbia già inciso: proprio nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per la riduzione della Co2 e sicuramente le loro mobilitazioni hanno pesato. Adesso tocca fare un ulteriore passaggio per essere non solo critici, ma anche propositivi. Ci spero perché questo è proprio il senso della buona politica: non essere solo critici, ma proporre percorsi e alternative.
Il libro è anche un manuale di educazione civica. Perché l’educazione civica è un tema che non sembra scaldare?
Ricordo quando la facevo alle elementari e alle medie: non ci appassionava forse perché era qualcosa di imposto. Allora c’era anche un rapporto diverso tra genitori o insegnanti e ragazzi: veniva tutto dall’alto. Se invece i bambini si rendono conto che possono parlare, possono esprimere le proprie opinioni e possono, addirittura, convincere qualcuno, allora diventa utile. Il nostro libro aveva anche questa finalità.
Dove invece i ragazzi possono esprimere le proprie opinioni è sui social. Lei li mette in guardia dalle fake news. Ci credono come gli adulti o in modo diverso?
È un problema gigantesco che riguarda ogni età. Ma sicuramente i più giovani sono più indifesi, soprattutto quelli a cui ci rivolgiamo con questo libro, tra gli 11 e i 14 anni. Vogliamo ribadire che una democrazia non può funzionare al meglio se i cittadini non dispongono di informazioni corrette?
Quali soluzioni immagina?
Noi diciamo “attenti”: parlatene con i vostri genitori o con i vostri compagni perché le cose che vi hanno colpito forse non sono vere, ma sono falsità. Non diventate dipendenti dai mezzi, ma cercate di approfondire, di fare le verifiche necessarie e di essere sempre protagonisti e non solo spettatori.
L’Europa è più attenta ai ragazzi rispetto all’Italia?
Credo che, più o meno, sia simile ovunque. In Europa ci sono tanti paesi diversi e, quindi, anche rispetto ai giovani ci sono idee diverse. Ma l’Unione Europea ha fatto molto, per superare queste differenze, ad esempio con l’Erasmus. La vera unione europea dei popoli è passata da questa intuizione della Commissione Delors: far conoscere e far studiare assieme i ragazzi di paesi diversi. In questo periodo, al Parlamento Europeo, uno degli scontri è proprio sull’Erasmus perché il Parlamento vuole aumentare i fondi, perché ha compreso quanto sia utile non solo ai ragazzi, ma anche agli adulti, mentre il Consiglio Europeo vorrebbe ridurre i fondi.
Pochi giorni fa Michele Serra ha scritto che il Pd dovrebbe ringraziare Carlo Calenda di volersi candidare a sindaco di Roma. A prescindere dal partito. Perché solo un “matto” oggi sarebbe disposto a fare un lavoro del genere.
Fare il sindaco è una delle cose più belle, ma anche più faticose che ci siano a livello di impegno politico. Perché ogni ora, quasi ogni minuto, devi confrontarti con i cittadini. Devi discutere con, e questo è bellissimo, devi tener conto – chiaramente dipende dai sindaci – ottieni più rilievi o critiche che applausi.
Lei più gli uni o gli altri?
Credo di essere stato fortunato, come ho scritto nel libro. Ancora oggi capita che, anche persone che hanno un orientamento politico diverso dal mio tuttora mi fermano per ringraziarmi. Ma non è merito mio, è soprattutto merito dei cittadini con cui c’è stato dialogo e confronto.
Così invoglia Calenda.
Circa un anno fa ho parlato con lui – siamo entrambi al Parlamento Europeo – e gli ho detto che il suo ruolo “importante” poteva essere proprio quello di sindaco di Roma. Perché ha le competenze e le capacità. Poi, come tutti, ha pregi e difetti. Non voglio entrare nelle decisioni di altre città, ma ci vorrebbe proprio una persona come lui.
Allo stesso tempo a ogni elezione amministrativa si registra un record di candidature. È un atteggiamento schizofrenico.
È anche vero che molti di questi candidati non ottengono neanche il voto dei loro familiari. Penso che candidarsi sia già una sfida, ma serve la consapevolezza delle difficoltà e dell’importanza del ruolo a cui si ambisce. Altrimenti è una fiera delle vanità
Il suo tentativo di unire una parte della sinistra naufragò, nel 2017, anche perché il governo rinunciò, di fatto, allo ius soli. Ha più fiducia per questa legislatura?
Autorevoli esponenti della maggioranza dicono che è il momento giusto. Rispetto al mio passato, invece, sono contento di aver provato a unire una sinistra ampia e plurale e non mi sono pentito di averlo fatto, anche se, chiaramente, mi dispiace non aver raggiunto l’obiettivo. Anche perché il centrosinistra in quelle elezioni ha avuto un risultato non positivo mentre c’erano le possibilità per ottenere un risultato migliore e oggi, forse, non ci troveremmo in questa situazione politica.
Poi, di fatto, Campo Progressista si è ricomposto nel Governo. Fanno parte della stessa maggioranza.
Ci penso ogni tanto e mi viene da sorridere di chi diceva “col Pd mai” o viceversa. Ma sono contento che si siano ricomposti.
La pandemia ha messo in crisi la città. In Italia sembra proprio Milano a soffrire di più.
Purtroppo, è stata la città che aveva fatto più passi avanti e, adesso, è quella che sta soffrendo di più. Però è ancora una città vivace e moderna con scambi internazionali. Al Parlamento Europeo quando si parla di Milano si vive la preoccupazione per quanto sta accadendo, ma tutti hanno presente anche quanto Milano sia diventata un punto di riferimento in Europa. C’è una bellissima mostra fotografica alle Gallerie d’Italia sulla Milano del ’43. Conosco bene quelle foto che mostrano una città colpita dalle bombe e in ginocchio. Ma poi Milano risorge riaprendo la Scala con Toscanini. Sono abbastanza convinto che saprà rialzarsi con lo stesso spirito di allora. È successo con la guerra, è successo con Tangentopoli, sarà così anche stavolta.