Il Nagorno-Karabakh, territorio del Caucaso meridionale al confine tra Armenia e Azerbaijan, è sempre stato oggetto di disputa tra le due ex repubbliche sovietiche. Riconosciuta dalla comunità internazionale come parte dell’Azerbaijan, la regione è abitata principalmente dalla comunità armena che, nel 1994, si è autoproclamata indipendente con la creazione della Repubblica dell’Artsakh.
Il conflitto, di durata trentennale, dallo scorso 27 settembre ha avuto risvolti inaspettati che potrebbero influire sull’approvvigionamento energetico italiano. Sul piano economico-commerciale, lo scontro è tutt’altro che trascurabile: con 5,5 miliardi di euro spesi in media ogni anno dal governo italiano nell’arco dell’ultimo decennio l’Azerbaijan è, insieme all’Iraq, il maggior fornitore di petrolio greggio in Italia dal 2013.
Facendo riferimento ai dati dell’ambasciata italiana in Azerbaijan, nell’ultimo triennio le nostre importazioni sono quasi raddoppiate in valore, passando dai 2,9 miliardi di euro del 2016 ai circa 5 miliardi a fine 2019, anno in cui il 92 per cento del commercio totale dell’Italia con i paesi del Caucaso meridionale è stato proprio con l’Azerbaijan. Al 2020 l’interscambio tra i due paesi si avvicina ai 6 miliardi di euro, pari al 18 per cento del commercio estero azerbaigiano.
La partnership italo-azera, inoltre, non si limita solo al commercio di greggio: dal 2018 l’Azerbaijan ha avviato un piano di riforme volte a diversificare la propria economia dal petrolio, i cui prezzi internazionali determinano gli indicatori macroeconomici del paese. Il fine è trasformare l’Azerbaijan in un centro commerciale rendendolo, grazie alla sua posizione strategico-territoriale in quella che in passato fu la via della seta, un crocevia per gli scambi tra Europa e Cina, e Asia meridionale e Russia.
Grazie a programmi di investimento finanziati dal governo azero e dal Fondo SOFAZ (State Oil Fund of the Republic of Azerbaijan), sono di rilievo le opportunità per le imprese italiane nel settore infrastrutturale, energetico, agroindustriale, chimico, petrolchimico, dei trasporti e dell’industria tessile. Il Ministero degli Affari Esteri stima che sul fronte complessivo degli investimenti le oltre 3000 imprese italiane operative sul territorio azero, tra cui Eni e Unicredit, abbiano investito quasi 600 milioni di dollari.
L’Italia vuole diventare un punto di riferimento per l’economia azera, mettendo a disposizione il proprio know-how per il processo di diversificazione in atto. A questo proposito Confindustria e Agenzia ICE hanno coordinato una missione imprenditoriale a Baku, capitale azera, in occasione della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (la prima di un Capo di Stato italiano nel Paese) nel 2018.
Più di 70 aziende e 120 rappresentanti di associazioni industriali ed enti pubblici hanno partecipato all’iniziativa, durante la quale sono state valutate nuove opportunità di capitalizzazione per le aziende italiane. È stato dato particolare riguardo alle prospettive di collaborazione offerte dal mercato azero alle imprese nostrane nei settori delle infrastrutture, del petrolio e del gas, puntando a una maggiore presenza diretta sul territorio.
L’incontro a Baku ha portato, tra il 20 e il 21 febbraio di quest’anno, alla successiva visita del presidente della Repubblica dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, la prima di un presidente azero nel Paese, al Business Forum di Roma ospitato dalla Farnesina. Presente il premier Giuseppe Conte con la partecipazione di Marcella Panucci, direttrice generale di Confindustria, e Carlo Ferro, presidente dell’ICE. Presenti anche imprenditori italiani e azerbaigiani appartenenti a diversi settori (energia, tessile, agroindustria ecc.).
Nel corso dell’evento sono stati siglati 18 nuovi accordi di partenariato tecnologico e commerciale, tra cui patti per l’importazione di gas: l’Azerbaijan è infatti fondamentale nel contesto del Corridoio meridionale del gas, espansione del Gasdotto del Caucaso meridionale (SCPX) che collega l’Europa al Mar Caspio, le cui riserve di gas sono pari al 20 per cento di quelle mondiali.
Gli scambi italo-azeri sono favoriti dalla recente entrata in funzione del TAP (Trans-Adriatic Pipeline, ndr Gasdotto Trans-Adriatico) che coinvolge Italia, Grecia e Albania: si tratta di un’altra espansione del SCPX, di cui l’azienda Snam è azionista di maggioranza. Entrando più nel dettaglio, quest’ultima ha firmato una collaborazione con Socar, società energetica azera di controllo pubblico. L’accordo mira a rendere più efficiente l’utilizzo dei gas rinnovabili e dell’energia sostenibile, con lo scopo di integrarli nel TAP.
L’intesa si articola in tre punti legati all’economia circolare e alla transizione energetica, proprio per garantirne l’ecosostenibilità: la ricerca su biogas e biometano, la promozione della mobilità sostenibile a gas naturale compresso e liquido, oltre che a idrogeno, e il processo di retrofit, ovvero la conversione delle automobili termiche in elettriche. Fondamentale inoltre la firma della Dichiarazione congiunta sul rafforzamento del partenariato strategico multidimensionale, che assume una valenza politica molto più profonda, soprattutto in relazione alla questione armeno-azera.
La Dichiarazione indica il disallineamento dell’Italia dalle posizioni della co-presidenza di USA, Russia e Francia nel Gruppo di Minsk dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), istituito nel 1992 allo scopo di trovare una soluzione pacifica al conflitto del Nagorno-Karabakh. Ambigua infatti la posizione di Washington, che già dalla presidenza Clinton negli anni Novanta aveva mostrato atteggiamenti filo-armeni. Del gruppo di Minsk fanno anche parte la Turchia e le stesse Armenia e Azerbaijan. Ora che la Turchia è diventata parte del conflitto con un sostegno incondizionato all’Azerbaijan, una sua mediazione è da escludere.
È quindi su un piano politico, più che economico, che l’Italia si posiziona come principale interlocutore europeo dell’Azerbaijan, soprattutto dopo che il cessate il fuoco del 9 ottobre e le richieste del governo azero sul ritiro completo delle forze armate armene dai territori occupati si sono rivelate fallimentari. Forse solo il riconoscimento del diritto all’indipendenza del Nagorno-Karabakh potrebbe finalmente portare a termine le ostilità.