Sulle parole del Papa, tratte da una video-intervista rilasciata nel maggio 2019 alla giornalista messicana Valentina Alazraki di Televisa e riportate nel documentario “Francesco” del regista Evgeny Afineevski, si è detto, nel giro di quattro giorni, tutto e il contrario di tutto. Tra riduzionisti, negazionisti, complottisti, massimalisti le interpretazioni sono state tante e tali da costituire un ginepraio, in cui raccapezzarsi è cosa poco agevole.
Va innanzitutto chiarito che l’autore del lungometraggio, presentato in anteprima, mercoledì 21, alla Festa del Cinema di Roma e insignito, all’indomani, del Premio Kinéo Movie for Humanity nei Giardini Vaticani, ha attuato un’opera di assemblaggio di quattro spezzoni dell’intervista, di cui tre già noti e uno del tutto inedito. Di ciò si può avere contezza confrontando la video-intervista con la trascrizione ufficiale, come apparsa sulle varie edizioni di Vatican News, a partire da quella spagnola, e su L’Osservatore Romano il 28 maggio 2019, e la clip “ricostruita” da Afineevski dall’ormai arcinoto risultato: «Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo».
In una tale successione, la parte finale sulla legalizzazione delle unioni civili, che è quella inedita, può apparire quale diretta conseguenza dei tre periodi antecedenti. Il che ha spinto entusiasticamente attivisti e politici, anche nostrani, a parlare di un riconoscimento dello status familiare per coppie di persone dello stesso sesso – c’è chi è arrivato a leggervi un’apertura in tema di omogenitorialità – da parte del Papa. Ma in realtà quelle parole, tagliate poi dal girato nella realizzazione finale della video-intervista e perciò non presenti nelle trascrizioni ufficiali, furono pronunciate al termine di una risposta a ben altra domanda, di cui, a distanza di un anno, se ne possono finalmente comprendere appieno il tenore e il significato:
«D. Lei ha fatto tutta una battaglia sui matrimoni con persone dello stesso sesso in Argentina. E poi dicono che è venuto qui, è stato eletto Papa e ora sembra molto più liberale di quanto lo fosse in Argentina. Si riconosce in questa descrizione che fanno alcune persone che l’hanno conosciuta prima, o è stata la grazia dello Spirito Santo che le ha dato di più?
R. La grazia dello Spirito Santo esiste, certo. Io ho sempre difeso la dottrina. Ed è curioso, nella legge sul matrimonio omosessuale… [ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo]. È un’incongruenza parlare di matrimonio omosessuale».
Ma perché quel taglio? Gli organi ufficiali della Santa Sede hanno scelto la strada dell’assoluto silenzio, mentre l’azienda radio-televisiva messicana ha diramato un secco comunicato: «Il Grupo Televisa chiarisce che il contenuto dell’intervista di Valentina Alazraki sul suo incontro con Papa Francesco, che ha ricevuto e trasmesso, non è stato modificato: è quello fornito dal Vaticano. La prospettiva dell’intervista era un’altra».
Cioè, come esplicitato altrove, gli abusi sessuali del clero su minori. Come a dire, insomma, che l’espunzione è stata operata direttamente al di là del Tevere ed è da lì, ossia dall’Archivio del Ctv-Vatican Media, che la parte tagliata è riemersa. Messa a disposizione di Afineevski, è stata da questi assemblata con l’accennata operazione di taglia e cuci, per poi confluire nel suo documentario.
Ma diciamoci la verità, pur a voler essere benignisti, la motivazione addotta – e c’è da pensare concordata – da Televisa regge poco o nulla: basta leggere il lunghissimo testo della video-intervista papale, per rendersi conto che l’argomento dell’attinenza al focus è inconsistente come neve al sole e che, anzi, l’aver espunto la parte sulle unioni civili ha reso l’intero dettato meno lineare.
Non si può far dunque torto a padre Antonio Spadaro, per aver subito detto mercoledì, al montare del clamore mediatico internazionale, che le parole di Francesco erano note. Ma a chi, verrebbe da domandare? Indubbiamente a lui e ai pochi che conoscevano il girato originale dell’intervista di Alazraki. Da qui, però, a sostenere – come fatto sempre dal direttore de La Civiltà Cattolica – che in quelle stesse parole non c’è alcuna novità e a minimizzarne così la portata deflagrante ce ne corre.
Sempre mercoledì sera il neo-prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Marcello Semeraro, ammetteva invece che «forse è la prima volta che [il Papa] ne parla in modo così esplicito. Ma le sue parole seguono un percorso già aperto in precedenza in particolare all’interno dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia».
Già, perché come subito rilevato da Linkiesta, l’inedito papale costituisce la riprova esplicita di quanto avevano anni fa dichiarato Sergio Rubin, biografo ufficiale di Bergoglio, al New York Times (19 marzo 2013) – fra l’altro prontamente smentito da Miguel Woites e Thomas Rosica – e Juan Carlos Scannone e Marcelo Figueroa a Frédéric Martel: l’allora arcivescovo di Buenos Aires riteneva necessaria una forma di tutela giuridica per le coppie di persone dello stesso e ravvisava nell’istituto delle unioni civili – normato a livello locale in Argentina tra il 2001 e il 2007 – una buona soluzione per evitare così l’inaccettabile matrimonio egualitario, che fu però introdotto nel Paese nel 2010.
Bergoglio perse sia questa battaglia, condotta frontalmente e con toni accesi, sia l’altra che, combattuta nelle retrovie, lo vide isolato per le pressioni contrarie degli allora segretario di Stato Angelo Sodano e nunzio apostolico Filippo Bernardini – è stato il defunto Scannone a dichiararlo – e messo in minoranza nella Conferenza episcopale argentina, dove s’impose la linea vaticano-conservatrice dell’arcivescovo Héctor Rubén Aguer.
Aspetto, quest’ultimo, nuovamente lumeggiato giorni fa da Sergio Rubin, che con Víctor Manuel Fernández, arcivescovo di La Plata e da tempo consulente teologico di Papa Francesco, ha anche definitivamente sgombrato il campo dalle interpretazioni di chi spinge il travisamento mediatico delle parole del Papa fino a negarne il sostegno a una normativa sulle unioni civili. E, questo, per il solo motivo che Francesco dice nella video-intervista ad Alazraki: «Lo que tenemos que hacer es una ley de convivencia civil». Da qui, la conclusione che il Papa sosterrebbe la necessità di una legge sulle convivenza civile (sul modello dei Pacs) e non sulle unioni civili.
Ora, a parte il fatto che Francesco afferma subito dopo di essersi battuto per questo – e, come già accennato, tra il 2001 e il 2007 in Argentina si discusse di unioni civili e queste, e non altro, furono introdotte a livello locale, compresa Buenos Aires il 13 dicembre 2002 –, l’arcivescovo Fernández, in una breve riflessione condivisa via Twitter dalla Conferenza episcopale argentina il 22 ottobre, ha chiarito che le parole usate dal Papa si riferiscono alle unioni civili, come sono comunemente intese, sì da esserci equivalenza tra ley de unión civil e ley de convivencia civil. Non senza aggiungere che le parole di Francesco riflettono appieno la posizione avuta da arcivescovo di Buenos Aires.
Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. I negazionisti continuano così ad agitare, quali prefiche scalmanate, lo spettro della fake new basata sulla traduzione volutamente erronea e non si danno pace del travisamento delle parole del Papa da parte della «lobby omosessualista». In Italia ne sono rappresentanti il sito Aleteia e il leader del Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi, approdato alla più sicura sponda negazionistica dopo aver inizialmente dichiarato, sempre nel fatidico mercoledì scorso: «Le parole del Papa sono importanti e definitive, ha fatto bene a pronunciarle. Ribadiscono la distinzione tra l’istituto del matrimonio, che per il Papa e l’ordinamento giuridico italiano non può che essere tra un uomo e una donna, rispetto a quello dell’unione civile pensato per i gay. Il problema si pone quando con una evidente forzatura si vuole sovrapporre l’istituto delle unioni civili a quello del matrimonio».
Che è poi la tesi dei riduzionisti – ribadire, cioè, con forza la differenza tra matrimonio e unioni civili per minimizzare il carattere di novità espressa nelle parole inedite di Francesco – fatta propria sia da presuli di peso come il cardinale honduregno Óscar Rodríguez Maradiaga o i vescovi italiani Massimo Camisasca e Bruno Forte sia da esponenti del mondo del Family Day come Massimo Gandolfini, Simone Pillon e, appunto, Adinolfi, prima che questi, ovviamente, mutasse posizione.
Il che è anche comprensibile, se si tiene in conto che Adinolfi, al di là poi degli stracci volati negli anni scorsi tra lui e Gandolf-Pillon, è stato con gli stessi tra i massimi organizzatori dei Family Day del 20 giugno 2015 e 30 gennaio 2016 (quello, per capirsi, dove apparve lo striscione con la scritta: «Renzi, ce ne ricorderemo») contro l’allora disegno di legge sulle unioni civili. Ma di stracci, stavolta, ne sono volati contro di lui e Gandolfini, la cui «fedeltà al Papa» è stata liquidata sui social come opportunistico voltafaccia e sul quotidiano online Nuova Bussola Quotidiana come atteggiamento da traditori.
Ed è proprio su blog o media di indirizzo ultraconservatore e antibergogliano, soprattutto di Oltreoceano come LifeSiteNews, che si grida maggiormente allo scandalo per le parole del Papa e si riprendono le dichiarazioni dei soliti Burke, Müller, Schneider, gli anti-Biden Strickland e Tobin, Viganò per veicolare maggiormente l’idea di un pontefice che, nel migliore dei casi, sbaglia dottrinariamente sulla questione unioni civili o, nel peggiore, conferma con le sue aperture di essere un eretico, un devius a fide, una persona da convertire con la preghiera.
Insomma uno che, secondo Marcello Pera, «ci manda tutti a fondo» ed «è uno scandalo per laici e cristiani». Sorvolando sulle considerazioni di chi è andato, lui sì, veramente a fondo col passare dagli studi su Karl Popper all’ossimorico concetto di rivoluzione liberale con Salvini e Orbàn, non si può non osservare che la falange dei presuli antibergogliani trova un valido appiglio per le proprie argomentazioni nel documento dannatorio della Congregazione per la Dottrina della Fede che, datato 3 giugno 2003, reca Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali.
Ma, al solito, si assolutizza il valore di quanto prodotto dall’ex Sant’Uffizio e lo si considera come vincolante per sempre, immutabile, non suscettibile di variazioni nel tempo. Eppure, basterebbe citare, a riprova contraria, il decreto del 20 gennaio 1644 sul divieto di attribuire il titolo “immacolata” alla concezione di Maria, poi definita come tale l’8 dicembre 1854 da Pio IX. O quello del 28 novembre 1958, in cui si vietò la diffusione di immagini e scritti sulla devozione della Divina Misericordia secondo il diario – posto anche all’indice perché ritenuto in più punti infetto di mariavitismo – di suor Faustina Kowalska, che dal 2000 la Chiesa cattolica venera come santa con tanto di istituzione, a livello universale, della festa della Divina Misericordia. Ovviamente grazie a Giovanni Paolo II.
In un tale coacervo di posizioni non manca quella di chi vede il Papa vittima di un complotto, ordito da una sorta di Deep State vaticano, e caduto ancora una volta in trappola. Ora, sarà pur vero che Afineevski ha tagliato, invertito e cucito passaggi di quella video-intervista sì da offrire un risultato pro domo sua (è dichiaratamente omosessuale) nel suo lungometraggio, ma è parimenti innegabile che non c’è nessuna trappola al Papa nell’aver finalmente esplicitato, e per giunta con le sue stesse parole, quello che Bergoglio ha sempre effettivamente pensato di una necessaria tutela giuridica per le coppie di persone dello stesso sesso. Che non equivale affatto a trascinare la chiesa e l’umanità sempre più nel baratro. Con buona pace di Pera o di Fiore, ma anche di chi in Vaticano conduce, forse in buona fede, azioni pompieristiche dando però prova di essere più realisti del re. Pardon, più papisti del papa.