La trattativa sul Next Generation Eu è un tema che terrà banco in Italia e in Europa almeno fino alla fine dell’anno. Dopo aver celebrato come una vittoria nazionale l’accordo ottenuto a luglio, il governo di Giuseppe Conte ha fretta di mettere in moto il processo che porterà concretamente nelle casse italiane 209 miliardi di euro fra prestiti e sovvenzioni. Ma per il momento il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri può regalargli solo il consenso sull’accelerazione del negoziato. Nelle istituzioni europee la partita non è ancora risolta e se i 27 Stati membri hanno trovato un accordo di massima, molti importanti dettagli restano da definire.
L’avvio del Next Generation EU (questo il nome ufficiale del pacchetto) avverrà con la ratifica dei parlamenti nazionali, auspicabilmente all’inizio del 2021. Ma sul testo che arriverà nelle capitali dei 27 Paesi UE bisogna ancora raggiungere un’intesa definitiva al Consiglio Europeo. I capi di Stato e di governo e i loro ministri delle Finanze devono quindi trovare, all’unanimità, una quadra sui dettagli del pacchetto, già di per sé un’operazione non agevole.
Ma soprattutto, spiega a Linkiesta Armin Wisdorff, portavoce della Commissione Budget del Parlamento europeo, ognuno di loro utilizza la trattativa per ottenere vantaggi o concessioni su altri dossier, slegati dal Next Generation Eu. L’intreccio con altri processi legislativi rischia seriamente di trasformare l’approvazione in una maratona negoziale, tanto che la presidenza tedesca del Consiglio considera ormai inevitabile un ritardo sulla tabella di marcia.
NextGenerationEU e Qfp: un rapporto complicato
Fra i nodi “propri” del NextGenerationEU ci sono i regolamenti tecnici che definiranno il modo in cui vengono erogati prestiti e sovvenzioni e i riferimenti agli aggiustamenti di bilancio dei singoli Paesi: materia specifica che infatti viene trattata negli Ecofin, le riunioni dei ministri delle Finanze. Più “politico” è invece il rapporto che lega il Next Generation Eu al Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp).
In teoria si tratta di due mondi a parte. Il Qfp è il bilancio dell’Unione, che stabilisce i tetti massimi di spesa dei vari programmi comunitari nel periodo 2021-2027 e vale complessivamente 1.074 miliardi; il NextGenerationEU è uno strumento eccezionale, che sarà in vigore per due anni (2021-2023), ma impatterà sul bilancio solo a partire dal 2028, con la restituzione degli ormai famosi 750 miliardi e relativi interessi spalmata su un lungo arco temporale fino al 2058. Diversa è anche la procedura legislativa che accompagna queste due voci: il Parlamento Europeo non è coinvolto nella definizione del Next Generation Eu ed è invece co-legislatore nel Qfp, che sarà rimesso al voto della Plenaria prima della sua approvazione definitiva.
Eppure, nell’ambito del Consiglio Europeo le trattative viaggiano spesso in parallelo. Sono soprattutto i Paesi cosiddetti “frugali”: Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, a cui si aggiunge quasi sempre la Finlandia, a voler strappare un accordo sul Qfp prima di siglare il regolamento del Next Generation EU.
E l’intesa sul bilancio pluriennale dell’Unione non è cosa da poco: se è già difficile trovare un accordo fra gli Stati Membri (non ci si riuscì a febbraio, ma solo a luglio insieme al Next Generation Eu con l’urgenza della risposta alla pandemia) è altrettanto arduo per i negoziatori del Consiglio raggiungere un compromesso con le istanze del Parlamento europeo, che esige sempre un budget più generoso rispetto a quello preventivato dai governi nazionali.
Lo Stato di Diritto, una spina nel fianco del Next Generation Eu
Un altro motivo di rallentamento è la cosiddetta “questione morale”: il rispetto dei valori comunitari nei Paesi dell’UE. La Commissione von der Leyen sembra aver preso di petto la cosa più degli esecutivi precedenti, come dimostra anche la dettagliata relazione sul tema pubblicata di recente. La presidenza del Consiglio deve tenere a bada due “anime” molto diverse: la sua proposta di compromesso, passata a maggioranza qualificata, non è piaciuta né a Polonia e Ungheria, che la considerano troppo vincolante, né a un folto gruppo di governi liberali (Benelux e Paesi scandinavi), che la ritengono al contrario poco efficace.
Il difficile però arriva ora: una volta ottenuto il mandato negoziale dai suoi membri, il Consiglio deve confrontarsi con il Parlamento, che ha tutta l’intenzione di farne una battaglia di principio. Serve un meccanismo «robusto ed efficace per difendere i valori dell’UE», dice Johan Van Overtveldt, Presidente della Commissione Budget dell’Emiciclo. Il voto previsto per mercoledì 7 ottobre sancirà molto probabilmente una regolamentazione stringente, che vincoli i fondi europei al rispetto di Stato di Diritto, democrazia e valori fondamentali, utilizzando la leva economica per scoraggiare comportamenti autoritari da parte dei governi.
I negoziatori del Parlamento già sollevano la questione in tutti i triloghi interistituzionali e in questo caso la posizione dell’Emiciclo conta anche in relazione al NextGenerationEU: le somme vengono infatti erogate agli Stati Membri tramite i programmi comunitari, a cui si vorrebbe applicare il meccanismo. Inoltre Polonia e Ungheria, quegli Stati che più rischiano di vedersi decurtare i fondi da un meccanismo stringente, metteranno sul tavolo il loro potere di veto sul Next Generation Eu pur di “ammorbidire” gli altri sullo Stato di Diritto: Paesi come la Spagna e l’Italia, particolarmente bisognosi degli aiuti europei, potrebbero facilmente abboccare.
L’importanza delle risorse proprie
Ma la questione forse più dirimente per il semaforo verde al Next Generation EU è quella delle risorse proprie, le tasse imposte a livello comunitario che non arrivano dalle tesorerie nazionali. La “Decisione sulle risorse proprie” (DRP) costituisce la base giuridica che autorizza la Commissione all’assunzione di prestiti per reperire i 750 miliardi del Next Generation Eu: questo strumento è infatti un plus rispetto al normale bilancio e quindi avrà bisogno di nuove fonti d’ingresso per essere ripagato, seppur tra molto tempo. In questo caso l’approvazione è tripla: Parlamento e Consiglio Europeo devono trovare un accordo, poi si passa al voto all’unanimità degli Stati Membri e infine alla ratifica dei parlamenti nazionali.
Se non vengono concordate nuove “risorse proprie”, rimangono solo due strade per finanziare, ex-post, il Next Generation EU: l’incremento dei contributi dei Paesi Membri o consistenti tagli al budget dell’UE tra il 2028 e il 2058. Il Parlamento non prende in considerazione nessuna di queste due opzioni e, ha chiarito in una proposta di Decisione approvata lo scorso 16 settembre, vuole una roadmap definita: subito una tassa sulla plastica nel 2021 e poi a seguire sull’ETS, il meccanismo per la compravendita di permessi per emissioni di gas serra, sul digitale, sul carbone, sulle transazioni finanziarie e sulle imprese multinazionali.
Consiglio e Commissione puntano a dilazionare i tempi. “Le distanze non sono così nette, ma il punto cruciale è quanto vincolante debba essere questa roadmap”, dice a Linkiesta l’advisor di un partito politico del Parlamento. L’ultimo giro di negoziati si è svolto lunedì 5 ottobre, ancora senza una soluzione definitiva. “É la madre di tutte le battaglie”, dice Valérie Hayer, liberale francese, co-rapporteur per le risorse proprie del Parlamento. Da questa complicata trattativa passano le sorti del Next Generation Eu.