Una ragazza a caccia di buste di plastica in un mare un tempo ecosistema di piante e animali acquatici: «Mia mamma pescava i polpi, io mi accontento dei sacchetti». Una collezionista di packaging che da convinta oppositrice dell’inquinamento del mare ora si ritrova a celebrarlo con le sue opere. Un pescatore di bottiglie: «Pescavamo sempre più plastica e sempre meno pesci, così abbiamo deciso di riconvertire il peschereccio». Infine, uno chef che è riuscito a scongiurare la chiusura del suo ristorante servendo pesci alimentati con microplastiche.
Siamo nel 2050 in compagnia di quattro personaggi, di età e dal vissuto differente, che si muovono in uno spazio cosparso di questo derivato del petrolio. Un mondo dove l’apocalisse non è proiezione di un futuro distopico e drammatico ma l’espressione di un presente da scongiurare. L’ambientazione è tutta pugliese: una terra che ha visto il suo mare cambiare e con esso le vite a contatto con lui.
“2050: Cronache marine” – inserita nel progetto Life Beyond Plastic, nato dall’esigenza di agire con tempestività e responsabilità per proteggere dall’inquinamento gli specchi d’acqua del pianeta – è una campagna che mira a lanciare un messaggio molto chiaro: la plastica monouso ha cambiato le nostre vite. Cosa succederà se non agiamo subito, per invertire questa rotta, affidandoci a un movimento di coscienza collettivo? “2050: Cronache Marine” è anche un docufilm che, realizzato in 6 mesi, è il primo ad essere ambientato nel 2050. Un progetto dove si intrecciano arte e valori educativi. Dove pillole di scienza sono disseminate lungo il racconto cinematografico.
«Abbiamo sviluppato quattro personaggi, diversi per contesto sociale ed età, che potessero rappresentare al meglio le quattro cause di questo tipo di inquinamento. Attraverso un lavoro di street casting e ricerca nel territorio siamo stati fortunati nell’incontrare persone disposte a mettersi in gioco. Marika, la cacciatrice di sacchetti, è realmente una nuotatrice del luogo, Mara è un’attrice nota in Puglia, Francesco è davvero uno chef e Franco è un pescatore da oltre 40 anni e di plastica ne ha vista e pescata tantissima anche fuori dal set», sottolinea Luciano Marchetti, direttore di Viceversa Studio, che ha dato vita al film.
La scelta della Puglia, spiega Marchetti (di origine pugliese), è comprensibile pensando che in Italia è tra le regioni con il tratto di costa più grande e importante. La costa pugliese, in particolare quella ionica dove è stato girato il film, non rappresenta solo una meta ambita dal turismo balneare. «Ma una terra da sempre in prima linea per la difesa della fauna e della flora marina».
Alla base della campagna, e del film, c’è un avvertimento che proviene direttamente dalla scienza: se l’uomo non rinuncerà alla plastica monouso, nel 2050 questa rischia di diventare l’unica inquilina del mare.
Da qui nasce l’idea creativa sviluppata dalla casa di produzione Viceversa Studio per l’Istituto Oikos, che ha voluto catturare questo dato trasformandolo in un viaggio nel tempo dove uomini, acqua e plastica convivono in una surreale, e rassegnata, realtà. Un racconto in cui lo spettatore si immerge percependo fin dal principio uno spaesamento, preludio e invito alla riflessione, alla consapevolezza, all’azione.
«Abbiamo trovato la proposta di Viceversa Studio di diffondere questo nostro messaggio attraverso un mockumentary (cioè un film che simula lo stile del documentario) distopico un’idea innovativa – spiega Francesca Santapaola, responsabile comunicazione ed educazione di Istituto Oikos – Proiettarci nel futuro e vedere quali potrebbero essere gli effetti concreti delle nostre azioni risveglia subito la nostra attenzione. Non si tratta più di qualcosa di lontano e intangibile ma diventa “reale”, per quanto esasperato nella resa narrativa».
L’istituto Oikos è un’organizzazione non-profit impegnata in Italia e nel mondo nella tutela della biodiversità e nella diffusione di stili di vita più sostenibili. Dal 1996 si impegna, in difesa dell’ambiente e salvaguardia delle risorse naturali, a informare e coinvolgere il pubblico in iniziative che mettono al centro il valore dell’agire collettivo. Per costruire insieme una società più equa e sostenibile attraverso nuovi modelli di consumo e produzione.
Più della metà della plastica diventa rifiuto in meno di un anno dalla produzione e la maggior parte non viene riciclata o riutilizzata. Nel 2018 in Europa sono finiti in discarica oltre 7,2 milioni di tonnellate di plastica. Di questi, quasi la metà era costituita da imballaggi: 3,3 milioni di tonnellate. In Italia l’uso della plastica è da record: basti pensare che è il maggior consumatore di acqua in bottiglia d’Europa e tra i primi al mondo.
A livello globale circa il 37% dei rifiuti di plastica non è gestito o è gestito male, ossia non è raccolto, è disperso in natura oppure è abbandonato in discariche abusive, inquinando il suolo, l’acqua dolce e gli oceani con macro, micro e nanoplastiche. Ogni anno tra le 70 e le 130 mila tonnellate di microplastiche finiscono nel Mar Mediterraneo e nei mari d’Europa. Centotrentaquattro specie ittiche sono vittime di ingestione di plastica che entra così nella catena alimentare, fino ad arrivare noi. Un ultimo dato: ogni anno, solo in Europa, vengono utilizzati 100 miliardi di buste di plastica: una buona parte finisce in acqua. A questo ritmo, nel 2050 il mare diventerà un cimitero di rifiuti, proprio come quello in cui nuota la “cacciatrice di sacchetti”, protagonista del docufilm.
«Parlare di un tema come il sovraconsumo di plastica monouso – sottolinea Marchetti – è sempre una sfida a livello comunicativo. Tra le idee che avevamo sul tavolo sicuramente quella più rilevante ci è stata fornita da un dato: nel 2050 in mare avremo più plastica che pesci. Per mostrare quanto rilevante potesse essere una previsione abbiamo voluto mostrare le conseguenze del marine litter (i rifiuti che l’uomo abbandona in acqua) attraverso 4 storie dal futuro, pensate per far immedesimare lo spettatore nella reale condizione in cui il mare si ritroverà fra 30 anni».
Si tratta di un messaggio chiaro e diretto, rivolto in particolare ai giovani, cioè a un pubblico che negli ultimi anni si è rivelato più attento alle tematiche ambientali. «Un bacino di utenti – spiega Santapaola di Oikos – che tiene al proprio futuro e a quello del pianeta. Sono loro a richiamare a gran voce l’attenzione degli adulti, dei governi e delle aziende, sull’importanza di prenderci cura di ciò da cui dipendiamo. Per questo pensiamo che siano i perfetti alleati per la #missione2050, per diffondere la consapevolezza che è necessario cambiare le nostre abitudini per proteggere noi stessi e la Terra».
In linea con questo pensiero, secondo Marchetti le nuove generazioni hanno il potere di cambiare e migliorare il mondo in cui viviamo. «Il loro stile di vita non è ancora stato compromesso del tutto e hanno una visione della realtà indipendente e autonoma. Sono in grado di poter scegliere meglio, perché possiedono gli strumenti di analisi che 20 anni fa non avevamo».
La campagna di Istituto Oikos, attraverso il sito e i canali social, permette al pubblico di fruire, in anteprima, della proiezione di questo mockymentary ma anche di impegnarsi e condividere piccole azioni quotidiane per ridurre il consumo di plastica monouso. «Non vogliamo demonizzare la plastica in generale: siamo consapevoli che sia un materiale utile e con delle caratteristiche che lo rendono insostituibile in molti campi, come ad esempio la medicina. Vogliamo però portare l’attenzione sulle nostre abitudini di uso quotidiane, su quello che possiamo cambiare con piccoli accorgimenti».
Attività educative e di sensibilizzazione sono un mezzo imprescindibile per stimolare una riflessione critica e un cambiamento. «Vogliamo dare alla plastica monouso – conclude Marchetti – il peso che merita. Troppo spesso ignoriamo come un piccolo involucro di questo materiale possa, in realtà, compromettere un intero ecosistema. Ecco, se dessimo più peso ai consumi che adottiamo ogni giorno, le grandi industrie di settore smetterebbero di produrre queste enormi quantità di plastica. Il futuro dipende da noi».
Che sapore ha un piatto di pesce a base di microplastiche? Se – suggerisce la campagna – continuiamo a produrre e consumare inquinanti ai ritmi attuali saremo costretti a scoprirlo. Anzi, ad abituarcene.
La speranza per Marchetti è che questa campagna, insieme al docufilm, possa essere recepita come qualcosa di nuovo e inaspettato in grado di lasciare il segno e spingere alla riflessione, anche solo per pochi minuti. «Quelli che bastano per instillare il dubbio che, forse, questo 2050 non è così lontano e che, forse, qualcosa in più possiamo fare per salvare il nostro mare».
La storia fra l’uomo e il mare, narra la voce fuoricampo all’inizio del film, è una storia d’amore. E come tutte le storie d’amore inizia bene ma non si sa come finisce. Questa vicenda, in particolare, è priva di un lieto fine. Tuttavia, nella realtà, è ancora possibile donarle una conclusione diversa.
“2050: Cronache marine” con un taglio di regia documentaristico è un viaggio tutt’altro che sereno in un mondo dal gusto surreale che conserva, però, forti elementi di contatto con lo spazio che abitiamo. Soprattutto, con un presente in cui fare la differenza è ancora possibile.