Transizione ecologicaServe un Green Recovery plan per ridurre le disuguaglianze in Italia, dice Legambiente

L’associazione ambientalista ha presentato un documento programmatico che aiuta a individuare gli obiettivi da raggiungere con i fondi del Next Generation Eu in materia ambientale. Il principale ostacolo è la mancanza di una visione d’insieme del governo

PHILIP FONG / AFP

I fondi in arrivo dal Next Generation Eu non devono essere un salvagente per l’emergenza, ma un’occasione per rafforzare il tessuto sociale, economico, ambientale dell’Italia, soprattutto nelle zone che ne hanno più bisogno. Spiegano così Legambiente e Forum delle Disuguaglianze il loro impegno per individuare gli obiettivi principali per investire i 209 miliardi di euro europei, e le strategie da mettere in campo per raggiungerli.

Lo spiega a Linkiesta Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente: «Il Recovery plan deve andare oltre l’attuale emergenza, dobbiamo guardare ai prossimi dieci anni e individuare gli interventi necessari per accelerare la transizione ecologica guidata da obiettivi di giustizia sociale».

Un primo ostacolo da superare, dice Zanchini, è formale più che sostanziale: l’idea che per delineare i progetti si debba correre per presentare i documenti a Bruxelles il 15 ottobre non porterà buoni risultati.

«Il confronto politico sul Recovery plan sembra avviato verso un corsa a inviare progetti di ogni tipo, come se il problema fosse fare in fretta e impegnare quanto prima le risorse, pena il rischio di perderle. Politicamente rischiamo un enorme errore. Abbiamo sei mesi di tempo. L’Europa ci dice di fare le cose bene e con calma. Fino ad aprile», dice Zanchini.

Il vicepresidente di Legambiente legge questa fretta come una difficoltà del governo italiano di lavorare secondo un criterio di qualità: «Siamo convinti che dietro tutto questo ci sia anche la volontà di evitare un dibattito, che forse la maggioranza di governo non saprebbe gestire. Non è facile avere un confronto come quello di cui ci sarebbe bisogno. Ma non è accettabile, quindi ci impegniamo per stimolare una discussione».

La critica alle scelte dell’esecutivo è anche sui contenuti, sulla mancanza di una visione sistemica che costruisca una strategia di giustizia ambientale e sociale per quelle centinaia di progetti già previsti dai documenti preliminari.

«Il governo – dice Zanchini – finora è andato avanti con provvedimenti di emergenza, in maniera anche un po’ caotica. Ma leggendo tutti questi provvedimenti, dai monopattini alle bici, fino all’ecobonus del 110% si nota che non c’è una visione. Proprio l’ecobonus è emblematico: è generoso ma troppo generico e non è pensato per intervenire dove ce ne sarebbe più bisogno, ad esempio sugli edifici in stato di degrado, quelli dove ci sono maggiori dispersioni termiche e maggiori consumi energetici. Sappiamo che in Italia bisogna intervenire nell’edilizia residenziale pubblica e nei quartieri di edilizia privata delle grandi aree disagiate. Ma non solo: bisogna consentire l’accesso al credito a famiglie e imprese per fare investimenti sostenibili, perché oggi non hanno risorse».

L’idea di offrire al governo una visione sistemica è stata avanzata anche dalla vicepresidente della commissione Ambiente e territorio della Camera Rossella Muroni martedì scorso, nel suo intervento durante un webinar organizzato proprio da Legambiente e Forum delle Disuguaglianze per proporre obiettivi e strategie del Recovery Plan.

«Abbiamo bisogno di coinvolgere tutto l’ecosistema Paese per fare in modo che i fondi europei diventino anche l’opportunità di creare un’Italia più resistente alle crisi del futuro», ha detto Muroni. L’intenzione, quindi, è di abbandonare i progetti preesistenti, già sotterrati sotto un mare di scartoffie nei cassetti di qualche ministero.

«Interveniamo sul territorio – dice Muroni – pensiamo alle città e alle imprese. I nuovi progetti vanno pensati per generare filiere produttive che possano portare a una nuova creazione di valore. Abbiamo il potenziale per costruire un sistema industriale italiano forte a livello europeo nel settore ambientale».

Durante l’incontro si è discusso anche di mobilità sostenibile, segmento in cui l’Italia deve recuperare terreno rispetto a molti partner europei. Allora c’è bisogno di costruire una filiera di produzione in grado di creare valore, così da incoraggiare le imprese.

Da qui l’appello dell’amministratore delegato di Industria Italiana Autobus Giovanni De Filippis per investimenti in questo campo: «Un settore industriale come quello dell’autobus ha bisogno di certezze per fare investimenti. Ha bisogno di essere accompagnato da un sistema che mette in moto un circuito di investimenti alle sue spalle. L’intervento dello Stato deve portare a rinnovare il parco autobus, come quello ferroviario, per dare prospettiva a tutte le imprese del settore».

Sulla mobilità è evidente il legame tra i temi della sostenibilità e quelli della disuguaglianza sociale: «I trasporti che viaggiano a due velocità al Nord e al Sud; alcune città sono più avanti di altre; e poi ci sono le periferie, regno dei combustibili fossili alla ricerca di una transizione ecologica», ha detto De Filippis.

Prima dell’incontro via web, Legambiente aveva diffuso un documento contenente dieci “sfide green che possono cambiare il futuro”, dieci priorità che vanno individuate nel Recovery plan: dalla crescita delle fonti rinnovabili alla riduzione dei consumi energetici; dalla rigenerazione delle aree urbane alla transizione industriale green; dalla riduzione del digital divide al rafforzamento del modello agroecologico.

«La stella polare delle politiche europee dei prossimi anni è la decarbonizzazione – ricorda Zanchini – e il governo italiano è chiamato a riscrivere il Piano energia e clima (Pniec) per adeguare gli obiettivi al nuovo target di riduzione del 55% delle emissioni climalteranti entro il 2030. Occorre coraggio politico per cancellare i sussidi più assurdi ancora in vigore, come gli sconti per chi estrae petrolio e gas o materiali dal sottosuolo. Ma serve anche proporre una transizione nei diversi settori che permetta di trasformare contributi ed esoneri dalle accise in investimenti in innovazione e efficienza. E poi si dovranno realizzare i grandi progetti, a partire dall’eolico offshore e il solare nelle aree dismesse.».

Nel documento l’associazione ambientalista individua, per il Recovery plan italiano, l’imperativo di dare risposta a tre grandi questioni poste dalla crisi e dalla transizione energetica: le persone, le imprese e il lavoro, i territori. Per rendere efficienti gli interventi ci sarà bisogno anche del rafforzamento e del coinvolgimento di tutti gli enti locali, indispensabili per far aderire le strategie alle specificità di ogni territorio.

«Non bastano moltissimi progetti, serve una visione progettuale d’insieme, un governance chiara, e poi l’impegno da parte delle regioni e di altri enti ad attuare le trasformazioni», ha detto la vicepresidente della regione Emilia-Romagna Elly Schlein durante l’incontro.

«Si pensi al tema delle infrastrutture – ha detto Schlein – bisogna ad esempio rafforzare linee ferroviarie, ogni regione ha quella scommessa da vincere per rendere conveniente il trasferimento di merci su ferro anziché su gomma. Ed è un risultato che si può raggiungere solo investendo sull’intermodalità della rete di trasporti».

Le infrastrutture sostenibili; la mobilità green; la messa in sicurezza del Paese; la capacità di resistere ai disastri ambientali che negli ultimi anni hanno provocato grossi problemi; la transizione energetiva e il minor consumo di energie inquinanti, sono tutti temi che hanno bisogno di un percorso condiviso da più soggetti e più forze. «Questo messaggio però non sembra passato ai vertici dello Stato, non sembra ancora esserci nel Recovery Plan», dice Zanchini.

«L’impressione che abbiamo noi – prosegue – è che in Italia si ragioni ancora separando la questione ambientale dagli altri settori di sviluppo. Questo tipo di approccio è profondamente sbagliato e vogliamo farlo notare. Eventualmente arrivando fino a denunciare a Bruxelles questo approccio».