Per il premier Giuseppe Conte la città di Taranto è un luogo strategico per un «Paese che ha tante ambizioni», una «perla» che non può essere «degradata al punto da non riuscire più ad essere un faro nel Mediterraneo, nel mare nostrum». Il presidente del Consiglio ha pronunciate queste parole il 12 ottobre in occasione della sua ultima visita nel capoluogo ionico, accompagnato dal sottosegretario a Palazzo Chigi, Mario Turco, e da ben sette ministri: Alfonso Guerini (Difesa), Roberto Speranza (Salute), Paola De Micheli (Infrastrutture), Stefano Patuanelli (Sviluppo economico), Gaetano Manfredi (Università), Giuseppe Provenzano (Sud), Sergio Costa (Ambiente). Una presenza massiccia che mostra quanto il dossier sia considerato importante dal governo da vari punti di vista: economico visto il costo della riqualificazione dell’Ilva, occupazionale viste le ricadute sui posti di lavoro, strategico vista la centralità del porto e l’interesse da parte du gruppi stranieri a investire.
Conte e il suo entourage si sono recati a Taranto per parlare con le amministrazioni locali e regionali della riqualificazione della città, da realizzarsi attraverso il Contratto istituzionale di sviluppo (Cis), uno strumento utilizzato dal governo per accelerare la realizzazione di progetti considerati strategici per la valorizzazione dei territori.
Gli ambiti interessati dal Cis vanno da quello universitario, con la creazione di un corso autonomo di laurea in Medicina, alla realizzazione di un acquario nell’ex stazione Torpedinieri fino alla cessione dell’ex Yard Belleli al gruppo italo-cinese Ferretti, leader in Italia nella cantieristica navale, passando per la riqualificazione della Città Vecchia e il futuro dell’ex Ilva.
Il porto di Taranto
All’interno del cosiddetto “cantiere Taranto” un ruolo importante è rivestito dal porto, in virtù della posizione strategica di cui gode il capoluogo ionico e che rende la città dei due mari uno scalo importante all’interno del Mediterraneo. Del valore di Taranto è ben consapevole l’attuale governo, che attraverso l’impiego di soldi pubblici e privati sta cercando di ampliare le infrastrutture esistenti per dare nuovo slancio all’area portuale, fortemente in crisi a causa delle vicende legate all’acciaieria e al calo del traffico container.
Obiettivo delle autorità centrali e locali non è solo il rilancio del porto, ma anche la diversificazione dei suoi utilizzi per ridurne l’eccessiva dipendenza dall’acciaio in armonia con i piani del Comune per la transizione economica, ecologica ed energetica pensata per la città.
Il futuro del porto ionico però non interessa solo il governo o l’amministrazione comunale. A guardare con particolare interesse all’infrastruttura tarantina sono anche le compagnie straniere, come dimostra l’accordo raggiunto alcuni mesi fa con l’azienda turca Yilport, 13esimo operatore mondiale nel campo terminalistico. Il gruppo, legato alla cinese Cosco, ha ottenuto una concessione di 49 anni per il Terminal San Cataldo e il suo esempio è stato presto seguito anche da altre aziende straniere.
Durante la sua ultima visita a Taranto, il premier ha infatti annunciato la concessione quarantennale al gruppo Ferretti dello Yard ex Belleli, un’area di 200.000 m² della cui bonifica si occuperà il ministero dell’Ambiente tramite la Sogesid. La Ferretti, leader mondiale nella progettazione, costruzione e vendita di yacht a motore e da diporto di lusso, aprirà nello scalo tarantino un cantiere per la realizzazione di motori ed un centro ricerca, garantendo l’impiego di circa 400 persone.
I timori per la sicurezza nazionale
La notizia ha però destato non poche preoccupazioni a livello nazionale e internazionale: il gruppo, che ha un management e un know-how italiano, è per l’85 per cento in mano all’azienda statale cinese Weichai. L’attivismo di Pechino sulle infrastrutture italiane è da tempo sotto la lente di ingrandimento del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), che a seguito dell’accordo con Ferretti ha chiesto ai servizi di intelligence esterna (Aise) un nuovo dossier per valutare i rischi della presenza cinese nel porto. Lo Yard ex Belleli dista infatti solo dieci miglia dall’area in cui si trovano le Standing Naval Forces (Snf) della Nato e le navi della missione Onu Irini.
Sulla questione si è espresso anche il premier Conte, che ha minimizzato i timori legati alla presenza cinese. «In passato ci si lamentava per l’invadenza delle multinazionali, oggi con il mondo globalizzato ci si preoccupa invece se gli investitori stranieri non arrivano. Ferretti è una società assolutamente italiana, eccetto per la partecipazione degli investitori, con management e lavoratori italiani. Se poi abbiamo deciso di sovietizzare il sistema economico, allora non sono d’accordo».
A difendere l’arrivo di Ferretti nello scalo ionico è anche il Presidente dell’Autorità portuale di Taranto, Sergio Prete. «L’investimento avrà una ricaduta occupazionale positiva all’interno di un indotto importante e che servirà anche per la diversificazione dell’attività portuale», spiega Prete a Linkiesta. «Abbiamo seguito le regolari procedure per l’assegnazione e le attività che Ferretti svolge non sono incompatibili con la presenza della base militare nelle vicinanze».
Il porto di Taranto, ha specificato Prete, sta attirando l’attenzione di importanti investitori internazionali leader nel loro settore, ma «se si decide che a Taranto – in considerazione della presenza della base militare e di quella Nato – non è possibile l’insediamento di determinate imprese a capitale estero si dovrebbe pensare a un risarcimento per perdita di chance del territorio».
Gli investimenti per il porto però non riguardano solo l’area commerciale. Il governo ha infatti stanziato 200 milioni per l’ampliamento della stazione navale Mar Grande per soddisfare le esigenze operative della Marina militare: l’operazione avvantaggerà anche le forze Nato presenti a Taranto ed è stata da molti interpretata come il tentativo di rassicurare gli Stati Uniti, preoccupati dalla presenza cinese.
Il problema della provenienza degli investimenti però è destinato a ripresentarsi, data l’importanza strategica del porto di Taranto e l’interesse che la Cina ha per lo scalo ionico nel più grande progetto della Via della seta marittima.